In questi ultimi tempi abbiamo più di una volta letto articoli di stampa che affermavano “…Oltre 20 miliardi di euro di investimenti, più di 29 milioni di visitatori, almeno 44 miliardi di euro di fatturato in più per le imprese di Milano…” (Corriere della sera 31 marzo 2008), “…A Bergamo, invece, gli imprenditori guardano con fiducia all’Expo, anche se sono più prudenti in termini di ritorni economici, aspettandosi un incremento dell’1,7% del proprio giro d’affari…” (Brianzanews 18 luglio 2009) (a cura di C. Rossi)
Questi sono i dati in versione giornalistica ma quanto potrebbe veramente valere l’Expo 2015 se analizzato secondo i principi cardine delle valutazioni dei grandi progetti infrastrutturali?
Sintetizzando al massimo, la metodologia di valutazione di un progetto infrastrutturale secondo i principi comunitari prevede che la convenienza ad utilizzare risorse pubbliche per la realizzazione di interventi in infrastrutture venga anche valutata sotto due distinti profili:
– finanziario, con la finalità di stimare:
• la redditività finanziaria dell’investimento (bilancio tra costi e ricavi);
• la sostenibilità finanziaria, (verifica della capacità di copertura dei costi).
– socio-economico, con l’obiettivo di stimare:
• la redditività (o desiderabilità) sociale dell’intervento oggetto di analisi, verificando se l’investimento soddisfi o no interessi pubblici quali il miglioramento della qualità ambientale, della sicurezza del trasporto, ecc.
Bene, tralasciando l’aspetto socio-economico ovvero la desiderabilità sociale che non è di così immediata valutazione, viene immediato, invece, riflettere su alcuni concetti relativi a quello finanziario, specialmente riguardo la sua sostenibilità nel tempo.
Infatti tutti sappiamo che non decideremmo mai di investire 1 € in una nostra attività a valenza pluriennale senza avere preventivamente la percezione che nell’arco degli anni in cui tale investimento avrà la sua efficacia economica esso possa produrre un flusso di cassa netto aggiuntivo tale che possa gradatamente ripagare l’investimento e farci anche beneficiare di un ancorché piccolo utile aggiuntivo (il “fructus” dei nostri avi).
Vale la pena qui ricordare che il flusso di cassa netto non è certo rappresentato dal fatturato ma da quello che resta dopo aver spesato anche i costi operativi, etc, etc.
Allora resterebbe da chiederci se, pur essendo vero che “in tempore” potremmo avere delle opere rinnovate, efficienti, efficaci etc, etc,, queste stesse opere abbiano o no tutti i requisiti per sostenere nel tempo la creazione di quel maggior flusso di cassa (valore) tale da giustificarne l’ammortamento e l’interesse da parte della collettività alla loro costruzione.
Giunti a questo punto per completare il nostro ragionamento potremmo aggiungere un’ulteriore riflessione integrativa: oggi ci troviamo di fronte a dei mercati globali e riprendendo l’ancorché discutibile concetto ricardiano dei vantaggi comparati che suggeriva ai differenti paesi di concentrarsi ed investire su quelle attività che rappresentavano l’eccellenza produttiva e che godevano della maggiore competitività nel rapporto costi/benefici, arriveremmo a chiederci se è proprio il settore fieristico/commerciale quello dove l’Italia manifesta i maggiori vantaggi competitivi mondiali.
Per attrarre visitatori e turisti, anche più stabilmente nel tempo, non potrebbero esistere nel nostro “bel Paese” anche altre soluzioni di investimento da attuare in settori di eccellenza (recettività turistica, prodotti tipici e dieta mediterranea, creatività e moda, produzione di beni artigianali caratteristici, ricerca, tradizioni culturali, valorizzazione di aree e siti archeologici con la creazione di percorsi ben coordinati, promozione nel mondo della cultura e tradizione italiana, trasporti, etc) rischiando meno e, per indotto, sostenendo lo stesso i comparti edilizio, immobiliare, commerciale-alberghiero e manifatturiero? Non potrebbe significare spostare il campo della battaglia commerciale globale in settore non presidiabili dai nostri colossali competitors emergenti?
Abbiamo un capitale inestimabile che ci arriva gratuitamente dall’ingegno politico e militare dei nostri avi: siamo gli unici a memoria d’uomo ad essere stati al centro del mondo conosciuto per oltre 500 anni…cerchiamo di valorizzarlo e di sfruttarne la forza del brand! Chi potrebbe avere le stesse nostre opportunità? Come potrebbero copiarci la storia se non facendone una sorta di rappresentazione kitsch e distorta?
One Comment
Aristide
PER UN’ECONOMIA SENZA MISTICA
Trovo corretta, razionale e condivisibile l’impostazione data al problema. Siamo sommersi, infatti, da quintali di carta e da gigabyte di informazione elettronica delicati alla mistica dell’Expo 2015. Urgono provvedimenti a tutela del consumatore (brutta parola) e del cittadino (parola meravigliosa).
Perciò è giusto, equo e salutare domandarsi chi in tutto questo carosello di iniziative per l’Expo 2015 (e similari) sia destinato a guadagnarci e chi invece sia destinato a perderci. Inutile giocare con le parole, è sempre così: anche nell’ipotesi del cosiddetto “ottimo paretiano”, nel caso dei giochi a somma zero, non si può andare contro il primo principio della termodinamica, che non mi risulta sia mai stato smentito. Lo so, esiste anche la teoria della “mano invisibile” di Adam Smith, che sembra quasi contraddire a tale principio. Tale teoria fu aggiornata dal grande Vilfredo Pareto il quale, oltre a essere un ingegnere, un sociologo (serio) e un economista, era anche un matematico. Ma anche tenendo conto della mano invisibile e dell’aggiornamento paretiano, ragionando in termini di sistema, continua a valere il primo principio della termodinamica. A maggior ragione tale principio vale nel sistema Italia, notoriamente caratterizzato dal dominio del salotto cosiddetto buono della finanza oltre che da un diffuso familismo amorale.
Invece, i signorini del marketing e delle pubbliche relazioni pretendono un giorno sì e l’altro pure di aver trovato il modo di infrangere il nobile primo principio della termodinamica. Ma sono dei burloni, è evidente, come quelli che pretendono di avere inventato l’ultimo modello di macchina funzionante in regime di moto perpetuo (per essere precisi, le macchine a moto perpetuo di prima specie contraddicono al primo principio; quelle di seconda specie, contraddicono al secondo principio della termodinamica, ma osservano il primo).
Nel rispetto delle leggi fondamentali della fisica, e della nostra intelligenza, vediamo che in questo articolo ci si domanda se, nel caso dell’Expo 2015, il gioco valga la candela. In particolare, ci si pone la seguente domanda: se proprio dobbiamo spendere per le candele, quali giochi val la pena illuminare e quali giochi non ci interessa illuminare o addirittura non è opportuno illuminare? Già, perché ogni gioco ha la sua convenienza, più o meno grande, che per quanto aleatoria non sfugge tuttavia alle leggi del calcolo delle probabilità. Per esempio, giochi come la lotteria o la roulette saranno anche giochi a somma zero in termini di sistema (non si crea né si distrugge ricchezza) tuttavia, com’è noto, sono per definizione, costitutivamente, a svantaggio del giocatore: l’unico a guadagnare è il banco. Non a caso si dice che il Lotto, quando è gestito dallo Stato, è una tassa aggiuntiva sugli stupidi.
Riassumendo, nel caso particolare dell’Expo 2015, come in tutte le iniziative pompate dalla mistica delle pubbliche relazioni, le domande fondamentali che il cittadino ‘compos sui’ deve porsi sono le seguenti: quali sono le probabilità che il capitale investito comporti un ritorno economico? Ammesso anche che si voglia fare un gioco in perdita sotto il profilo della partita economica (ciò è possibile – perché no? – in vista di un fine meta-economico) quali sono i criteri di selezione dei vincenti e dei perdenti? Ma, soprattutto: siamo sicuri di avere esaminato tutte le possibilità di ritorno del capitale investito, cioè abbiamo veramente fatto una ricognizione della realtà effettuale delle cose? Insomma, in economia, maxime quando si investe la ricchezza dei cittadini, bisognerebbe mettere la mistica da parte. Lasciando la mistica ai mistici veri, che non si occupano di marketing. Così ci piace sperare.
P.S. – Vilfredo Pareto era un razionalista, perciò era perfettamente consapevole del pericolo rappresentato dagli esoterici di ogni risma. Perciò conservava nella sua biblioteca una copia del “Malleus maleficarum” (“Il martello delle streghe”), un libro scritto dai padri domenicani contro l’eresia e la stregoneria. In Google libri si trova riprodotta in facsimile l’edizione appartenente alla Biblioteca cantonale e universitaria di Losanna: sul frontespizio si legge che il libro è stato donato da Vilfredo Pareto, con tanto di firma del Pareto medesimo. Si veda:
http://books.google.com/books?id=Fis_AAAAcAAJ&…