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25 Comments

  1. 1

    Bergamo.info

    Questo signore scrive bene, ma come è impegnativo leggere un suo testo, che sembra più un trattato che un articolo. Domenica, quando vedo il prete, glielo segnalo, sperando che non svenga quando l'ha letto. Però è interessante.

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  2. 2

    Giuseppe

    Sarebbe interessante conoscere il pensiero di qualche sarcedote per avere un confronto.

    Intanto, complimenti, è un grande intervento !!!

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  3. 3

    luigi

    Complimenti! sei unico.

    ricercare la fede è tornare alla purezza del sentimento che produce energia propositiva.

    I nostri sacerdoti devono abbandonare le carte e tornare a "cercare" l'uomo.

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  4. 4

    angelomario

    Mi chiedo, a questo punto, a cosa sia servito il Sinodo di Bergamo. Se ne deve fare un altro su basi diverse, con meno carta e più cuore? Certo, i tempi son brutti anche per i preti.

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  5. 5

    punto

    Ma ora il Vescovo è cambiato, e questo è un grande comunicatore. Certo, c'è da ragionare sul fatto che un Sinodo possa essere stato disegnato sul profilo personale di un Vescovo che poi cambia da un momento all'altro (il precedente era già in scadenza).

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  6. 6

    don angelo

    Mio caro amico, in quale ginepraio hai voluto mettere le mani! Le strutture diocesane, così come le nomine dei parroci e gli invii dei presbiteri nelle diverse parrocchie, sono quanto di più gelosamente custodito dal clero in genere. Ciononostante mi auguro che il Vescovo Francesco prenda in considerazione quanto scrivi, e rompa a sua volta il ghiaccio al riguardo.

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  7. 7

    don M.

    I contenuti dell'articolo stanno passando col passaparola, un po' alla volta. Ci si dà di gomito e non si dice nulla ad alta voce. Va bene usare le parole del Papa, che non si discutono, ma in alto loco – qui da noi – una dura critica come quella adombrata sotto il velo di parole "liquide" non può essere tranquillamente subita e men che meno accettata passivamente.

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  8. 8

    prete anonimo

    Visto che si è scatenata la sarabanda, dico anch'io che la paternità del Vescovo, e non degli uffici di Curia, è essenziale per noi preti. E non è giusto che queste cose non possano essere dette in pubblico, anche nei nostri convegni.

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  9. 9

    sicut

    Ma se il collega Allevi dice che il Vescovo attuale cambierà presto e se ne andrà a Milano a fare l'arcivescovo, forte dell'essere un grande comunicatore e anche d'essere un diplomato in violino al Conservatorio, quindi, ancor più gradito al Papa, a cosa serve tutta questa discussione sull'organizzazione della Chiesa, la quale appare invece essere una semplice e muffosa burocrazia, meno pericolosa di quella statale?. A cosa servono gli approfondimenti qui proposti dal Vostro redattore? Le comunità rimarranno comunque abbandonate a se stesse in attesa finalmente di un Vescovo che non sia abbastanza bravo da essere trasferito ai piani superiori, quindi, che rimarrà sicuramente parecchi anni, il quale passerà magari il suo tempo a cambiare quel che è stato appena cambiato, e che nessuno comunque prenderà in considerazione, come è avvenuto finora. La Chiesa "organizzata" è finita!, deve nascerne un'altra secondo un altro pensiero e una più profonda fede.

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  10. 10

    mario

    Tutte le organizzazioni venuteci dai tempi addietro avranno in futuro grossi problemi, ai quali rimedieranno, se ne saranno capaci, singole figure, personalmente all’altezza.

    Per attuare quanto l'autore dell'articolo auspica servono persone autonome nel pensiero, profetiche, umili, profondamente credenti, molto intelligenti, se non geniali. Mica poco! L'è dùra!

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  11. 11

    Tina

    "I burocrati sono numerosi come i granelli di sabbia in riva al mare. Con la differenza che la sabbia non prende lo stipendio" (E. Kishon).

    «Presentano al direttore generale il progetto per lo snellimento della burocrazia. Ringrazia vivamente. Deplora però l’assenza del modulo H. Conclude che passerà il progetto, per un sollecito esame, all’ufficio competente, che sta creando».

    Con sarcasmo sferzante a tutti noto, così lo scrittore Ennio Flaiano nel suo "Diario notturno" bollava lo stile burocratico che imperversa negli uffici statali o pubblici o curiali di tutto il mondo. Questa universalità è talmente vera che noi l’abbiamo oggi convalidata ricorrendo a un’osservazione ironica dello scrittore israeliano Ephraim Kishon che colpisce la burocrazia di uno Stato ancora giovane, com’è il suo, nella commedia "Paradiso come nuovo affittasi". A essere sinceri, un po’ di quello spirito fatto di inerzia, di rigidità nei comportamenti, di sclerosi nelle idee, di mancanza di rispetto per gli altri ce lo portiamo tutti dentro noi stessi.

    Sì, è vero: passano gli anni, si moltiplicano le riforme, cambiano i governi, si evolve la società, ma i burocrati sono sempre lì, pietrificati e immobili davanti alle loro scrivanie. C’è, però, anche una rassegnazione da parte dei cittadini che, al di là della sfuriata momentanea, accettano la moltiplicazione dei cavilli, l’eccesso documentario, i ritardi amministrativi. E questo accade perché il virus burocratico, in misura diversa, alligna un po’ in tutti (anche i burocrati sono stati prima semplici cittadini…). Esso si rivela nello scarso senso civico, nel disprezzo delle regole vere, nella pigra pedanteria, nella superiorità che si prova a causa di una carica o anche solo di una greca sul berretto e di una predella più alta. In questo modo siamo un po’ tutti burocrati…

    E' il "Mattutino" di Mons. Ravasi pubblicato su Avvenire di ieri: sembra calcare la mano sugli stessi argomenti dell'articolo di cui sopra, quasi l'avesse letto. Vuoi vedere che qualcosa sta finalmente cambiando nell'organizzazione della Chiesa?

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  12. 12

    don mario

    Questa è una strana rubrica o categoria, perché mano a mano che si sviluppa, sollecita commenti ad articoli precedenti, che si rivelano d'attualità abbastanza fresca, probabilmente perché collegati da nesso logico pregnante e riferiti ad argomenti sufficientemente generali. Mi domando: l'insistenza ecclesiastica sull'organizzazione quale elemento strutturale e fondante può essere foriera di interessate "deviazioni", nonché di inaridimento della sostanza dei rapporti fraterni?

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  13. 13

    angelomario

    La burocratizzazione, oltre che schiavizzare, facilita la crezione di idoli, che deviano i fedeli dalla ricerca dell'incontro col Signore. Alla fine, il burocrate rimane solo, dopo aver inaridito tutto.

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  14. 14

    gigi

    Non è sufficiente contestare la burocrazia ecclesistica: infatti, essa è così oppressiva, tanto "buco nero" che nemmeno lascia trapelare il fascino e il genio femminili, che pure sono presenti anche lì. Alla faccia dell'8 di marzo.

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  15. 15

    anomo

    La Didachè, o Dottrina dei dodici apostoli, è un testo antichissimo, redatto forse in Siria verso il 50-60 d. C, che mostra di non conoscere i Vangeli nella loro versione attuale, in quanto successivi. Ci dà informazioni preziosissime sulle prime comunità cristiane. Racconta della formazione dei catecumeni e dei missionari; della scelta di vescovi e diaconi; dei rapporti interni alle giovani e piccole Chiese; della responsabilità data e richiesta all'assemblea dei fedeli. Di massima importanza sono i brani relativi al battesimo, all'eucaristia – che aveva allora una forma diversa dall'attuale – e all'agape fraterna, che precedeva l'eucaristia. Il testo integrale è stato scoperto solo a fine '800, all'interno di un manoscritto ritrovato a Gerusalemme; ma l'Opera era già nota perché citata dai Padri della Chiesa: segno che essa era molto diffusa.

    Non sarebbe utile una rivisitazione critica della vita delle comunità cristiane di quell'epoca, come costantemente e insistentemente suggerisce anche il nostro amatissimo Papa Benedetto XVI?

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  16. 16

    fra Francois-Marie D

    Comincio colle presentazioni e un po' di pubblicità personale: Francois-Marie Dermine, frate domenicano e sacerdote, nato in Canada e residente in Italia. Dottore in Teologia e insegnante di Morale fondamentale presso la Facoltà teologica dell'Emilia-Romagna. Presidente del GRIS, Gruppo di ricerca e di informazione socio-culturale. Opere: Vassula Ryden – Indagine critica (Elledici 1995), Mistici, veggenti e medium – Esperienze dell'aldilà a confronto (Libreria Editrice Vaticana 2002), L'estasi (Libreria Editrice Vaticana 2003), Carismatici, sensitivi e medium – I confini della mentalità magica (2010). Numerosi e diversi articoli in materia di religiosità alternativa.

    Fatte le presentazioni, richiamo l'accenno fatto nell'articolo al rapporto fra l'organizzazione ecclesiastica e le sue insufficienze riguardo alle religiosità alternative. L'esistenza dei fenomeni paranormali, in realtà, richiede un attento discernimento degli spiriti. Solo così potremo provare a rispondere a domande del tipo: il paranormale che non viene dal carismatico è da ritenere apparente o è da attribuire a un'influenza diabolica? Perché sì a certe rivelazioni private e no ad altre, come la scrittura automatica? Perché sì alla profezia del carismatico e no alla preveggenza del cartomante? Perché sì all'imposizione delle mani del carismatico e no a quella del pranoterapeuta? Le risposte aiuteranno a delimitare i confini di una certa mentalità magica e a individuare, per contrasto, la specificità e originalità dei fenomeni paranormali che si riscontrano anche in ambito cristiano, rispetto ai quali i sacerdoti non vengono forse adeguatamente preparati.

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  17. 17

    Aristide

    CONTRO GLI ESOTERICI

    Padre François-Marie Dermine è persona indicatissima – a quel che vedo – per sbrogliare l’intrigo esoterico. Non capisco il perché di tanto accanimento di pretesi liberi pensatori “à la” Odifreddi contro la tradizione cristiana e la quasi totale indifferenza nei confronti degli esoterici che arrivano all’impudenza di chiamare “scienza” le loro audaci, non dimostrate, non dimostrabili e nemmeno confutabili (in linea di principio) proposizioni. Umberto Eco ci ammonisce a non parlare mai di complotti: va bene, chiniamo la testa e non parliamo di complotti. Però è un fatto che assistiamo pressoché impotenti a un lavorìo intenso di frantumazione del lascito sapiente della tradizione europea. Ed è un fatto che tale tradizione è innestata nella cultura greco-romana e cristiana. Così com’è fatto che la nuova scienza di Galileo nacque in quell’ambito culturale, tradizione cristiana compresa. Newton poté concepire la sua meccanica, la sua teoria della gravitazione, oltre che la sua ottica, in virtù del fatto che insisteva sulle spalle di giganti, com’egli ebbe a scrivere in un’epistola a Hooke: «Se ho visto più lontano, è perché stavo sulle spalle dei giganti». Così rendeva omaggio a Galilei e Cartesio. Ma qual è stata la formazione culturale di Galilei e Cartesio? Qualcuno pensa che san Tommaso non abbia niente che fare con la nascita della scienza europea? Dunque, ripeto, che cos’è tutto questo darsi da fare contro una tradizione dalla quale traggono linfa le nostre radici (per usare un’espressione ormai trita)? Mi sembra evidente, vorrebbero recidere le nostre radici, per poi venderci il surrogato delle loro radichette, perché l’uomo è fatto così, cerca sempre il suo “ubi consistam”. Gli esoterici si comportano con noi (con i più sprovveduti, con coloro che hanno grossi problemi personali e familiari) come quella multinazionale che voleva indurre le donne africane a svezzare i bambini con i loro prodotti solubili, così loro in Africa sono fritti per sempre e le multinazionali ingrassano.

    Fin troppo facile poi sarebbe affrontare la questione sul piano etico. Anche qui c’è tutto un lavorìo di sostituzione: al posto dell’onore, l’immagine; al posto del sentimento di pienezza per avere ben operato, il ventre pieno e la casa infarcita di paccottiglia; non più doveri, ma solo diritti. Ecc. Spero che qualcun altro voglia affrontare l’argomento, meglio di quanto riuscirei a fare io.

    Però a questo volevo arrivare: ci hanno tolto Dio (non necessariamente gli esoterici: loro, di solito vengono dopo) ma gli uomini hanno bisogno di Dio. Già nel Settecento la questione era agitata e ponderata, presso gli stessi liberi pensatori (ma quelli, allora, erano persone serie, non erano Alessandro Cecchi Paone, quello che parla in nome di un sapere scientifico che non ha e va all’Isola dei famosi). Se tu però togli Dio agli uomini, nel loro cuore entrano le merci, o il darwinismo economico (non ce l’ho contro Darwin scienziato, sia ben chiaro). D’altra parte poiché né le merci né il carrierismo aziendale (una degenerazione dell’etica protestante del capitalismo) dànno felicità, ecco infine gli esoterici. Dunque prepariamoci fin d’ora a sbarrare loro la strada.

    Luciano di Samosata scrisse nel II sec. d.C. un’operetta aurea intitolata “Alessandro o il falso profeta”, la storia di un personaggio, oltre tutto parecchio ignorante, che fondò un oracolo esoterico del quale lui era il profeta carismatico. Regalai questo libriccino a una mia amica che stravedeva, al tempo della Rete, per Leoluca Orlando-Cascio, il ben noto ayatollah carismatico, adesso portavoce dell’IdV (ma non so quanto duri: ai tempi d’oro lui si paragonava a Federico II di Svevia, penso che Di Pietro gli vada stretto). Nonostante Luciano di Samosata, nonostante Erasmo da Rotterdam, nonostante Diderot gli esoterici continuano a imperversare. Che padre François-Marie Dermine possa aiutarci a smascherarli?

    Nota bene: a Bergamo e in provincia c’è tutto un formicolio esoterico. Normalmente si fanno passare per scienziati. Però non chiedete loro di Galilei, Newton, Maxwell, Planck o Penrose. La loro è un’“altra” scienza. E ci credo! Sono fanfaluche.

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  18. 18

    alessio

    Leggo su http://www.lecodibergamo.it questo articolo:

    "É stato firmato venerdì mattina nella sede territoriale di Regione Lombardia l'accordo di collaborazione per la realizzazione della rete territoriale per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

    L'accordo è stato sottoscritto dall'assessore regionale Marcello Raimondi per Regione Lombardia, da Mara Azzi direttore generale Asl di Bergamo, dal sindaco Franco Tentorio, dall'Assessore istruzione Enrico Zucchi per la Provincia, da Giovanni Capelli per la Camera di Commercio e da Sara Zinetti, consigliera provinciale di parità. L'incontro è stato coordinato dal dirigente della sede territoriale di Regione Lombardia ing. Claudio Merati (meno male che non se ne è occupato qualche altro consigliere regionale bergamasco… n.d.r.).

    Per la promozione di iniziative di conciliazione dei tempi di lavoro e della famiglia, il ministero delle Pari opportunità ha finanziato Regione Lombardia con 6 milioni 700.000 euro. Di questi a Bergamo dovrebbero essere assegnati circa un milione di euro per progetti biennali da realizzarsi in rete territoriale pubblico-privata.

    In nome della sussidiarietà, tutti in rete, istituzioni, enti , associazioni per facilitare il rientro al lavoro, offrire voucher per nidi o assistenza familiare di anziani, favorire l'associazione di imprese che trovino soluzioni in rete per favorire la conciliazione dei tempi dei dipendenti e delle dipendenti. Inoltre Regione Lombardia si è mossa istituendo un Comitato strategico donna famiglia lavoro che ha elaborato una serie di proposte (visibili sul sito http://www.famiglia.regione.lombardia.it), alle quale possono ispirarsi le costituende reti territoriali che dovranno realizzare i servizi e gli interventi.

    Capofila della rete bergamasca è l'Asl, ha sottolineato il direttore sociale Francesco Locati, mentre la Provincia, con l'Assessore Zucchi, offrirà monitoraggio e formazione e il Comune, con l'assessore Leonio Callioni, assicura collaborazione in quanto, ha affermato il sindaco Tentorio, è impegnato nell'iter nazionale che porta al titolo di «Bergamo città per la famiglia».

    Un quinto delle donne, ha ricordato il direttore generale Asl Mara Azzi, lascia il lavoro dopo il primo figlio e, benché il tasso di occupazione in Bergamasca sia sopra la media nazionale e anche regionale, le donne occupate sono solo il 39%. Inoltre, ha ricordato Anna Roberti della Direzione generale Famiglia, il 33% delle famiglie lombarde deve assistere una persona anziana.

    Conciliare i tempi è quindi la via d'uscita più realistica ed economica per evitare che le famiglie scoppino e per rilanciare la produttività della Lombardia oltre che per aumentare il grado di benessere psicologico e relazionale delle famiglie.

    Mi chiedo: se la politica si trova ad affrontare un tale problema organizzativo, perché non lo affronta anche la Chiesa, rivedendo anche la sua organizzazione parrocchiale?

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  19. 19

    Kamella Scemì

    Da Avvenire oggi in edicola:

    Pompili presenta il convegno nazionale che si terrà a Macerata di FRANCESCO OGNIBENE.

    La consegna era esplicita, im­pegnativa. All’Aula Paolo VI gremita dai partecipanti al convegno Cei «Testimoni digitali» e dal popolo della comunicazione, or­mai un anno fa, Benedetto XVI a­veva parlato con chiarezza: nel mondo segnato dalla pervasiva presenza dei media digitali è indi­spensabile «riconoscere i volti», «superare quelle dinamiche collet­tive che possono farci smarrire la percezione della profondità delle persone e appiattirci sulla loro su­perficie ». A quell’invito ha fatto se­guito un anno d’intenso lavoro a­nimato in tutta Italia dall’Ufficio nazionale comunicazioni sociali. Che ora invita quel «popolo» (di­rettori di uffici diocesani, respon­sabili delle comunicazioni e dei media, animatori, Portaparola, blogger…) a fare il punto, dal 19 al 21 maggio a Macerata, al convegno nazionale «Abitanti digitali». Ap­puntamento del quale il direttore dell’Ufficio, monsignor Domenico Pompili, spiega il valore.

    Da «Testimoni digitali», un anno fa, ad «Abitanti digitali». Qual è il percorso che ha condotto da Ro­ma all’appuntamento di maggio a Macerata?

    Un anno non è poca cosa rispetto ai cambiamenti incalzanti della tecnologia. Nel breve intervallo tra «Testimoni digitali» e «Abitanti di­gitali » – solo per fare un esempio – abbiamo assistito al lancio dell’i­Pad e già anche alla sua nuova ver­sione. L’iPad2 è più leggero, più sot­tile, più veloce. Ma c’è di più. Se lo scorso anno a Roma si è offerta un’interpretazione della rete non più vista in contrapposizione alla realtà, con l’appuntamento di Ma­cerata vogliamo ora condividere ri­flessioni ed esperienze ecclesiali ri­spetto ai modi di «abitare» questo spazio, popolato da tantissimi, gio­vani e non.

    Ma che vuol dire «abitare» il web?

    Abitare dice una relazione consa­pevole e stabile, esprime il bisogno di dar forma allo spazio e dunque induce un atteggiamento respon­sabile, che si fa carico dell’insieme. Si vuole stare nel web non per ca­so o magari per presidiare, ma per creare occasioni di contatto e di prossimità perché è proprio della Chiesa accorciare le distanze e an­nullare le estraneità.

    L’idea di «abitare» nel linguaggio della fede desta profonde evoca­zioni: l’uomo credente «abita» la Parola, il Creato, Dio stesso «abi­ta » in lui… In che modo siamo chiamati ad «abitare» il digitale?

    In passato la Chiesa ha sempre i­dentificato nel perimetro geografi­co la coordinata fondamentale di una parrocchia. Dietro l’idea dello spazio fisico c’era sottesa la con­vinzione che solo stando in un terri­torio se ne impara­no i costumi, la lin­gua, le tendenze e quindi si può pro­cedere a un incon­tro e quindi all’e­vangelizzazione.

    Oggi però lo spazio fisico, lo sappiamo, si è come liquefat­to, perfino nei cen­tri di provincia. La rete e in parti­colare i social network esprimono un bisogno di contatto, di relazio­ne e di incontro che coinvolge tut­ti. La Chiesa che abita la Parola non può esimersi dal farla risuonare an­che dentro questo nuovo spazio u­mano, che è in attesa di domande autentiche e di verità non caduche.

    In concreto?

    Si tratta di aggiornare… i rintocchi della campana! Come quest’ultima con le sue vibrazioni delimita un territorio, i cui confini coincidono con l’udibilità del suono, così la re­te può diventare una forma di pros­simità e di vicinanza, che aiuta a costruire o ricostruire l’apparte­nenza ecclesiale. Oggi la Chiesa de­ve forse essere meno campanile e più campana!

    Le comunità virtuali pongono il problema della costruzione di un’i­dentità coerente e solida dentro un ambiente immateriale che sembra sbiadire ogni differenza. «Abitare» il digitale quali virtù richiede?

    La vera sfida anche rispetto al web è quella della trascendenza: essere pienamente dentro, ma affacciati su un altrove, essere nel web, ma non del web. L’esperienza della re­te è reale e dunque umana; manca però di una dimensione necessa­ria che è quella fisica, intra-corpo­rea. Non è dunque autosufficiente. Ciò che si chiede è di vigilare per­ché non si confonda la parte con il tutto e si abbia cura di integrare sempre la dimensione on line e quella off. La Chiesa però non ha paura di smaterializzarsi nel mon­do del web per arrivare a farsi per­cepire da tutti proprio perché è for­temente radicata nei territori fisici e può dunque stare sia nell’una che nell’altra dimensione.

    L’uso massiccio e inesausto di stru­menti e linguaggi della comunica­zione interattiva da parte dei gio­vani sta imponendo all’attenzione di famiglie, scuole e parrocchie l’e­sigenza di affrontare la questione in termini educativi e non più so­lo banalmente strumentali. Quali passi devono compiere in partico­lare gli educatori nella comunità cristiana?

    Gli Orientamenti pastorali descri­vono lo scenario indotto da inter­net come un 'nuovo contesto esi­stenziale', mostrando di aver chia­ro che a cambiare non sono solo i linguaggi ma le persone che vivo­no in essi. I giovani, in particolare, riflettono sulla loro pelle le carat­teristiche di questa nuova stagione digitale che sembra privilegiare la comunicazione orizzontale, inte­rattiva, mettendo in discussione il modello della trasmissione a favo­re di quello dell’incontro. Ma l’e­ducatore non deve farsi spaventa­re. Dovrà partire dalla capacità di leggere le situazioni e di ascoltare i bisogni manifesti e i desideri latenti per accompagnare verso un per­corso di fede che, anche passando attraverso il territorio del virtuale, raggiunga poi la sua consistenza nella dimensione fisica dell’incon­tro e della condivisione. La fede in­fatti non è un’idea, né una morale, ma una esperienza, che non rifiu­ta alcun linguaggio. Neanche quel­lo di ultima generazione.

    L’appuntamento a maggio raccoglierà la preziosa eredità di «Testimoni digitali»: «In questo modo rilanceremo la sfida affidataci da Benedetto XVI di dare spazio anche nei nuovi media ai volti e ritrovare la prossimità»

    Fin qui l'ottimo articolo del dr Ognibene, che spero si legga nello spirito giusto, quello che anima anche i frequentatori di questo sito https://www.bergamo.info.
    La domanda riguarda, invece, le costituzioni "sinodali" attualmente in vigore nella diocesi bergamasca: come si concilia quanto ivi previsto con le esigenze sopra riportate? Perché simili osservazioni, abbondantemente presentate, non furono nemmeno prese in considerazione da parte del precedente Vescovo e neppure furono almeno esposte da qualcuno dei sinodali?

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  20. 20

    Bergamo.info

    In argomento, segnaliamo l'articolo su Avvenire di ieri, pag. 19:

    I preti, dono da riscoprire.

    Giovedì Santo: storie di sacerdoti, nel giorno in cui hanno rinnovato le promesse.

    Don Alessio guida da un anno dieci parrocchie in Val di Non. Pastore a tutto campo.

    E per incontrare i giovani prende l’autobus con loro

    DA TRENTO DIEGO ANDREATTA

    Nella Messa del Crisma, ieri hanno rinnovato tutti le pro­messe sacerdotali, dai preti ammalati in carrozzina ai novelli fre­schi di ordinazione. È la loro festa, il Giovedì Santo, con la «cena del Signo­re» e l’istituzione del sacerdozio, ma anche un giorno per un personale bi­lancio di stagione. Lo abbiamo chiesto a un giovane trentino, che al suo pri­mo anno da parroco vanta già un pic­colo record: è responsabile di ben die­ci parrocchie nella bassa Valle di Non, gran vivaio delle mele doc ma caren­te di vocazioni. Don Alessio Pellegrin, 34 anni, voca­zione adulta, sa bene di essere sotto osservazione come cavia di una pastorale d’insieme «obbligata». Non chiedetegli di ricordare a memoria tut­ti i nomi dei santi protettori delle sue numerose parrocchie, piuttosto: co­me sono andati questi primi dodici mesi? «Direi che sono ancora più en­tusiasta di quando il vicario generale mi ha affidato quest’incarico lo scor­so anno – risponde a sorpresa – per­ché vedo che i laici collaborano con impegno nel proprio ambiente e sono disponibili per gli incontri di coordi­namento anche a fare qualche chilo­metro in più». A proposito, qualche quotidiano l’ha soprannominata «par­roco diesel» per il viavai degli incontri e delle tre Messe domenicali: lo stress principale? «La mia preoccupazione è saper trovare momenti per l’ascolto delle persone e per orientare i colla­boratori laici: dedico molto tempo agli in­contri in cui motivare i responsabili delle varie attività: dalle catechi­ste, numerose e valide, ai capicoro, ai ministri dell’Eucaristia…».

    La necessità, poi, a­guzza l’ingegno: le die­ci parrocchie pur con­servando la loro con­tabilità separata han­no un ufficio comune per i servizi dell’anagrafe parrocchia­le, in cui s’alternano i laici. «Valoriz­ziamo le occasione di unità fra i paesi, anche in collaborazione con le Pro Loco, i vigili del Fuoco volontari, le as­sociazioni… ». E i giovani? Molti vanno fuori valle a studiare. «Talvolta per spostarmi salgo sulla corriera di linea che attraversa i paesi così da poterli in­contrare e chiacchierare con loro», confida don Alessio, dopo aver valo­rizzato quest’inedita pastorale di au­tobus.

    Non un «prete super­man », tutt’altro. Con la semplicità dei monta­nari (viene dalle cime di Vigo di Fassa ed ha la pazienza dei passi len­ti) don Pellegrin sa be­ne che oggi il parroco non è più il perno at­torno a cui tutto ruota, ma piuttosto il regista accompagnatore che sa far «girare» le varie mi­nisterialità laicali nelle dieci parroc­chie sorelle. «Ma in questi primi tre an­ni di sacerdozio posso dire di aver gu­stato la bellezza di essere prete, avvi­cinando tante realtà di bisogno e di povertà anche spirituale». Occasioni, nel suo caso, moltiplicate per dieci.

    Reply
  21. 21

    Suor Marina

    Credo di poter qui replicare "per competenza" l’articolo di Suor Carla Lavelli, pubblicato a commento dell'articolo sull'innovazione immobiliare, poi trasformatosi in riflessione sull'educazione in genere:

    La Chiesa, comunità educante

    All’interno del Documento dei Vescovi per questo secondo decennio del millennio, vengono sottolineate due emergenze di notevole portata per la Chiesa italiana: una relativa all’educazione, ovvero alla capacità, da parte degli adulti, di accompagnare il processo di crescita delle nuove generazioni; l’altra relativa alla pastorale, cioè alla capacità della comunità ecclesiale di sostenere il cammino di maturazione dei propri membri nella fede.

    Nella pedagogia attuale si dà molto rilievo alla dimensione comunitaria, perché si ritiene che l’ambiente di appartenenza e di riferimento abbia un’elevata capacità formativa per l’interiorizzazione dei valori e rappresenti un’istanza critica significativa nei confronti di atteggiamenti e di orientamenti ricorrenti. Questa riflessione, che pone in relazione educazione e pastorale diventa, per questo, il tema proposto dal quarto capitolo del Documento “Educare alla vita buona del Vangelo”. La Chiesa, come comunità educante, diventa così il luogo privilegiato non solo per educare alla fede, ma per aprire ogni persona al fondamento di sé dentro la diversità dei percorsi nell’unità degli intenti. La complessità dell’impostazione sociale e culturale del nostro tempo diventa così occasione per operare “un’alleanza educativa tra tutti coloro che hanno responsabilità in questo delicato ambito della vita sociale ed ecclesiale” (Discorso alla 59a Assemblea Generale della CEI, 28 maggio 2009) e. pertanto, “è necessario che tutti i soggetti coinvolti operino armonicamente verso lo stesso fine” (n. 35). A livello ecclesiale, la comunità educante è costituita da tutti coloro che in qualche modo partecipano alla vita della Chiesa i quali, insieme alla famiglia, sono il centro propulsore e responsabile di tutta l’esperienza educativa e culturale. Un settore da sempre privilegiato e corteggiato è quello dei giovani, dove la scommessa consiste soprattutto nella capacità di entrare nei loro mondi e di frequentare i loro linguaggi.

    Il Documento sviluppa, poi, un elenco di luoghi educativi nei quali far emergere l’arte di educare secondo le linee progettuali del Vangelo: la famiglia, la parrocchia – espressa all’interno della catechesi, della liturgia e della carità – le associazioni, i gruppi e i movimenti, la pietà popolare, la vita consacrata, la scuola e l’università. Il Documento non rinuncia, poi, a puntare l’attenzione sulla responsabilità educativa della società e a dare spazio alla cultura digitale come nuovo parametro comunicativo soprattutto per le giovani generazioni che si riconoscono come nativi digitali. Al n. 36 del Documento viene analizzata la situazione della famiglia come “prima e indispensabile comunità educante”, denunciando al contempo le difficoltà di fondo che rendono la famiglia forte e fragile insieme. Viene tracciato anche un quadro abbastanza buio della famiglia parlando anche di “solitudine… inadeguatezza… impotenza… isolamento” (n. 36) fino a denunciare situazioni familiari che oscillano “tra la scarsa cura e atteggiamenti possessivi che tendono a soffocare la creatività dei figli e perpetuarne la dipendenza” (n. 36). Ora sappiamo bene che è vero che l’impronta data dalla famiglia rimane nel tempo, ma è altrettanto vero che spesso le famiglie si trovano a combattere contro pesanti condizionamenti esterni di difficile gestione. Penso diventi sempre più necessario dare alle famiglie la possibilità di un confronto e di un sostegno reciproco, costruire percorsi formativi condivisi, impegnarsi in progettualità educative che ci spingano a guardare il futuro con responsabilità e fiducia. Penso sia questo l’intento del Documento quando afferma: “Ogni famiglia è soggetto di educazione e di testimonianza umana e cristiana e come tale va valorizzata, all’interno della capacità di generare alla fede” (n. 37). Diventano, così, importanti i percorsi formativi rivolti alle giovani coppie o in preparazione al matrimonio, così come fondamentale è il sostegno alle coppie in difficoltà e tutti i percorsi legati ai Sacramenti dell’Iniziazione cristiana che vedono coinvolti non

    solo i bambini, ma pure le loro famiglie. Ritornare a far parlare i gesti, riempire di significato la Liturgia, educare ad una mentalità di fede attraverso una catechesi qualificata e integrata con la vita: tutto questo fa parte di quel “potenziale educativo… che alimenta un’autentica relazione con Dio e favorisce la formazione di una coscienza adulta” (n. 39). Senso di appartenenza, cordialità nei rapporti interpersonali, servizio e promozione della persona e della società, momenti di aggregazione e di festa fanno della Comunità cristiana un luogo in cui ciascuno può trovare sostegno, donare servizio, realizzare il proprio essere cristiano nella semplicità del quotidiano. Nello stesso tempo la Parrocchia ha il dovere di ricercare nuove possibilità di incontro e di confronto perché “oggi si impone la ricerca di nuovi linguaggi, non autoreferenziali e arricchiti delle acquisizioni di quanti operano nell’ambito della comunicazione, della cultura e dell’arte” (n. 41). I Vescovi parlano di “pastorale integrata” e questa viene indicata come la strada maestra per parlare alla cultura odierna. Pastorale integrata è, infatti, la capacità della fede di parlare alla vita e della vita, è la capacità di dialogare con i lontani nella cultura e nel tempo dentro confronti interculturali e interreligiosi, ma anche intergenerazionali per poter costruire “una fede consapevole che abbia piena cittadinanza nel nostro tempo, così da contribuire anche alla crescita della società” (n. 41). Si sa, infatti, che il dialogo tra generazioni è sempre più difficile. Si avverte nei mass-media (sempre pronti ad evidenziare gli aspetti negativi della Chiesa) e in molti credenti adulti, quanto la Chiesa fatichi a raggiungere le proprie finalità – forse anche perché tali finalità non sono così chiare -, in una società in rapido mutamento.

    E’ così che i luoghi educativi, come gli oratori, cammini formativi proposti da associazioni e movimenti e la stessa pietà popolare, possono diventare percorsi di costruzione di una sintesi armoniosa di fede e vita. Risorsa educativa della Chiesa è la Vita consacrata dentro la sua dimensione escatologica, che si realizza in servizio formativo alle giovani generazioni “facendole oggetto di un servizio pedagogico ricco di amore” (n. 45). Uno spazio abbastanza ampio viene dedicato alla Scuola e all’Università come luoghi educativi che hanno “il compito di trasmettere il patrimonio culturale elaborato nel passato, aiutare a leggere il presente, far acquisire le competenze per costruire il futuro” (n. 46). Abbiamo bisogno di una scuola capace di avvicinarsi ai giovani con capacità di ascolto, per aiutarli a conoscersi e a costruire la loro identità; una scuola che non si accontenta di dotare i giovani di competenze e abilità per renderli buoni esecutori, ma che li prepari a sviluppare uno spirito critico e li abitui a pensare con la propria testa per affrontare le sfide del nostro tempo; una scuola che sa diffondere la cultura del rispetto della vita, perché la sta sperimentando con i suoi giovani ed è capace di incoraggiare ciascuno a ricercare ciò per cui è fatto. Una scuola così ha bisogno di insegnanti che siano, anzitutto, educatori, di adulti che sappiano relazionarsi con i giovani con credibilità, maturità, autorevolezza e amore, consapevoli dell’importanza del loro compito.

    Una figura di riferimento per i giovani viene identificata con l’Insegnante di Religione presente nelle scuole di ogni ordine e grado. In lui il servizio alla comunità e all’istituzione scolastica è un tutt’uno così come lo sono la dimensione religiosa e quella culturale. Diventa pertanto indispensabile “sviluppare una proposta pedagogica e culturale di qualità” (n. 48) che tocchi anche l’università come luogo preposto alla costruzione di strumenti culturali capaci di orientare i giovani all’interno della complessità.

    Il Documento non si limita ad indicare luoghi e percorsi legati alla tradizione e all’esperienza comunitaria delle Parrocchie e degli Istituti religiosi. Al n. 50 viene richiamata, in modo molto chiaro, la responsabilità educativa dell’intera società chiamata a favorire “condizioni e stili di vita sani e rispettosi dei valori… capaci di promuovere lo sviluppo integrale della persona” perché essa “costituisce un ambiente vitale di forte impatto educativo… che condiziona, in bene o in male, la formazione dell’identità, incidendo profondamente sulle mentalità e sulle scelte di ciascuno”. Era inevitabile, a questo punto, aprire il discorso inerente alla cultura digitale che segna in modo netto il divario intergenerazionale tra i migranti e i nativi digitali. 1 nuovi mezzi di comunicazione costituiscono una risorsa da poter utilizzare a patto di capire bene la valenza morale che possono avere. La formazione non solo al loro utilizzo, ma soprattutto alla loro valenza educativa, alla loro possibilità di essere strumenti che ampliano la nostra umanità, piuttosto che ridurla, diventa una forte sfida per tutte le agenzie educative coinvolte nella formazione dei giovani e soprattutto degli adolescenti. Non a caso il capitolo si chiude con un forte richiamo della Chiesa italiana affinchè “l’impegno educativo sul versante della nuova cultura mediatica costituisca, negli anni a venire, un ambito privilegiato per la missione della Chiesa” (n. 51).

    Suor Carla Lavelli

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  22. 22

    Kamella Scemì

    Credo sia pertinente all'argomento questo discorso rivolto all'Azione Cattolica, in realtà all'intero mondo ecclesiale, da Sua Santità Benedetto XVI:

    Cari amici dell’Azione Cattolica Italiana!

    Siete riuniti nella vostra Assemblea generale sul tema: "Vivere la fede, amare la vita".

    L’impegno educativo dell’Azione Cattolica, per ribadire il vostro amore a Cristo e alla Chiesa e rinnovare il cammino della vostra Associazione, con l’impegno di assumervi pienamente la vostra responsabilità laicale a servizio del Vangelo. Siete ragazzi, giovani e adulti che si mettono a disposizione del Signore nella Chiesa con un impegno solenne, pubblico, in comunione con i Pastori, per dare buona testimonianza in ogni ambito della vita. La vostra presenza è capillare nelle parrocchie, nelle famiglie, nei quartieri, negli ambienti sociali: una presenza che vivete nella quotidianità e nell’aspirazione alla santità. I vostri bambini e ragazzi, adolescenti e giovani vogliono essere vivaci e felici, generosi e coraggiosi, come il beato Pier Giorgio Frassati. Avete slancio di dedizione alla costruzione della città di tutti e coraggio di servizio nelle istituzioni, come Vittorio Bachelet, come il beato Alberto Marvelli, come Giuseppe Toniolo, che presto sarà proclamato beato. Nel vostro progetto dei formazione umana e cristiana volete essere amici fedeli di Cristo, come le beate Pierina Morosini e Antonia Mesina, come la venerabile Armida Barelli. Volete ravvivare le nostre comunità con bambini affascinanti per la purezza del loro cuore, come Antonietta Meo, capaci di attirare anche i genitori a Gesù. Quando accolgo i vostri ragazzi in occasione del Natale o del mese della pace resto sempre ammirato della genuinità con cui comunicano la gioia del Signore.

    Ho incontrato l’anno scorso in ottobre i vostri adolescenti e giovani, impegnati e festosi, amanti della libertà vera che li orienta a una vita generosa, a un apostolato diretto. Essi hanno davanti a sé l’esempio di uomini e donne contenti della loro fede, che vogliono accompagnare le nuove generazioni con amore, con saggezza e con la preghiera, che intendono costruire con pazienza tessuti di vita comunitaria e affrontare i problemi più scottanti della vita quotidiana della famiglia: la difesa della vita, la sofferenza delle separazioni e dell’abbandono, la solidarietà nelle disgrazie, l’accoglienza dei poveri e dei senza patria. Vi seguono presbiteri assistenti che sanno bene che cosa significa educare alla santità. Nelle diocesi siete chiamati a collaborare con i vostri Vescovi, in maniera costante, fedele e diretta, alla vita e alla missione della Chiesa. Tutto questo non nasce spontaneamente, ma con una risposta generosa alla chiamata di Dio a vivere con piena responsabilità il Battesimo, la dignità dell’essere cristiani. Perciò vi stabilite in associazione con ideali e qualità precisi come li indica il Concilio Ecumenico Vaticano II: un’associazione che ha il fine apostolico della Chiesa, che collabora con la gerarchia, che si manifesta come corpo organico e che dalla Chiesa riceve un mandato esplicito (cfr. Decr. Apostolicam actuositatem, 20). Sulla base di ciò che voi siete vorrei, cari amici, sulla scia dei miei venerati Predecessori, affidarvi alcune indicazioni di impegno.

    La prospettiva educativa

    Nella linea tracciata dai Vescovi per le Chiese che sono in Italia, siete particolarmente chiamati a valorizzare la vostra vocazione educativa. L’Azione Cattolica è una forza educativa qualificata, sostenuta da buoni strumenti, da una tradizione più che centenaria. Sapete educare bambini e ragazzi con l’ACR, sapete realizzare percorsi educativi con adolescenti e giovani, siete capaci di una formazione permanente per gli adulti. La vostra azione sarà maggiormente incisiva se, come già fate, lavorerete ancor più fra di voi in un’ottica profondamente unitaria e favorirete collaborazioni con le altre forze educative sia ecclesiali che civili. Per educare occorre andare oltre l’occasione, il momento immediato, e costruire con la collaborazione di tutti un progetto di vita cristiana fondato sul Vangelo e sul magistero della Chiesa, mettendo al centro una visione integrale della persona. Il vostro Progetto Formativo è valido per tanti cristiani e uomini di buona volontà, soprattutto se possono vedere in voi modelli di vita cristiana, di impegno generoso e gioioso, di interiorità profonda e di comunione ecclesiale.

    La proposta della santità

    Le vostre associazioni siano palestre di santità, in cui ci si allena ad una dedizione piena alla causa del Regno di Dio, ad una impostazione di vita profondamente evangelica che vi caratterizza come laici credenti nei luoghi del vivere quotidiano. Questo esige intensa preghiera sia comunitaria che personale, ascolto continuato della Parola di Dio, assidua vita sacramentale. Occorre rendere il termine “santità” una parola comune, non eccezionale, che non designa soltanto stati eroici di vita cristiana, ma che indica nella realtà di tutti i giorni una decisa risposta e disponibilità all’azione dello Spirito Santo.

    La formazione all’impegno culturale e politico

    Santità significa per voi anche spendersi al servizio del bene comune secondo i principi cristiani offrendo nella vita della città presenze qualificate, gratuite, rigorose nei comportamenti, fedeli al magistero ecclesiale e orientale al bene di tutti. La formazione all’impegno culturale e politico rappresenta dunque per voi un compito importante, che richiede un pensiero plasmato dal Vangelo, capace di argomentare idee e proposte valide per i laici E’ questo un impegno che si attua anzitutto a partire dalla vita quotidiana, di mamme e papà alle prese con le nuove sfide dell’educazione dei figli, di lavoratori e di studenti, di centri di cultura orientati al servizio della crescita di tutti. L’Italia ha attraversato periodi storici difficili e ne è uscita rinvigorita anche per la dedizione incondizionata di laici cattolici, impegnati nella politica e nelle istituzioni. Oggi la vita pubblica del Paese richiede un’ulteriore generosa risposta da parte dei credenti, affinché mettano a disposizione di tutti le proprie capacità e le proprie forze spirituali, intellettuali e morali.

    Una dedizione di ampio respiro nel grande sconvolgimento del mondo e del Mediterraneo

    Vi chiedo infine di essere generosi, accoglienti, solidali, e soprattutto comunicatori della bellezza della fede. Tanti uomini, donne e giovani vengono a contatto con il nostro mondo, che conoscono superficialmente, abbagliati da immagini illusorie, e hanno bisogno di non perdere speranza, di non barattare la loro dignità. Hanno bisogno di pane, di lavoro, di libertà, di giustizia, di pace, di veder riconosciuti i propri inderogabili diritti di figli di Dio. Hanno bisogno di fede, e noi possiamo aiutarli, nel rispetto delle loro convinzioni religiose, in uno scambio libero e sereno, offrendo con semplicità, franchezza e zelo la nostra fede in Gesù Cristo. Nella costruzione della storia dell’Italia l’Azione Cattolica – come ho già avuto modo di scrivere al Presidente della Repubblica in occasione del 150° dell’Unità d’Italia – ha avuto una grande parte, sforzandosi di tenere assieme amore di patria e fede in Dio. Radicata in tutto il territorio nazionale, essa può contribuire anche oggi a creare una cultura popolare, diffusa, positiva, e formare persona responsabili capaci di mettersi al servizio del Paese, proprio come nella stagione in cui fu elaborata la Carta costituzionale e si ricostruì il Paese dopo la seconda guerra mondiale. L’Azione Cattolica può aiutare l’Italia a rispondere alla sua vocazione peculiare, collocata nel Mediterraneo, crocevia di culture, di aspirazioni, di tensioni che esigono una grande forza di comunione, di solidarietà e di generosità. L’Italia ha sempre offerto ai popoli vicini e lontani la ricchezza della sua cultura e della sua fede, della sua arte e del suo pensiero. Oggi voi laici cristiani siete chiamati ad offrire con convinzione la bellezza della vostra cultura e le ragioni della vostra fede, oltre che la solidarietà fraterna, affinché l’Europa sia all’altezza delle presente sfida epocale.

    Nel rivolgere all’intera Assemblea il mio augurio più cordiale, saluto il Presidente, prof. Franco Miano, l’Assistente generale, Mons. Domenico Sigalini, e tutti i delegati, ed a ciascuno e alla grande famiglia dell’Azione Cattolica Italiana invio una speciale Benedizione Apostolica.

    Dal Vaticano, 6 maggio 2011

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  23. 23

    Kamella Scemì

    Credo sia utilissimo il contributo che dà all'argomento Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Gianfranco Ravasi, oggi sul Mattutino di Avvenire, il mio quotidiano preferito:

    MILLE COMANDAMENTI

    "Capisco perché i dieci comandamenti sono tanto chiari e privi di ambiguità: non furono redatti da un'assemblea".

    Uno dei padri del deserto egiziano, abba Sisoes, un giorno si lasciò sfuggire questa considerazione: «Se Dio avesse chiesto il parere ai teologi della scuola di Alessandria d'Egitto per elaborare il Decalogo, noi oggi invece di dieci avremmo mille comandamenti». Qualcosa del genere ci ripete un uomo politico tedesco ormai entrato nella storia, Konrad Adenauer (1876-1967), con questa sua battuta che colpisce un vizio non esclusivo della politica, ma ben attestato anche nella sfera ecclesiale. Pensiamo alla verbosità di certe assemblee parrocchiali, alla ridondanza di alcune preghiere dei fedeli, all'inconsistenza prolissa di non poche prediche. Davanti a noi stanno, invece, quelle «dieci parole», siglate dal dito di Dio, come dice la Bibbia, un esempio di limpidità, di concisione e di precisione impositiva. È giusto, allora, operare una purificazione della parola, dei pensieri, della riflessione per giungere all'essenziale. È necessario ritornare al cuore dei problemi, alla sostanza della fede, ai principi fondamentali della morale. È indispensabile riproporre i temi «ultimi», come morte, vita e oltrevita, bene e male, sofferenza, giustizia e verità, amore e bellezza, senza attardarci su tante questioni «penultime» che sono marginali e dispersive. Lo sguardo, però, deve allargarsi anche alla vita quotidiana profana, ove assistiamo spesso al trionfo del chiacchiericcio, dell'eccesso, dell'esasperazione verbale che è specchio di un'anima superficiale e colma di banalità. Men of few words are the best men, diceva lapidariamente l'Enrico V di Shakespeare: sì, chi è di poche ma sostanziose parole rivela una ricchezza interiore.

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  24. 24

    Kamella Scemì

    Indubbiamente un quadro sociale sufficientemente completo, e da sottoporre ad analisi critica, è quello periodicamente presentatoci dall’Assemblea dei vescovi italiani. Questo il documento conclusivo dei lavori, in cui particolare attenzione viene prestata all'organizzazione ecclesiastica. E vi trapela una notevole e preoccupata insoddisfazione:

    Conferenza Episcopale Italiana

    63ª ASSEMBLEA GENERALE

    Roma, 23 – 27 maggio 2011

    Comunicato finale

    “La comunione nello Spirito Santo è la condizione del giusto discernimento”.

    Queste parole, pronunciate dal Card. Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i

    Vescovi, nell’omelia della Concelebrazione eucaristica in San Pietro, individuano con

    efficacia i tratti caratterizzanti la 63ª Assemblea Generale della CEI (Roma, 23-27

    maggio 2011). A essa hanno preso parte 231 membri e 18 Vescovi emeriti, a cui si sono

    aggiunti 22 rappresentanti di Conferenze Episcopali europee, i delegati dei religiosi,

    delle religiose, degli Istituti secolari, della Commissione Presbiterale Italiana e della

    Consulta Nazionale delle aggregazioni laicali, nonché alcuni esperti, in ragione degli

    argomenti trattati.

    Uno spirito di comunione ha contraddistinto anzitutto la prolusione del Presidente, il Card. Angelo Bagnasco, che ha riletto, a partire dalla recente beatificazione, la figura e il magistero di Giovanni Paolo II, riproponendo la forza

    rigenerante dell’originalità cristiana, anche in un clima culturale segnato dal dilagare del secolarismo e del relativismo. Con fermezza, esprimendo “dolore e incondizionata

    solidarietà” alle vittime e alle loro famiglie, ha ribadito il dovere di affrontare l’infame piaga degli abusi sessuali perpetrati da sacerdoti; la preoccupazione per la crisi della vita pubblica e per l’individualismo indiscriminato che porta a ignorare le urgenze sociali; il bisogno di tutelare la persona in ogni momento della vita e la famiglia, come nucleo primario della società; la necessità di qualificare la scuola e di una politica del lavoro che abbia a cuore il futuro dei giovani. L’anelito alla comunione ha indotto a varcare i confini del nostro Paese, per soffermarsi sullo situazione del Medio Oriente e del Nordafrica, con particolare attenzione alla Libia, chiedendo un “cessate il fuoco” che apra la strada alla diplomazia e a un diverso coinvolgimento dell’Unione europea.

    La comunione si è manifestata visibilmente nella celebrazione mariana del 26 maggio nella Basilica di S. Maria Maggiore, nella quale i Vescovi, riuniti in preghiera intorno al Santo Padre, hanno rinnovato l’affidamento dell’Italia alla Vergine Madre, nell’anno in cui ricorre il centocinquantesimo anniversario dell’unità politica.

    L’Assemblea Generale ha esercitato il suo discernimento in particolare riflettendo sulle modalità secondo cui articolare nel decennio corrente gli Orientamenti pastorali Educare alla vita buona del Vangelo, approvati nel 2010. In quest’opera i Vescovi sono stati guidati da due relazioni magistrali, l’una volta ad approfondire cosa significhi introdurre e accompagnare all’incontro con Cristo nella comunità ecclesiale,

    e l’altra imperniata sulla sfida che il secolarismo pone all’universalità cristiana.

    Continuando l’opera iniziata nella precedente Assemblea Generale, tenuta ad Assisi nel novembre scorso, i Vescovi hanno esaminato e approvato la seconda parte dei materiali della terza edizione italiana del Messale Romano. Fra gli adempimenti di natura amministrativa, spicca l’approvazione della ripartizione e dell’assegnazione delle somme derivanti dall’otto per mille.

    A integrazione dei lavori, sono state svolte comunicazioni e date informazioni su alcune esperienze ecclesiali di rilevanza nazionale e sui prossimi eventi che coinvolgeranno le Chiese in Italia.

    1. L’esperienza cristiana, via della bellezza.

    L’educazione è il fulcro prospettico e l’impegno prioritario delle diocesi italiane nel decennio corrente: ciò impone un’attenta analisi delle dinamiche culturali in cui essa è chiamata a vivere. È fondamentale affrontare il discorso culturale per giungere a una proposta di fede, in una società nella quale il pensiero individualistico trasforma la libertà in privilegio del più forte e conduce alla deriva dell’indifferenza.

    Oggi la secolarizzazione costituisce la condizione normale per ciascuno.

    L’approfondimento dedicato al tema ha aiutato a recuperare la genesi storica di questa situazione, che ha visto anzitutto venire meno la fiducia che la singolarità di Cristo conferisca unità e senso a tutto ciò che è umano. Questa frattura ha aperto la strada alla privatizzazione della fede e alla costruzione di alternative culturali all’universalismo cristiano, sfociate nelle ideologie del Novecento. La critica radicale all’Assoluto ha portato con sé anche la negazione degli assoluti antropologici, con l’avvento dei particolarismi, della frammentarietà e della solitudine, fino alla deriva nichilista.

    Per non restare succubi e inerti, è indispensabile riproporre l’esperienza cristiana quale sintesi forte e bella, che individua nel Cristo il principio che ridona respira a tutto l’umano. Educare alla fede diventa così la prima urgenza e il primo servizio a cui la Chiesa è chiamata, dando respiro e profondità all’impegno culturale e alla testimonianza della carità.

    2. Con la forza di un incontro.

    L’orizzonte della fede non muove da una dottrina o da un’etica, ma da un incontro personale. Nel dibattito in aula è emersa con forza la necessità di contestualizzare l’opera educativa della Chiesa nel panorama culturale, consapevoli del fatto che è questo il momento per indicare strade che introducano e accompagnino all’incontro con Cristo. In tale ottica, il lavoro in gruppi di studio – finalizzato a

    individuare soggetti e metodi dell’educazione alla fede – ha evidenziato anzitutto

    l’imprescindibilità, per la trasmissione della fede, di relazioni profonde di prossimità e di

    accompagnamento, nella linea dell’icona evangelica dei discepoli di Emmaus.

    Molti hanno sottolineato come non manchino nelle nostre comunità sperimentazioni stimolanti e buone prassi, soprattutto nell’ambito dell’iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi: un primo obiettivo operativo sarà quello di una mappatura delle esperienze, che ne consenta una conoscenza più diffusa in vista del

    discernimento.

    La famiglia – spesso integrata dall’apporto dei nonni – resta il soggetto educativo primario, nonostante le fragilità che la segnano. Un nuovo rilievo può essere assunto dai padrini, se scelti in quanto persone disponibili e idonee a favorire la formazione cristiana delle nuove generazioni.

    Accanto alla famiglia, rimane fondamentale il ruolo della parrocchia.

    Associazioni laicali, gruppi e movimenti vanno a loro volta valorizzati, verificandone con puntualità esperienze e proposte educative. Molto ci si attende dai sacerdoti: ribadendo la stima nei loro confronti, per la dedizione di cui danno prova, si chiede loro un salto di qualità, le cui basi devono essere poste sin dalla formazione in seminario.

    Educatore per eccellenza, il sacerdote non può a sua volta esimersi dal dovere della formazione permanente, antidoto al rischio di lasciarsi travolgere dalle esigenze del fare, perdendo i riferimenti complessivi del quadro culturale ed ecclesiologico, senza i quali l’attività pastorale si condanna alla sterilità.

    I Vescovi hanno condiviso l’importanza di offrire una risposta accogliente e vitale in particolare ai cosiddetti “ricomincianti”: quanti, cioè, dopo un tempo di indifferenza o di distacco, maturano la volontà di riavvicinarsi alla pratica religiosa e di

    sentirsi parte della Chiesa. Un’attenzione specifica deve essere rivolta agli immigrati –

    specialmente alle giovani generazioni –, destinati a diventare parte integrante delle

    comunità ecclesiali e del Paese.

    3. La carità politica nasce dalla santità.

    La prolusione del Cardinale Presidente è stata apprezzata per l’impostazione, l’equilibrio e l’ampiezza di sguardo. In particolare, i Vescovi hanno condiviso la preoccupazione per la situazione di precariato lavorativo che mette a dura prova soprattutto i giovani, e per la contrazione dei servizi sociali – a partire dall’offerta sanitaria. Il doveroso contenimento della spesa pubblica non può, infatti, avvenire

    penalizzando il livello delle prestazioni sociali, che è segno di civiltà garantire a tutti.

    Unanime è l’impegno a investire energie per formare una nuova generazione di amministratori e di politici appassionata al bene comune. C’è bisogno in questo campo di luoghi, metodi e figure significative: tra esse, spicca per la sua esemplarità il Servo di Dio Giuseppe Toniolo, la cui prossima beatificazione costituirà un’opportunità per rilanciare un modello di fedele laico capace di vivere la misura alta della santità.

    Gli abusi sessuali compiuti da ministri ordinati sono una piaga infame, che “causa danni incalcolabili a giovani vite e alle loro famiglie, cui non cessiamo di presentare il nostro dolore e la nostra incondizionata solidarietà”: stringendosi intorno al Cardinale Presidente e facendone proprie le parole ferme, i Vescovi hanno ribadito che sull’integrità dei sacerdoti non si può transigere. Condivisa è la certezza che chiarezza, trasparenza e decisione, unite a pazienza e carità, sono la via della perenne riforma della Chiesa.

    Profonda sintonia è emersa anche nella valutazione della drammatica situazione libica: i Vescovi hanno chiesto con fermezza che le armi cedano il posto alla diplomazia; che l’Europa avverta come il Nordafrica rappresenti oggi un appuntamento a cui è essa convocata dalla storia; che l’impegno di accoglienza dei profughi sia condiviso a livello comunitario. Particolare riconoscenza va alle Caritas diocesane e alle associazioni di volontariato che si stanno spendendo per fare fronte all’emergenza, forti di

    un’esperienza di integrazione da tempo quotidianamente condotta.

    4. Sotto il manto della Vergine.

    L’Assemblea Generale ha vissuto il suo momento più alto e toccante giovedì 26 maggio, stingendosi in preghiera intorno al Santo Padre per la recita del Rosario nella Basilica di S. Maria Maggiore.

    In questo modo – come ha ricordato il Cardinale Presidente nell’indirizzo di saluto – si è voluto affidare l’Italia a Maria nel centocinquantesimo anniversario dell’unità nazionale, richiamando i tasselli di una memoria condivisa e additando gli

    elementi di una prospettiva futura per il Paese.

    Papa Benedetto XVI, osservando che a ragione l’Italia può essere orgogliosa della presenza e dell’azione della Chiesa, ha esortato i Vescovi a essere coraggiosi nel porgere a tutti ciò che è peculiare dell’esperienza cristiana: la vittoria di Dio sul male e sulla morte, quale orizzonte che getta una luce di speranza sul presente. In particolare, ha incoraggiato le iniziative di formazione ispirate alla dottrina sociale della Chiesa e ha sostenuto gli sforzi di quanti si impegnano a contrastare il precariato lavorativo, che compromette nei giovani la serenità di un progetto di vita familiare.

    5. Liturgia, fulcro dell’educazione.

    La liturgia costituisce il cuore dell’azione educativa della Chiesa. Continuando il lavoro intrapreso nella precedente Assemblea Generale (Assisi, 8-11 novembre 2010), i Vescovi hanno esaminato i materiali della seconda parte della terza edizione italiana del Messale Romano. Per completare l’opera, restano da affrontare gli adattamenti propri della versione italiana: essi saranno esaminati nella prossima Assemblea Generale, che si terrà a Roma nel maggio 2012.

    6. Adempimenti amministrativi, comunicazioni e informazioni.

    Come ogni anno, i Vescovi hanno provveduto ad alcuni adempimenti amministrativi, fra cui spicca l’approvazione dell’assegnazione e della ripartizione delle somme provenienti dall’otto per mille per il 2011. I dati, come sempre riferiti alle dichiarazioni dei redditi effettuate tre anni fa, cioè nel 2008, confermano l’ottima tenuta

    del meccanismo dell’otto per mille: all’aumento complessivo del numero dei firmatari, è

    corrisposta la perfetta tenuta della percentuale di quanti hanno espresso la propria preferenza per la Chiesa cattolica. Ciò induce a perseverare nell’impegno di trasparenza quanto all’utilizzazione e alla rendicontazione di queste somme.

    Si è data comunicazione degli esiti della rilevazione delle opere sanitarie e sociali

    ecclesiali presenti in Italia. È stato presentato il libro bianco informatico sulle opere

    realizzate grazie ai fondi dell’otto per mille, nonché il portale internet http://www.chiesacattolica.it. Si sono forniti ragguagli sul seminario di studio per i Vescovi sul tema dei rapporti fra Chiesa, confessioni religiose e Unione europea (Roma, 14-16 novembre 2011). Altre informazioni hanno riguardato la Giornata per la Carità del Papa,

    la Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid, il Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona e l’Incontro Mondiale delle Famiglie di Milano.

    Infine, è stato approvato il calendario delle attività della CEI per l’anno pastorale 2011-2012.

    7. Nomine.

    La Presidenza della CEI, riunitasi il 23 maggio, ha nominato don Paolo Morocutti (Siena – Colle di Val d’Elsa – Montalcino) Assistente Ecclesiastico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Roma.

    Il Consiglio Episcopale Permanente, riunitosi il 25 maggio, ha provveduto alle seguenti nomine:

    – Padre Michele Pischedda, Oratoriano, Assistente Ecclesiastico Nazionale della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI).

    – S.E. Mons. Luigi Marrucci, Vescovo di Civitavecchia – Tarquinia, Assistente Ecclesiastico Nazionale dell’UNITALSI.

    – Don Danilo Priori (L’Aquila), Vice Assistente Ecclesiastico Nazionale dell’UNITALSI.

    – Prof. Francesco Miano, Presidente Nazionale dell’Azione Cattolica Italiana.

    – Dott.ssa Francesca Simeoni, Presidente Nazionale Femminile della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI).

    Ha inoltre confermato:

    – Avv. Salvatore Pagliuca, Presidente dell’UNITALSI.

    – Mons. Antonio Donghi (Bergamo), Assistente Spirituale Nazionale dell’Associazione Opera della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo.

    Roma, 27 maggio 2011

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  25. 25

    Karl Heinz Treetball

    Credo sia pertinente all'argomento il discorso rivolto ieri dal nostro amatissimo Papa ai pellegrini pugliesi di Altamura, impegnati in diocesi nel loro sinodo:

    DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

    AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO DELLA DIOCESI DI ALTAMURA-GRAVINA-ACQUAVIVA DELLE FONTI

    Aula Paolo VI

    Sabato, 2 luglio 2011

    Eccellenza,

    Cari fratelli e sorelle!

    Sono realmente lieto di accogliervi così numerosi e pieni dell’entusiasmo della fede. Grazie a voi! Ringrazio il Vescovo Mons. Mario Paciello per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti. Saluto le Autorità civili, i Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose, i Seminaristi e ciascuno di voi, estendendo il mio pensiero e il mio affetto alla vostra Comunità diocesana, in particolare a coloro che vivono situazioni di sofferenza e di disagio. Sono grato al Signore perché la vostra visita mi offre la possibilità di condividere un momento del cammino sinodale della Chiesa che è in Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti. Il Sinodo è un evento che fa vivere concretamente l’esperienza di essere “Popolo di Dio” in cammino, di essere Chiesa, comunità pellegrina nella storia verso il suo compimento escatologico in Dio. Questo significa riconoscere che la Chiesa non possiede in se stessa il principio vitale, ma dipende da Cristo, di cui è segno e strumento efficace. Nella relazione con il Signore Gesù essa trova la propria identità più profonda: essere dono di Dio all’umanità, prolungando la presenza e l’opera di salvezza del Figlio di Dio per mezzo dello Spirito Santo. In quest’orizzonte comprendiamo che la Chiesa è essenzialmente un mistero d’amore a servizio dell’umanità in vista della sua santificazione. Il Concilio Vaticano II ha affermato su questo punto: “Piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e santamente lo servisse” (Lumen gentium n. 9). Vediamo qui che realmente la Parola di Dio ha creato un popolo, una comunità, ha creato una comune gioia, un pellegrinaggio comune verso il Signore. L’essere Chiesa quindi non viene solo da una forza organizzativa nostra, umana, ma trova la sua sorgente e il suo vero significato nella comunione d’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: questo amore eterno è la fonte dalla quale viene la Chiesa e la Trinità Santissima è il modello di unità nella diversità e genera e plasma la Chiesa come mistero di comunione.

    È necessario ripartire sempre e in modo nuovo da questa verità per comprendere e vivere più intensamente l’essere Chiesa, “Popolo di Dio”, “Corpo di Cristo”, “Comunione”. Altrimenti si corre il rischio di ridurre il tutto ad una dimensione orizzontale, che snatura l’identità della Chiesa e l’annuncio della fede e farebbe più povera la nostra vita e la vita della Chiesa. E’ importante sottolineare che la Chiesa non è un’organizzazione sociale, filantropica, come ve ne sono molte: essa è la Comunità di Dio, è la Comunità che crede, che ama, che adora il Signore Gesù e apre le “vele” al soffio dello Spirito Santo, e per questo è una Comunità capace di evangelizzare e di umanizzare. La relazione profonda con Cristo, vissuta e alimentata dalla Parola e dall’Eucaristia, rende efficace l’annuncio, motiva l’impegno per la catechesi e anima la testimonianza della carità. Molti uomini e donne del nostro tempo hanno bisogno di incontrare il Dio, di incontrare Cristo o di riscoprire la bellezza del Dio vicino, del Dio che in Gesù Cristo ha mostrato il suo volto di Padre e chiama a riconoscere il senso e il valore dell’esistenza. Far capire che è bene vivere da uomo. L’attuale momento storico è segnato, lo sappiamo, da luci e ombre. Assistiamo ad atteggiamenti complessi: ripiegamento su se stessi, narcisismo, desiderio di possesso e di consumo, sentimenti e affetti slegati dalla responsabilità. Tante sono le cause di questo disorientamento, che si manifesta in un profondo disagio esistenziale, ma al fondo di tutto si può intravedere la negazione della dimensione trascendente dell’uomo e della relazione fondante con Dio. Per questo è decisivo che le comunità cristiane promuovano percorsi validi e impegnativi di fede.

    Cari amici, particolare attenzione va posta al modo di considerare l’educazione alla vita cristiana, affinché ogni persona possa compiere un autentico cammino di fede, attraverso le diverse età della vita; un cammino nel quale – come la Vergine Maria – la persona accoglie profondamente la Parola di Dio e la mette in pratica, diventando testimone del Vangelo. Il Concilio Vaticano II, nella Dichiarazione Gravissimum educationis, afferma: “L’educazione cristiana tende soprattutto a far sì che i battezzati, iniziati gradualmente alla conoscenza del mistero della salvezza, prendano sempre maggiore coscienza del dono della fede, che hanno ricevuto…si preparino a vivere la propria vita secondo l’uomo nuovo, nella giustizia e nella santità della verità” (n. 2). In questo impegno educativo la famiglia resta la prima responsabile. Cari genitori, siate i primi testimoni della fede! Non abbiate paura delle difficoltà in mezzo alle quali siete chiamati a realizzare la vostra missione. Non siete soli! La comunità cristiana vi sta vicino e vi sostiene. La catechesi accompagna i vostri figli nella loro crescita umana e spirituale, ma essa va considerata come una formazione permanente, non limitata alla preparazione per ricevere i Sacramenti; dobbiamo in tutta la nostra vita crescere nella conoscenza di Dio, così nella conoscenza di che cosa significhi essere un uomo. Sappiate attingere sempre forza e luce dalla Liturgia: la partecipazione alla Celebrazione eucaristica nel Giorno del Signore è decisiva per la famiglia, per l’intera Comunità, è la struttura del nostro tempo. Ricordiamo sempre che nei Sacramenti, soprattutto nell’Eucaristia, il Signore Gesù opera per la trasformazione degli uomini assimilandoci a Sé. E’ proprio grazie all’incontro con Cristo, alla comunione con Lui, che la comunità cristiana può testimoniare la comunione, aprendosi al servizio, accogliendo i poveri e gli ultimi, riconoscendo il volto di Dio nell’ammalato e in ogni bisognoso. Vi invito, quindi, partendo dal contatto con il Signore nella preghiera quotidiana e soprattutto nell’Eucaristia, a valorizzare in modo adeguato le proposte educative e i percorsi di volontariato esistenti in diocesi, per formare persone solidali, aperte e attente alle situazioni di disagio spirituale e materiale. In definitiva, l’azione pastorale deve mirare a formare persone mature nella fede, per vivere in contesti nei quali spesso Dio viene ignorato; persone coerenti con la fede, perché si porti in tutti gli ambienti la luce di Cristo; persone che vivono con gioia la fede, per trasmettere la bellezza di essere cristiani.

    Un pensiero speciale desidero rivolgerlo infine a voi, cari sacerdoti. Siate sempre riconoscenti del dono ricevuto, perché possiate servire, con amore e dedizione, il Popolo di Dio affidato alle vostre cure. Annunciate con coraggio e fedeltà il Vangelo, siate testimoni della misericordia di Dio e, guidati dallo Spirito Santo, sappiate indicare la verità, non temendo il dialogo con la cultura e con coloro che sono in ricerca di Dio.

    Cari fratelli e sorelle, affidiamo il cammino della vostra Comunità diocesana a Maria Santissima, Madre del Signore e Madre della Chiesa, Madre nostra. In lei contempliamo quello che la Chiesa è ed è chiamata ad essere. Con il suo “sì” ha dato al mondo Gesù ed ora partecipa pienamente della gloria di Dio. Anche noi siamo chiamati a donare il Signore Gesù all’umanità, non dimenticando di essere sempre suoi discepoli. Vi ringrazio ancora molto della vostra bella visita e di tutto cuore vi ringrazio della vostra fede e vi accompagno con la preghiera e imparto a tutti voi e all’intera Diocesi la Benedizione Apostolica.

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