Un Governo serio saprebbe indurre i nostri disoccupati a trovarsi un lavoro ed invece sa solo promuove la cultura assistenzialista che sta distruggendo il Paese.
Le televisioni, che sono tutte schierate politicamente, hanno ormai lavato il cervello della popolazione ed hanno convinto quasi tutti che il miglior partito politico è quello più assistenzialista. I politici vengono scelti prevalentemente per la loro falsa generosità, per la loro fantasia nell’effettuare promesse che non riusciranno a mantenere ed a prescindere dalla loro vera capacità di gestione.
Ovviamente il risultato è che chi ha veramente bisogno non può essere assistito ed in futuro sarà sempre peggio.
Follie come il bonus vacanze o il cashback erano difficili da pensare …
Così nessuno deve sapere:
- che la spesa assistenziale dell’INPS è pari a due terzi della spesa pensionistica complessiva dell’INPS;
- che l’INPS non è in equilibrio finanziario ma riesce a mala pena ad erogare le pensioni con i contributi che raccoglie, il che significa che ha un buco di 3 o 4 volte il Pil del Paese;
- che il nostro debito pubblico è esploso e che non potrà essere più rimborsato;
- che in Italia sono più quelli che non lavorano rispetto a quelli che lavorano;
- ecc.
Certamente questo Governo ha toccato il fondo con la trovata del reddito di cittadinanza ma nemmeno in Lombardia, dove c’è uno schieramento politico di colore opposto, hanno saputo fare meglio se pensiamo che ancora oggi, mentre aspettiamo che ci regalino il vaccino anti covid, non riusciamo nemmeno a comprare, pagando con i nostri soldi, un vaccino anti influenzale.
Leggendo questa poesia di Trilussa c'è da pensare ad un male antico: Ner modo de pensà c’è un gran divario: mi’ padre è democratico cristiano, e, siccome è impiegato ar Vaticano, tutte le sere recita er rosario; de tre fratelli, Giggi ch’è er più anziano è socialista rivoluzzionario; io invece so’ monarchico, ar contrario de Ludovico ch’è repubblicano. Prima de cena liticamo spesso pè via de ’sti princìpi benedetti: chi vo’ qua, chi vo’ là... Pare un congresso! Famo l’ira de Dio! Ma appena mamma ce dice che so’ cotti li spaghetti semo tutti d’accordo ner programma.
One Comment
Cottarelli
All’italiano medio è mai importato molto del debito pubblico? E, poi questo debito costa poco. Abbiamo tassi di interesse ai livelli più bassi dall’unità d’Italia, grazie ai soldi che arrivano dall’Europa. Quindi, per ora, è un debito poco pesante. Se non ci importava del debito quando i tassi di interesse erano alti, figuriamoci ora.E che male c’è allora se lo Stato ci sussidia? Niente di male, nell’immediato. Dal punto di vista macroeconomico, siamo nel mezzo della peggiore crisi dell’ultimo secolo.
di CARLO COTTARELLI*
La ricerca Demos sul Rapporto fra gli italiani e lo Stato, commentata ieri su queste colonne da Ilvo Diamanti, è molto interessante. Il grado di fiducia nello Stato è aumentato balzando dal 22% del 2019 al 33% nel 2020. Diamanti attribuisce questo alla paura che porta a stringerci verso le istituzioni. È una interpretazione plausibile. Ma un fatto rende plausibile anche un’altra interpretazione. Il picco precedente nel grado di popolarità dello Stato risale al 2009. È un caso che dall’anno dopo siano iniziate le politiche di contenimento dei deficit pubblici?Anche se non si è trattato in ogni anno di austerità, dal 2010 le “manovre” sono sempre state caratterizzate da un’attenzione al deficit.
Era il tempo dello “zero virgola” nelle discussioni con la Commissione, del “non si può”, della paura dello spread.Per la prima volta da allora lo Stato è diventato un erogatore di risorse in misura massiccia. Il deficit pubblico, ossia la differenza tra spese ed entrate pubbliche e quindi il netto che lo Stato mette nell’economia, quest’anno raggiunge l’11 per cento del Pil, circa 180 miliardi, contro i 30 del 2019. Per trovare un rapporto tra deficit e Pil di simile dimensione occorre risalire all’inizio degli anni ’90.Ma c’è un’importante differenza. In quegli anni il deficit includeva una spesa per interessi che compensava i detentori di titoli di stato per l’erosione del valore di tali titoli dovuta all’alta inflazione.
Ora l’inflazione è bassa e tutto il deficit è vero deficit. Non ho fatto i calcoli, ma mi azzardo a dire che, probabilmente, il rapporto tra deficit e Pil al netto di questo effetto-inflazione è ora il più alto dalla seconda guerra mondiale.Quindi gli italiani tornano ad apprezzare uno stato mamma, ma una mamma che ti fa ristrutturare la casa gratis, che ti compra la bicicletta, che ti dà il cashback per le spese di Natale, che contribuisce al costo delle tue vacanze, che ti assume, che ti taglia i contributi sociali (al Sud) e che ti aiuta a cambiare i rubinetti.
Certo, i soldi non arrivano a tutti e magari non arrivano proprio a chi ha avuto perdite elevate.Ma i benefici arrivano anche a tanti che di perdite non ne hanno avute (pensiamo ai dipendenti pubblici, ma non solo). Insomma 180 miliardi sono pur sempre 180 miliardi e ti fanno guardare allo Stato con più fiducia.Qualcuno potrebbe obiettare che tutto questo viene pagato a debito, cadendo sulle generazioni future.
Ma all’italiano medio è mai importato molto del debito pubblico? E, poi questo debito costa poco. Abbiamo tassi di interesse ai livelli più bassi dall’unità d’Italia, grazie ai soldi che arrivano dall’Europa. Quindi, per ora, è un debito poco pesante. Se non ci importava del debito quando i tassi di interesse erano alti, figuriamoci ora.E che male c’è allora se lo Stato ci sussidia? Niente di male, nell’immediato. Dal punto di vista macroeconomico, siamo nel mezzo della peggiore crisi dell’ultimo secolo.
Il settore privato ha poche risorse e spende poco quelle che ha. È il momento di un’azione fiscale espansiva, con un deficit elevato. Se poi questo migliora l’opinione del pubblico verso lo Stato, tanto meglio. Eppure … Eppure, qualche preoccupazione dovremmo avercela. Molti tra i maggiori macroeconomisti mondiali (Blanchard, Krugman, Summers) pensano che i tassi di interesse resteranno bassi per decenni e che quindi il debito resterà sostenibile. Visto però la bassa capacità di noi economisti nel fare previsioni a lungo termine, il margine di rischio non è irrilevante.Se, per qualche motivo, l’inflazione aumentasse e le banche centrali fossero indotte, per frenarla, ad aumentare i tassi di interesse il castello di carta del debito potrebbe crollare.
Ma, a parte le preoccupazioni macroeconomiche, c’è il rischio di abituarsi a un mondo in cui mamma stato sussidia famiglie e imprese in modo consistente, attenuando il vincolo di bilancio cui altrimenti sarebbero sottoposte al punto che non valga più la pena mantenere standard di efficienza. Più che di mamma stato si dovrebbe allora parlare di papà stato che alimenta dei “figli di papà”.Niente di questo dovrebbe scoraggiarci dal condurre politiche fiscali espansive, ora necessarie. Ma occorre capire che dobbiamo utilizzare bene le risorse gentilmente fornite dalle istituzioni europee, magari con meno bonus e più spese produttive.
In proposito la lentezza con cui ci stiamo muovendo nel preparare il Recovery Plan dovrebbe preoccuparci. Se siamo lenti nel preparare un documento, figuriamoci quando dovremo implementarlo.Un’ultima annotazione. Nel breve periodo anche il debito “cattivo” spinge l’economia: si spende e si produce di più. Il rischio è quindi che non si capisca per un po’ che stiamo spendendo male. Il rischio è di essere travolti da una euforia da deficit come accadde alla fine degli anni ’80 quando l’economia italiana, grazie a deficit elevati, sembrava aver ritrovato il suo vigore. Sapete come è andata poi a finire.
*opinione tratta dal quotidiano La Repubblica