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20 Comments

  1. 1

    abdulaziz

    Brava sorella ihssane..davvero belle parole!!

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  2. 2

    Zineb

    Brava ihssan…:)

    Continua così…sei libera, come ogni individuo in questo paese indipendentemente dalla razza o dalla nazionalità, di esprimere la tua opinione dato che viviamo in un paese democratico e la libertà di opinione e di parola è un principio della costituzione…!

    Invito tutte noi giovani musulmane, compresa me, ad avere il coraggio di parlare e di difendere i propri diritti e non di temere il prossimo che critica la nostra religione o i nostri portamenti…!

    Sono fiera come te di portare il velo e di rispettare la mia religione! ^____^

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  3. 3

    Iman

    😀 complimenti sorella, sei veramente grandiosa.

    Sono contenta che ci sia una ragazza musulmana, e anche più di una che sia capace di esprimere le sue opinioni senza temere il pensiero degli altri 😀 davvero complimenti!

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  4. 4

    mohamed

    Grazie sorella per il contributo che stai dando speriamo inchallah che sia da esempio per tutte le ragazze che come te hanno voglia di urlare e far sentire il valore che la donna mussulmana puo esprimere in una societa' ancora chiusa in materia di islam…..

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  5. 5

    Kamella Scemì

    Cara Ihssane,

    come forse già è a Tua conoscenza dalla lettura dei commenti alle notizie che compaiono su questo singolare giornale d'opinione http://Bergamo.info/, sono turco-europea, cristiana, di confessione ortodossa, residente da molti anni nella Bergamasca.

    Invidio i tuoi bellissimi vent'anni, che traspaiono in tutta la loro freschezza dalla fotografia che hai pubblicato: un viso dolcissimo e uno sguardo intenso, fiero e scintillante, come è tipico dei popoli del Maghreb.

    Parli del razzismo tra adolescenti che in questa città allignerebbe. Guarda che il razzismo consiste nella negazione di diritti umani in ragione dell'appartenenza a razze diverse, quindi, nel caso, della Tua appartenenza al meraviglioso popolo maghrebino. Non mi pare, da quello che Tu stessa scrivi, che questo si sia verificato nella nostra – mia e Tua – meravigliosa Bergamo. Anzi. Si direbbe proprio il contrario. Il termine da usare è diverso: separatezza, forse esclusione amicale. Forse, anche, determinata da entrambe le parti. Ma non si tratta, comunque, di razzismo. Razzismo è una parola pesantissima, che rimanda ai crimini nazisti, comunisti e, ahimé, turchi nei confronti degli armeni. Richiama alla mente stermini e pogrom, cui certamente nessuno vorrebbe più assistere.

    In realtà, poni un problema differente e assai più leggiero: quello di portare il velo, come è spesso uso fra le donne musulmane. Portando il velo – Tu dici – la prima impressione che hanno i miei coetanei è che sono diversa da loro. Innanzitutto, è la "prima" impressione, poi, effettivamente, portare il velo musulmano Ti rende "diversa" rispetto ai costumi delle Tue coetanee, quindi, agli sguardi dei Tuoi coetanei. E' un dato di fatto. E' una Tua scelta, libera, che in terra bergamasca Ti è consentita (non altrove), ma rispetto alla quale non puoi pretendere che non generi almeno curiosità.

    Che come ragazza ventenne sbocciata alla vita Tu non sia diversa dagli altri, è pacifico, ed è bello sentirti dire che sei pronta a scambiare idee con simpatia ed entusiasmo. Dall'altra parte, quella delle giovani e dei giovani orobici, non troverai certo chiusure, pur tenendo conto del carattere duro e riservato della gente bergamasca. Ci sono passata anch'io, e posso assicurarTi che è così. Qui mi trovo benissimo, in una città che culturalmente è ai massimi livelli, qualitativamente molto più di Milano, una città, Bergamo, che conserva un respiro mitteleuropeo profondamente sentito. Ma poco espresso.

    Parrebbe che l'ostacolo alla Tua comunicazione coi coetanei bergamaschi sia "il Velo", Hijab, la quotidianità che Ti sei scelta, un piacere che indossi. Se così veramente fosse, se cioè il Velo fosse l'ostacolo principale alla Tua completa integrazione, al Tuo sentirTi pienamente e fieramente bergamasca, rifletterei molto sulle circostanze e i luoghi in cui orgogliosamente – come è giusto – portarlo. Perché, se da un lato occorre rispettare le abitudini e i punti di vista di chi ci ha accolto e ci ospita, dall'altro lato è un errore credere che Dio abbia comandato di indossarlo: non sta scritto da nessuna parte, Dio non ha mai ordinato alcunché del genere. E' una semplice abitudine della Tua terra d'origine, come di altre, pur radicata, ma nulla più. Te lo dico da studiosa della materia, e mi piacerebbe che Tu, incuriosita, Ti informassi al riguardo: sono pronta a darTi tutti i supporti teorici, storici e documentali di quanto affermo.

    Per molti bergamaschi (e non solo), infatti, lo Hijab sta a significare un segno di sottomissione e irrilevanza inaccettabili, quelle che sono riservate alle donne in larga parte del mondo musulmano, e arabo in particolare. Anche di questo va tenuto conto. Apriamo gli occhi, siamo nel 2011, e il mondo purtroppo è sempre più pieno di schiavi, di intere popolazioni sottomesse in modo indegno: basti pensare a quel che succede nella Tua splendida Africa, alle rivolte attualmente là in atto. Tu hai la fortuna di vivere a Bergamo, dove nessuno può e vuole schiavizzarTi, e qui – come Tu dici – sei libera, libera di pensarla come vuoi, libera di credere in ciò che desideri (con questa affermazione mostri di aver appreso molto del relativismo imperante, contrario anche alla Tua religione), e soprattutto sei libera di lottare per una scelta fatta con il cuore !! Scelta che io apprezzo, ma che deve essere accompagnata da piena consapevolezza, quella che dal Tuo vivace scritto appare come non ancora del tutto conseguita.

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  6. 6

    Kamella Scemì

    Vengo ora alla seconda parte del Tuo scritto.

    Tu scrivi: "Molti si chiederanno chi sono: italiana o araba? Moderna o tradizionalista? Diversa o normale? Occidentale oppure orientale? Sicuramente faccio parte di quella categoria di individui classificata come “seconda generazione”, cioè figlia di immigrati ma cresciuta in un Paese diverso da quello di provenienza dei genitori. Non è importante rispondere a queste domande, l’importante è come mi vedo io e io mi vedo un’adolescente e basta !!!"

    Circa la normalità, essa neppure è in discussione.

    Ma non è vero che non sia importante rispondere a quelle domande: è importante. E Tu lo sai, perché se non lo sapessi non Ti saresti rifugiata in un soggettivismo senza speranza, quasi disperato.

    E' importante che Tu conservi la memoria delle Tue radici, perché soltanto attraverso di essa potrai gustare i lati buoni di quella civiltà che hai avuto la ventura di incontrare e in cui hai la fortuna di vivere. Portando a essa il Tuo contributo, cosa di cui hai la responsabilità.

    "Perché specificare italiana o marocchina, cristiana o musulmana ? Non importa ciò che sono importa la mia educazione, come vivo con il prossimo, come mi approccio al mondo occidentale".

    Nemmeno questo è esatto, e lo sai, tanto che Te lo chiedi: Tu ormai sei un'occidentale, anzi, una bergamasca, e in questa cultura, in questa civiltà vivi e devi vivere. Il Tuo non è un approccio, ma un'appartenenza. Che, come tale, Ti deve innanzitutto far esecrare i massacri che nelle nostre terre di rispettiva provenienza affliggono i cristiani, i credenti in quel Gesù, Figlio di Dio, i cui insegnamenti hanno determinato la nascita della civiltà europea. La Bibbia è lo specchio in cui l'Europa è costretta a riflettersi, sempre, così come le terre di cultura araba e medio-orientale si riflettono nel Corano. RicòrdaTelo! E' importante, perchè Tu ora sei bergamasca, e se nessuno neppure immagina di violare le Tue credenze, nemmeno puoi pensare di cambiare la storia dei popoli cui adesso appartieni, intrisi di Cristianesimo.

    Sei una ragazza intelligente e riflessiva, e quel che t'ho detto finora sono certa che lo mediterai. Infatti, scrivi: "Non mi sorprende se ogni tanto vengano fuori dei dibattiti sul perché indosso il velo: è giusto che sia così, ma bisogna partire senza pregiudizi e rispettare le scelte personali…". Giusto, ma occorre farlo anche con le idee, le abitudini e le scelte di chi Ti vive intorno. E' con loro che anche Tu devi confrontarTi senza pregiudizi…

    Tralascio il riferimento all'art. 19 della nostra – mia e Tua – Costituzione: sa tanto di strumentale, dettato da altri, al di fuori del Tuo sentire. Ti dirò soltanto che senza dubbio il dettato costituzionale riconosce al cittadino in modo ampio la libertà di professare una fede e una religione. Altra cosa, però, è il riconoscimento delle organizzazioni religiose, che non trova disciplina in quell'articolo di legge, cui sono collegati la pratica religiosa e l'esercizio del culto in privato o in pubblico.

    Bene!, fatti insieme questi non piccoli passi, sarà un piacere per tutti avere a che fare con un'adolescente pronta allo scambio interculturale (che brutta espressione! lasciala perdere!), senza timore di mostrare o spiegare le sue scelte da giovane musulmana bergamasca, donando insieme alla sua cultura anche un po' di se stessa ai bergamaschi, e senza timore di accogliere le osservazioni e le scelte della società cui ora appartieni. Ti voglio bene!. Kamelia

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  7. 7

    Aristide

    Io non so se tu, Ihssane, esista davvero, e se tu sia quella ragazza che vediamo in foto: com'è che è pervenuta a Bergamo Info? Ma non importa: mi interessa semmai l'aspetto ideologico del problema, dunque mi rivolgo a te, sia che tu esista, sia che tu non esista. Nel secondo caso vuol dire che tu sei il fulcro di una figura retorica, la prosopopea: il che non sposta di una iota i termini della questione.

    Per prima cosa io ti prego, o Ihssane, di continuare a portare quel tuo velo. Visto che in Italia è consentito, portalo! Sia perché il velo ti dona (a giudicare dalla foto: e non aggiungo altro), sia perché sei una ragazza intelligente e ti esprimi in un italiano meraviglioso (mi commuovo sempre quando sento uno straniero che parla bene l'italiano, pur essendo contrario alla retorica patriottarda, anzi proprio per questo). Dunque perché mai dovresti omologarti? Lascia che si omologhino i subumani che partecipano a certi programmi televisivi. Non faccio i nomi di questi programmi, tanto si capisce quali sono: quelli dove i giovani sono invitati non alla virtù, ma alla determinazione. Quel che è peggio, i giovani sono invitati alla determinazione di apparire. Ormai quando sento un giovane che mi dice di essere "determinato", mi viene la nausea.

    Sono d'accordo con quanto afferma Kamelia «la Nuziale»: il razzismo è una cosa seria, è esecrabile, è schifoso, quand'è veramente razzismo. Purtroppo c'è anche quello, in Italia. Anzi, più si fanno discorsi ipocriti (anche a proposito della recente ondata di immigrati clandestini), più il razzismo è destinato ad aumentare. Ma questo è un altro discorso.

    Se ho capito bene (mi conforta il fatto che Kamelia la pensi come me), il tuo problema è che hai difficoltà a essere accettata per quello che sei. Non è un problema di razzismo. Beh, tu che sei una ragazza intelligente, ti sarai accorta che sono molti gli italiani che non sono accettati per quello che sono. È normale che sia così, ed è normale che se ne soffra. Ma è sempre stato così. E non è una cosa che riguarda soltanto gli italiani. Mi viene in mente il “Tonio Kröger” di Thomas Mann: un adolescente diverso dai suoi colleghi della Germania del nord, un po' perché di madre spagnola, ma soprattutto perché intimamente di sentire diverso.

    Dunque, Ihssane, chiunque tu sia, tu non sei omologata. Bello, stupendo! In particolare non sei omologata per il tuo velo e per i tuoi sentimenti di pudicizia. Ebbene, in altri tempi si insegnava nelle nostre scuole a venerare il nome di Lucrezia, simbolo della pudicizia femminile. Con il suo gesto di protesta, dopo che fu oltraggiata da Sesto Tarquinio, Lucrezia diede il via alla cacciata dei re da Roma. Grazie a lei nacque a Roma una libera forma di repubblica. Dice Tarquinia – secondo il resoconto che ne fa Tito Livio – rivolgendosi al marito che la trova in lacrime e che le domanda come vadano le cose: «Quid enim salvi est mulieri amissa pudicitia?». Cioè: "Come può andar bene a una donna che ha perso l'onore?".

    Ihssane, le donne come te meritano il nostro rispetto, quello stesso che una volta si soleva tributare a Lucrezia.

    Concludo dicendo che lo "scambio interculturale", come pure il cosiddetto "dialogo" non è obbligatorio, perlomeno non sono obbligatori nell'accezione ormai banale e farisaica di queste espressioni (anche qui sono d'accordo con Kamelia). Altro è invece l'incontro e anche (perché no?) lo scontro tra le culture, o comunque tra punti di vista divergenti: intendendo per scontro il confronto acceso, il dibattito senza infingimenti e senza la volontà di finire comunque a tarallucci e vino. Intendo la dialettica degli opposti, non certo l'annientamento dell'avversario. Dallo scontro culturale (anche acceso, soprattutto se acceso: altrimenti facciamo melliflue tavole rotonde, tanto care ai nostri intellettuali decadenti) nasce la civiltà. La volontà di annientamento dell'avversario è invece un retaggio barbarico del quale dobbiamo imparare, tutti insieme, a liberarci per sempre. Tutti, da una parte e dall'altra. Noi contiamo sul tuo aiuto.

    Reply
  8. 8

    Bergamo.info

    La ragazza esiste ed è quella della fotografia: ottima stagista. Così come esiste una PERSONA GRANDE, che è il nostro Aristide. Mi sono commosso alla lettura del Tuo commento, carissimo Aristide, nobile anima qui per avventura approdata.

    Reply
  9. 9

    Aristide

    Ringrazio Bergamo.info per le cortesi parole.

    Faccio presente di essere incorso, nell’intervento precedente, in un deplorevole lapsus calami. Là dove è scritto “Dice Tarquinia – secondo il resoconto che ne fa Tito Livio – rivolgendosi…”, al posto di Tarquinia deve leggersi Lucrezia. Vero è che Lucrezia è moglie di Lucio Tarquinio Collatino, cugino di Sesto Tarquinio, che oltraggiò Lucrezia: ma nel sistema onomastico romano la donna prende il nome del padre (dal nome gentilizio), e non del marito. Infatti, Lucrezia è figlia di Spurio Lucrezio Tricipitino, e prende il nome da Lucrezio, volto al femminile. Spurius = ‘praenomen’; Lucretius = ‘nomen’; Tricipitinus = ‘cognomen’, o ‘agnomen’.

    Dico questo, perché non vorrei essere preso in castagna dal Trota e dai suoi coltissimi sodali, tra i quali si conta una Nicole Minetti, bilingue, e un innominabile, anglista per caso. Per fortuna non c’è alcun latinista, che io sappia. Per dirla tutta, la Silvia Ferretto, ex AN, fece anni fa la proposta di dar soldi alle scuole private che facessero non mi ricordo più che cosa a favore della lingua latina. La proposta non passò per l’opposizione della Lega nord. Ma era una mossa per avere visibilità mediatica, che non avrebbe fatto progredire un ette (così si diceva, una volta) lo studio della lingua latina. Una mossa pelosa, dunque. Incassata la sua brava visibilità, la Silvia Ferretto non si occupo più del latino. Meglio così.

    Reply
  10. 10

    Kamella Scemì

    Vedi, cara Ihssane, la Tua lettera ha suscitato dibattito, e di un livello discreto, credo di poter affermare. Ebbene, il background del popolo bergamasco, nel suo profondo, comprende anche quella cultura latina che Aristide ha espresso con maestria. Pure con essa dobbiamo confrontarci, anche tutto questo complesso "sentire" dobbiamo interiorizzare per non rimanere "ospiti". E' una fatica dura, ma esaltante, una bella esperienza che "fa crescere", come si dice oggi, e che sarà utile anche ai Tuoi cari. Ciao. Kamelia

    Reply
  11. 11

    Kamella Scemì

    S. Em. Rev.ma Mons. Gianfranco Ravasi, persona che ammiro tantissimo come sacerdote e intellettuale, come forse avrai capito e avranno capito tutti i lettori di questo singolare giornale d'opinione http://www.Bergamo,info/, sintetizza tutti i miei ragionamenti con Te mediante una efficacissima riflessione, scritta come sempre benissimo, che Ti invito a leggere e meditare attentamente, tratta dal Mattutino di venerdì scorso di Avvenire:

    LA SALSA SULLA TOVAGLIA di GIANFRANCO RAVASI

    "La nobiltà dello spirito, rispetto a quella tradizionale del sangue, ha il vantaggio che uno se la può conferire da solo".

    Lui che era nato a Klagenfurt in Austria nel 1880 e aveva studiato e vissuto in Germania, col prevalere di Hitler, aveva deciso di lasciare Berlino e di riparare in Svizzera, e a Ginevra proprio oggi (venerdì scorso – n.d.r.) Robert Musil si spegneva nel 1942. Là aveva condotto un’esistenza povera e la morte l’aveva colto all’improvviso mentre stava lavorando al suo capolavoro incompiuto, quell’ "Uomo senza qualità" che spesso rimane altrettanto incompiuto nella lettura di molti perché è testo arduo, senza una trama netta. È un’opera che — a mio avviso — potrebbe essere descritta con le parole del suo straordinario ma inconcludente protagonista, Ulrich: «Certi pensieri sono come corde che si attorcigliano in avvolgimenti infiniti intorno alle braccia e alle gambe».

    Oggi, però, usciamo da queste spirali e ci affidiamo a uno dei "Frammenti postumi" di Musil che brillano di luce propria. Vi ricordate l’esilarante battuta di Totò: «Signori si nasce. E io lo nacqui!»? In realtà, non si nasce né signori né raffinati né insigni, lo si diventa con un serio esercizio. Si può ereditare per nascita di essere conti o marchesi, blasonati e patrizi: frutto di condizioni meramente estrinseche è appartenere alla classe aristocratica o plebea. La «nobiltà dello spirito», come ammonisce Musil, è invece l’unica che ci conferiamo da soli con un impegno severo, anche nei piccoli comportamenti. A quest’ultimo proposito mi viene in mente una battuta di un altro scrittore che ammiro, Anton Cechov: «La signorilità vera non sta nel non versare la salsa sulla tovaglia, ma nel non mostrare di accorgersi se un altro lo fa». Il contegno, l’educazione, il rispetto sono valori che rivelano una classe che non è assegnata dai documenti anagrafici, ma che fiorisce da una finezza umana profonda.

    Ti è piaciuto? Forza, allora, giovane e bella bergamasca del Maghreb. Tua Kamelia

    Reply
  12. 12

    Karl Heinz Treetball

    Mi farebbe molto piacere che Tu, Ihssane, e i Tuoi amici, interveniste nel dibattito, che mi sembra bello, pulito e proficuo. Coraggio!. Un berlinese, bergamasco di adozione.

    Reply
  13. 13

    Kamella Scemì

    Così scrive Domenico Delle Foglie su Avvenire di ieri: «Fanciullezza, adolescenza e giovinezza sono categorie che non reggono più». Parola di pedagogista. E noi che continuavamo a pensare ai nostri figli e nipoti secondo schemi che abbiamo appreso tanti anni fa e che ci aiutavano a districarci nella giungla dell’educazione, dove ci siamo avventurati almeno con una piccola bussola teorica. Ne siamo usciti tante volte sconfitti e qualche volta soddisfatti dei risultati raggiunti nel veder crescere tanti bambini e bambine. Li abbiamo osservati mentre attraversavano quella stagione dell’assoluta precarietà che era l’adolescenza, per poi approdare alle ansie e ai progetti della giovinezza. Ora, tutto questo è irrimediabilmente rimescolato, ci dicono gli osservatori più attenti. Una mutazione profonda è avvenuta sotto i nostri occhi, senza che ce ne accorgessimo, sino a quando qualcuno non ci ha spiegato che due spinte, opposte e contrarie, premono sulla pelle dei nostri ragazzi.

    Due spinte: una verso il basso e l’altra verso l’alto. La prima sembra voler frenare la crescita, anche emotiva, a una fase propria dei bambini. Sarebbe cioè in atto un prolungamento sino all’eccesso dell’età adolescenziale, con tutti i limiti cognitivi, di responsabilità e di relazione. Ivi compresa la permanenza prolungata nel nucleo di origine, sino a un’età assolutamente impensabile per le generazioni precedenti. I casi di 'bamboccismo', fatta salva la buona fede dei ragazzi e delle ragazze, sarebbero anche l’espressione di questa mancanza di voglia di crescere. Di questa autopercezione che rasenta l’inadeguatezza ad affrontare l’ignoto e che trova nell’iper­rappresentazione di sé (vedi Facebook e il Grande Fratello) una sorta di medicina omeopatica dei tempi moderni per chi tarda a crescere.

    Sull’altro fronte c’è la spinta all’ adultizzazione dei comportamenti, senza però godere di quella base razionale ed emotiva che l’esperienza e la cultura portano con sé. L’esempio più lampante, da questo punto di vista, è la spinta alla precocità sessuale che ora lambisce persino i bambini e che tante preoccupazioni reca ai genitori e agli educatori più attenti. Le notizie di cronaca, da questo punto di vista, sono un termometro, ma spesso sin dalle ultime classi di asilo, per non parlare delle scuole elementari, i più piccoli già parlano apertamente come fidanzatini.

    Ben sappiamo, inoltre, come le pratiche sessuali abbiano registrato un boom nell’età adolescenziale, con il loro corollario di danni emotivi, relazionali, sociali. E non ultimi, sanitari. Per fortuna, in Italia siamo ancora lontani dall’esplosione del fenomeno delle gravidanze adolescenziali registrate in altri Paesi, Gran Bretagna in testa, ma non possiamo continuare a illuderci. Anche perché, ad esempio, non disponiamo ancora dei dati sul consumo della pillola del giorno dopo, in base alle fasce di età. Ma sappiamo, purtroppo, che viene data facilmente anche alle tredicenni.

    Altro aspetto dell’ adultizzazione è la crescita dei baby consumatori con relativa pubblicità. Giusto per fare un esempio, pensate alla moda per bambine. Sempre più giovinette precoci, sempre meno bambine.

    Ecco, il pedagogista ci ha fatto risvegliare dal nostro torpore educativo e ci ha messo in guardia. E noi che siamo impegnati nell’educare alla vita buona (quella del Vangelo) ci ritroviamo un’altra patata bollente fra le mani. Ma non possiamo pensare di cavarcela volgendo lo sguardo altrove, mentre i nostri figli e i nostri nipoti sono nel frullatore. Continuamente sballottati verso il basso come eterni adolescenti e verso l’alto come adulti precoci.

    Forse, Ihssane, – e suona a tutto Tuo vantaggio -, il problema di rapporto coi Tuoi coetanei bergamaschi ha a che vedere con questi problemi, mentre Tu hai una linearità apparentemente sicura. Riflettici. Dacci qualche risposta. Leggi anche i commenti all'articolo sull'innovazione immobiliare in questo stesso sito http://www.BergamoInfo, che è partito dalla costruzione di case per approdare a un bellissimo dibattito sulla scuola. Mi piacerebbe che intervenissi ancora, con l'intelligenza e la proprietà di linguaggio che hai dimostrato, perché la discussione si fa interessante anche per una vecchia "babbiona", per di più studiosa di teologia, come me. Kamelia.

    Reply
  14. 14

    ihssane slassi

    Sinceramente non mi aspettavo tutti questi commenti, ma come ho citato, "Non mi sorprende se ogni tanto vengono fuori dei dibattiti" !!

    Ho letto con molto interesse e un sorriso per ogni parola scritta sia dalla signora Kamella Scemì sia dal signor Aristide, Vi ringrazio davvero per le belle parole, e anche le critiche, perchè dette da persone cosi, colte e a dir poco interessati non solo a commentare, ma sopratutto a dare un giudizio su un tema attuale, che nn riguarda Bergamo ma l'Europa e il mondo intero !!

    La signora Kamella Scemì ha analizzato la mia lettera quasi, parola per parola, starei ore ed ore a rispondere a ogni Suo dubbio, ma scrivendo probabilmente non Le farò arrivare la giusta idea, e nn le darò le giuste risposte che Lei desidera ricevere.

    Ad una affermazione, però, risponderò perché mi sento in dovere quasi di darle la conferma di ciò k io affermo. Ed è per quanto riguarda il velo che non è obbligatorio “è un errore credere che Dio abbia comandato di indossarlo: non sta scritto da nessuna parte, Dio non ha mai ordinato alcunché del genere. E’ una semplice abitudine della Tua terra d’origine, come di altre, pur radicata, ma nulla più. Te lo dico da studiosa della materia, e mi piacerebbe che Tu, incuriosita, Ti informassi al riguardo”. Ecco a lei un versetto del Ultimo Libro apparso sulla Terra :

    “O Profeta, di' alle tue mogli e alle tue figlie e alle donne dei credenti, quando escono dalle loro case, che coprano con una stoffa tutto il corpo. Jilbâb (plur.: jalabîb) significa: un vestito che copra tutto il corpo, tranne una piccolissima parte, come ad esempio un occhio solo (per vedere fuori).

    Portando il jilbâb le donne dimostrano la loro condizione di donne libere (cioè non schiave), non deviate e non inique; e in questo modo non possono essere importunate da nessun molestatore.”

    Ecco legga qui … dici cose riportate nel Sacro Corano sul velo!!

    http://www.giovannidesio.it/islam%20e%20crist/isl

    Per altri chiarimenti sono disponibile e ringrazio davvero il signor Aristide quando mi prega di non toglierlo, è davvero un grande piacere leggere tra le righe di una persona certe parole dette sicuramente dal cuore, perché per quanto mi riguarda mi sono arrivate dritte al cuore.

    Con un sorriso Vi saluto e Vi ringrazio ancora un'altra volta per ogni singola parola, molte volte una critica fa più bene di un complimento !! Grazie

    Ringrazio bergamo.info per aver accettato di pubblicare la mia lettera e la foto.

    Reply
  15. 15

    ihssane slassi

    Sinceramente non mi aspettavo tutti questi commenti, ma come ho citato, "Non mi sorprende se ogni tanto vengono fuori dei dibattiti" !!

    Ho letto con molto interesse e un sorriso per ogni parola scritta sia dalla signora Kamella Scemì sia dal signor Aristide, Vi ringrazio davvero per le belle parole, e anche le critiche, perchè dette da persone cosi, colte e a dir poco interessati non solo a commentare, ma sopratutto a dare un giudizio su un tema attuale, che nn riguarda Bergamo ma l'Europa e il mondo intero !!

    La signora Kamella Scemì ha analizzato la mia lettera quasi, parola per parola e sarei molto felice di rispondere a ogni suo dubbio in privato e spero ke Dio mi aiuti in questo.

    Ad una sua affermazione però, le rispondo subito, in quanto è la base sul quale si fonda tutto il mio discorso, o meglio, dove Lei dice che il velo non è obbligatorio.

    Se come dice fosse vero, nn crederei che un terzo dell'umanità confermerebbe l'opposto e tra questi due miliardi circa di persone, sicuramente ci sono altrettanti studiosi in materia e gente che ha dedicato tutta la propria vita a studiare la veridicità di questo obbligo nella fede mussulmana.

    Riporto di seguito la testimonianza del comandamento citato in un versetto dell'Ultimo Libro di Dio apparso sulla Terra :

    "O Profeta, di' alle tue mogli e alle tue figlie e alle donne dei credenti, quando escono dalle loro case, che coprano con una stoffa tutto il corpo."

    significa coprirsi con un vestito che copra tutto il corpo, inclusi i capelli, tutte le parti del corpo che possono provocare piacere in un uomo.

    Portando il jilbâb le donne dimostrano la loro condizione di donne libere (cioè non schiave), non deviate e non inique; e in questo modo non possono essere importunate da nessun molestatore.”

    Ringrazio bergamo.info per aver accettato di pubblicare la mia lettera e la foto.

    Reply
  16. 16

    ihssane slassi

    Oltre a essere un atto di obbedienza, portare il velo è anche:

    Modestia, Purezza, Timidezza e Salvaguardia.

    – MODESTIA: Allah (Gloria a Lui l’Altissimo) ha reso all'aderenza col Hijab una manifestazione di castità e modestia. Allah dice: “O Profeta, di' alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro veli, così da essere riconosciute e non essere molestate . Allah è Perdonatore, Misericordioso.” (S33:59). Nel suddetto versetto c'è una prova che il riconoscimento della bellezza apparente della donna le è nocivo. Quando la causa dell'attrazione si conclude, la limitazione è rimossa. come nel caso delle donne anziane che possono perdere ogni funzione dell'attrazione. Allah lo ha reso ammissibile affinché loro pongano da parte i loro indumenti esterni ed esporre le loro facce e mani e facendo presente, tuttavia, che è ancora migliore affinché loro mantenessero la loro modestia.

    – PUREZZA: Allah ci aveva indicato la saggezza dietro la legislazione del Hijab: “…Quando chiedete ad esse un qualche oggetto, chiedetelo da dietro una cortina: ciò è più puro per i vostri cuori e per i loro. …” (S33:53).

    Il Hijab costituisce una grande purezza per i cuori degli uomini e delle donne credenti perché fa da schermo contro il desiderio del cuore. Senza il hijab, il cuore può o meno desiderare. Ecco perché il cuore è più puro quando la vista è ostruita (dal Hijab) e così la prevenzione delle azioni diaboliche. Il Hijab ha tagliato i pensieri perversi e l’avidità dei cuori ammalati.

    – TIMIDEZZA: Ci sono due detti autentici che dichiarano: “Ogni religione ha una sua moralità e la moralità dell’Islam è il rispetto'” E “ La Timidezza proviene dalla credenza e la credenza è nel il paradiso”. Il Hijab rispecchia la timidezza naturale che è una parte della natura delle donne.

    – SALVAGUARDIA: Il Hijab rivela la sensibilità naturale del intrinseco nell'uomo osservante che non gradisce la gente guardare la sua moglie o figlie. Essa è un'emozione movente che guida l'uomo osservante a salvaguardare le sue donne (moglie e figlie..etc) dagli sconosciuti. L'uomo MUSULMANO è “salvato” per TUTTE LE donne MUSULMANE in risposta alla lussuria, agli abusi ed il desiderio, gli uomini guardano (con desiderio) l’altre donne mentre non sanno che altri uomini fanno lo stesso alle loro mogli o figlie. La miscelazione dei sessi e dell'assenza di Hijab distrugge il desiderio negli uomini. L'Islam considera essa una parte integrante della fede. La dignità della moglie o le figlie o qualunque altra donna musulmana deve altamente essere rispettata e difesa.

    Reply
  17. 17

    cristoforo

    Cara Ihssane, credo che la risposta alle "Tue" spiegazioni richieda conoscenza e qualche tempo. Intanto, per quanto riguarda l'impostazione dei nostri metodi educativi (di entrambi, me e Te, le tendenze qui vigenti che problematicamente discutiamo), Ti invito a leggere i nuovi commenti all'articolo sull'innovazione immobiliare, trasformatosi in un forum di discussione dei problemi educativi grazie ad alcuni interessantissimi interventi. Ciao.

    Reply
  18. 18

    Bergamo.info

    Un convegno a Torino promosso dal Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa.

    La Chiesa, l’islam e il vento dell’Africa.

    di RICCARD O BURIGANA dall'Osservatore Romano

    Qual è lo stato del dialogo tra cattolici e musulmani oggi in Europa? Come viene percepito l’islam nei vari Paesi? Non vi è forse il rischio che le immagini di violenza al di là del Mediterraneo, che ci giungono periodicamente, facciano crescere tra gli europei un senso di paura e di intolleranza nei confronti dei musulmani? Come promuovere un sano e lucido dialogo con le varie comunità islamiche, di antica o di recente fondazione? E come, Chiesa cattolica e comunità musulmane, si relazionano con gli Stati e le istituzioni europee per costruire una cultura della convivenza pacifica, nel rispetto reciproco delle differenze culturali e religiose? Sono solo alcune delle domande alle quali tenta di dare risposta il secondo incontro dei delegati delle conferenze episcopali per i rapporti con i musulmani in Europa, che si svolge dal 31 maggio al 2 giugno a Torino. L’obiettivo è di fare una valutazione complessiva dello stato del dialogo tra cattolici e musulmani in Europa alla luce delle politiche istituzionali volte a trovare una strada per un’integrazione che rispetti le varie identità religiose e culturali.

    Il convegno, organizzato dal Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (Ccee), è riservato ai delegati per i rapporti con i musulmani, che saranno affiancati da un gruppo di studiosi ed esperti nel tentativo non solo di dare delle risposte alla nuova situazione, in continua evoluzione, ma anche di procedere a una riflessione a più voci, fondata sull’esperienza quotidiana e sulla ricerca sociologica e storico-religiosa.

    Alle conferenze episcopali europee è chiesto di trovare e condividere delle forme con le quali promuovere un dialogo in grado di superare

    le paure e i pregiudizi che sembrano minare, da una parte e dall’altra, il percorso costruito, pur tra qualche difficoltà, tra i cristiani e i musulmani del vecchio continente per una collaborazione sui valori umani e per una sempre migliore conoscenza dell’altro.

    Il convegno di Torino segue quello di Bordeaux (aprile 2009), nel quale il Ccee aveva rilanciato il programma di una consultazione permanente

    dei delegati nazionali sullo stato del dialogo con l’islam, nella convinzione che fosse necessario compiere un ulteriore approfondimento, oltre i passi che erano stati già fatti in una prospettiva autenticamente ecumenica dai cristiani d’Europa e non solo dalle singole confessioni. È del 1986 la proposta di creare un Comitato ecumenico «Islam in Europa» da parte del Ccee e dalla Conferenza delle Chiese europee. Questo organismo ha operato in una situazione non facile, soprattutto per gli eventi che hanno seguito il crollo del muro di Berlino e per il precipitare della situazione nei Balcani, tanto che è riuscito a tenere la prima conferenza cristianoislamica europea solo nel 2001, scegliendo di celebrare questo momento assembleare a Sarajevo, così da ribadire l’impegno primario dei cristiani a costruire ponti di dialogo e orizzonti di pace partendo dall’incontro con l’altro.

    L’attività del comitato è stata segnata da varie vicende che hanno messo in evidenza la centralità del dialogo con i musulmani, nell’impegno ecumenico dei cristiani e nel processo di unità e di allargamento delle istituzioni in atto in Europa, tanto da spingere le singole Chiese alla ricerca di nuove forme per affrontare questo tema.

    Per rispondere alle nuove esigenze, il Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa ha convocato i delegati delle singole conferenze episcopali prima a Bordeaux e poi a Torino, cercando di sviluppare una prassi di lavoro comune intraecclesiale così da favorire la condivisione dei progetti, delle realizzazioni, delle speranze e delle difficoltà che segnano i rapporti tra la Chiesa cattolica e le comunità islamiche in Europa; e per riaffermare l’imp ortanza della testimonianza religiosa in un continente sempre più dominato da processi di secolarizzazione.

    Il convegno di Torino assume un valore particolare anche in relazione

    alla nuova situazione che si è venuta a creare in molte nazioni che si affacciano sul Mediterraneo, con l’apertura di scenari che richiedono

    una partecipazione piena e attiva da parte dei cristiani europei per aiutare la definizione di percorsi di democrazia in grado di indicare quei

    valori sui quali progettare un domani diverso, nel quale la religione possa giocare un ruolo attivo nella costruzione della pace.

    In questa prospettiva si comprende la scelta di invitare al convegno

    il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per

    il dialogo interreligioso, per avere il quadro dello stato del dialogo islamico-cristiano nel mondo, e di monsignor Maroun Elias Lahham, arcivescovo di Tunisi, per ricevere una testimonianza di quanto sta accadendo nell’Africa settentrionale e in Medio Oriente; in modo da tenere presente, fin dall’inizio dei lavori, la prospettiva universale della Chiesa cattolica nei confronti dell’islam e l’esperienza locale delle comunità cristiane. Proprio quest’ultima dimensione sarà presente in numerosi interventi, tra i quali si segnala la relazione di don Andrea Pacini, segretario della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale regionale Piemonte-Valle d’Aosta, il quale illustrerà i risultati di un questionario inviato alle onferenze episcopali europee in vista di questo convegno, per otografare forme e contenuti dei rapporti tra cattolici e musulmani.

    A Torino troverà spazio anche una riflessione sulla questione dei rapporti tra Chiesa, Stato e islam, soprattutto in relazione ai processi

    educativi nelle scuole e nelle università, con un’attenzione particolare

    all’insegnamento della religione, così come viene svolto nei singoli Paesi,

    al livello di informazione sulla cultura islamica in Europa e alla situazione

    delle cappellanie, da quelle militari a quelle ospedaliere, con riferimento

    all’assistenza spirituale in questi luoghi da parte delle comunità islamiche. Altra questione all’ordine del giorno è la crescita della «paura dell’islam» nella società europea, così diffusa da coinvolgere molti cristiani; di fronte a tale fenomeno — che condiziona le scelte politiche

    a livello nazionale e internazionale — appare quanto mai necessario partire dall’analisi di alcuni casi specifici per comprendere le radici di questi timori, così da proseguire sulla strada della loro rimozione e della costruzione di un dialogo dal quale l’Europa può uscire arricchita e rafforzata nella difesa della libertà religiosa nel mondo.

    Alla libertà religiosa sarà dedicato uno spazio specifico: i cristiani europei sono chiamati a denunciare le violazioni e i limiti imposti alla libertà religiosa, ma soprattutto, nell’attuale momento storico, ad accompagnare i processi di democratizzazione in atto nel Mediterraneo verso una società multiconfessionale che sappia valorizzare la pluralità di tradizioni religiose.

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  19. 19

    gargantua

    Oggi, nel mondo musulmano, il Corano non è oggetto di confronto, non viene assolutamente rimesso in discussione. Alcuni ricercatori musulmani, il più delle volte formati o residenti in Occidente, azzardano qualche interrogativo sulla redazione del Corano, ma incorrono immediatamente nella condanna delle autorità religiose. Il problema dello spirito critico è un problema reale. Tutto quanto riguarda la religione è ancora tabù: è vietato discuterne e lo è ancora di più se si tratta del Corano o della tradizione maomettana; Maometto, la sua vita, ciò che ha fatto e ciò che ha detto, sono tuttora tabù. Quindi i musulmani non possono parlare delle guerre condotte da Maometto se non in maniera apologetica, per affermare che il suo unico scopo era quello di difendersi dai persecutori. Eppure a leggere le opere delle prime generazioni di musulmani, si rimane colpiti dall'atmosfera più libera che vi si respira. Gli autori esprimevano con molta semplicità il loro punto di vista, positivo o negativo che fosse, per così dire senza complessi.

    Lo stesso vale per i rapporti umani di Maometto con altri gruppi, come gli ebrei, i cristiani e soprattutto con i politeisti della città natale e di tutta l'Arabia, nonché per le relazioni con le donne: tutti questi argomenti non sono mai affrontati in modo critico, ma sempre elogiativo e agiografico (dal greco hagios = santo). È lo stile tipico della tradizione cattolica che si adoperava in passato per raccontare la vita dei santi: sono sempre persone straordinarie, che hanno pregato, digiunato e altro ancora sin dall'infanzia. Tuttavia, il lettore sa che quel genere di racconto non vuole essere una descrizione storica dettagliata, ma bensì il solo scopo di incitarlo a imitare le virtù del santo di cui narra la vita. Ahimè, ancora oggi la vita di Maometto viene raccontata in modo puramente agiografico, si espongono i suoi intrighi come fatti storici realmente accaduti, i racconti abbondano di dettagli presunti, che si amplificano man mano che ci si allontana nel tempo dalla persona del fondatore dell'islam. Sebbene nel Corano non vi sia il seppur minimo accenno ad alcun miracolo compiuto da Maometto, nonostante le richieste avanzate dagli arabi di farne, fosse pure uno solo, a esempio di Mosè e di Gesù, i biografi posteriori ne aggiungano a piacimento. E più passano gli anni, più i biografi scoprono nuovi miracoli, come ha ben dimostrato padre Foca. Oggi il problema dell'interpretazione del Corano è sicuramente la questione principale sia nella religione musulmana sia nella vita dei musulmani. Molti intellettuali musulmani ne sono consapevoli e sono migliaia coloro che cercano di proporre nuove interpretazioni del Corano, un compito estremamente arduo dal momento che questi studiosi devono scontrarsi con una lunga tradizione e spesso vengono accusati di lasciarsi guidare dall'Occidente e dai non musulmani. Accusa suprema! In che cosa consiste il problema dell'interpretazione del Corano? Il Corano è presentato come «disceso» dal cielo su Maometto, il quale lo ha proclamato ai suoi contemporanei. Alcuni di essi lo hanno memorizzato nel proprio «petto» (sudur) e dopo qualche decennio lo hanno dettato a degli scribi. In un'ultima fase, i fedeli hanno raccolto tutte queste pagine sparse, scritte su svariati supporti (palme, ossa, ostraca, carta, eccetera), per farne un libro. La stessa parola utilizzata per «libro», miis-haf, non è di origine araba, è bensì un termine etiopico che stava a indicare la Bibbia. Tutte queste osservazioni di carattere filologico sono importanti in quanto permettono di vedere come l'islam nascente abbia integrato elementi provenienti dalla cultura cristiana o dalla cultura giudaica (per le questioni di ordine rituale e giuridico).

    Il Corano si presenta quindi come il risultato di questo insieme di procedure. La discesa su Maometto, la declamazione di Maometto, la deposizione di tale declamazione nei «petti» di coloro che l'hanno memorizzata, la recitazione della deposizione ad alcuni scribi, la collazione dei fogli sparsi in un libro che è il Corano. Tutto questo è solo la prima fase, ripasso successivo venne con l'unificazione del Corano e l'eliminazione di tutte le varianti; si passò poi, con l'inizio dell'VII secolo, a distinguere le consonanti mediante l'indicazione dei punti. Per finire, nel IX secolo, sotto la pressione dei sapienti furono aggiunte le vocali. Uh lungo processo, durato due secoli, che ha portato a un testo: il Corano.

    Un testo che i musulmani hanno provveduto a sfrondare di tutte le modalità con cui è stato trasmesso per poter infine affermare che viene direttamente da Dio, che è la parola di Dio trascritta fedelmente e alla lettera, senza possibilità di errore. Tutti i libri musulmani che citano il Corano insistono sulla fedeltà della sua trasmissione in contrasto con la supposta infedeltà della trasmissione dei Vangeli. A tale scopo, essi fanno riferimento alle teorie più liberali dell'esegesi cristiana, affermando che parecchie generazioni separano il momento in cui il testo dei Vangeli fu stabilito definitivamente, alla fine del I secolo o all'inizio del II secolo, e la morte di Cristo intorno al 30 d.C.. Cosa che, al contrario, non succede per il Corano, che è stato trascritto fedelmente senza ombra di errore, poiché, come tutti sanno, i memorizzatori {hafiz, huffaz) e i trasmettitori avevano una memoria da elefanti e Dio ne garantiva l'infallibilità! Si vede dunque come il fenomeno sia stato mitizzato. In virtù di questa mitizzazione del testo coranico, si è giunti ad affermare che il testo oggi in nostro possesso è il dettato letterale fatto da Dio a Maometto, trascritto fedelmente. Si dice, in termini concreti, che Dio «ha aperto il petto del profeta» e l'arcangelo Gabriele vi ha depositato il Corano. In seguito Maometto non ha dovuto far altro che attingere, per così dire, da questo deposito per recitare i versetti utili in ogni circostanza. Si può quindi concludere che non vi siano intermediari. In questo modo di pensare non possono esserci interpretazioni: l'interpretazione consiste unicamente nell'accertarsi del senso esatto delle parole.

    In realtà le prime generazioni di musulmani non hanno mai seguito questa linea di pensiero. AI contrario hanno tentato di comprendere ciascun versetto spiegando il contesto nel quale la frase era stata pronunciata da Maometto. Esistono interi libri, decine di libri (spesso di svariate migliaia di pagine) nella letteratura arabo-islamica che parlano di quelle che vengono definite le circostanze della «discesa» {asbab al-tanzil, che altri chiamano asbab al-nuzul) nel senso di «rivelazione». Quindi ciascun versetto sarà spiegato in fiinzione delle circostanze presunte nelle quali Maometto avrebbe trasmesso la parola di Dio. Si tratta di un fatto importantissimo, eppure oggi questo contesto viene completamente ignorato.

    LA VERA SFIDA TRA ISLAM E OCCIDENTE

    Può un musulmano avere più di una moglie se vive in un Paese che non lo consente? Può pretendere che la giustizia sia amministrata sulla base della tradizione islamica? Fino a che punto possiamo riconoscere usi e costumi in forte contrasto con i nostri e appartenenti a una religione estranea al nostro contesto? Il tema della tolleranza e della coabitazione tra fedi e culture diverse è al centro del dibattito culturale, e politico, in Occidente, sin dall' 11 settembre 2001, giorno dell'attentato alle Twin Towers. I! fenomeno dell'immigrazione massiccia dal Terzo Mondo musulmano in Europa e America, ha contribuito ad esarcerbare gli animi e le reazioni di chi si sente "minacciato" da questa presenza. Il libro (del quale qui proponiamo alcuni brani) intitolato "Islam e Occidente. Le sfide della coabitazione" (Lindau, 224 pagine, euro 22) del gesuita copto Samir Khalil Samir, docente al Pontificio Istituto Orientale di Roma cerca di rispondere in modo corretto ed equilibrato a queste esigenze di stringente attualità.

    Reply
  20. 20

    Sara

    Ciao ihsanne !! Sono finita qui casualmente e ti ho riconosciuta subito.. Eravamo compagne di classe alle elementari a trecate! Sono sara! Sei una grande donna.. ti stimo.. In bocca al lupo per tutto mia cara ihsanne!! Mi ricorderò sempre di te!:) un abbraccio

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