DOMENICA VI DI PASQUA ANNO C
VANGELO (Gv 14,23-29)
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».
Commento
La prima parte del brano odierno tratta il tema dell’inabitazione di Dio Trinità, Padre – Figlio – Spirito Santo – nell’uomo, un’affermazione in quel tempo nuova. Nel mondo ebraico si riteneva che fosse il Tempio di Gerusalemme il luogo della presenza di Dio; invece Gesù afferma che il nuovo Tempio di Dio è il suo corpo (cioè la sua umanità, vedi il vangelo di Giovanni, 2, 19-21) e che la persona di ciascuno di noi è chiamata a diventare il Tempio di Dio, cioè la sua dimora. Come avviene questo?
L’uomo è stato creato da Dio con la capacità di esprimere e di vivere realtà divine, quando la Bibbia afferma che “è stato creato a immagine e somiglianza di Dio”(Libro della Genesi, 1,26-27). Queste realtà che l’uomo è chiamato ad esprimere sono l’amore, la generosità, la comprensione, la giustizia. Ora il Figlio di Dio manifesta queste qualità divine attraverso la sua umanità, che gli consente di esprimere la sua personalità, il suo animo, il suo cuore. Il momento supremo rimane quello della morte in croce, ma tutta la vita di Gesù è narrazione autentica di Dio. Abbiamo detto domenica scorsa che Dio si dice tutto nell’umanità di Gesù. Pertanto è dalla vita di Gesù, dalla sua umanità che siamo chiamati a ricostruire il volto autentico di Dio, non da altro. Dio è nell’umanità di Gesù, per questo essa è il suo Tempio.
C’è però una seconda considerazione da fare. In Gesù la natura umana raggiunge il massimo delle sue potenzialità, perchè riesce ad esprimere le perfezioni divine di amore, di bontà, di misericordia. In lui la natura umana è rifatta ed acquista la sua autentica grandezza. Gesù, Figlio di Dio, facendosi uomo, ha voluto essere uomo vero e perfetto, cioè realizzare l’immagine e la somiglianza divina, secondo il disegno originario della creazione. Questo traguardo viene spesso smarrito dagli uomini, che scelgono modelli ed ideali falsi, che deformano la dignità umana, offrendone una versione deturpata attraverso il peccato. Essi privilegiano la malvagità, la superbia, l’ingiustizia, non riproducono in loro l’immagine e la somiglianza di Dio. L’uomo si salva accogliendo in sè l’umanità rinnovata di Cristo che gli viene offerta, perchè abbia a rinnovarsi in Lui. Questo avviene attraverso l’eucarestia, che consiste nel ricevere il corpo, cioè l’umanità di Gesù. Questi diceva nella sinagoga di Cafarnao, alludendo all’Eucarestia: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me e io in lui. Chi mangia di me, vivrà per me” (Giovanni, 6, 57-58). Questa assimilazione a Cristo, oltre che con il sacramento avviene con l’interiorizzazione della parola di Gesù, che ci assimila progressivamente a lui. Quest’opera si estende per tutta la vita ed è sostenuta dallo Spirito Santo che ci aiuta a coglierne in profondità i significati, come è scritto nel brano evangelico di oggi. Gli uomini che si orientano a Gesù e vivono di lui e in lui, possono esprimere le qualità divine diventare se non rivelatori, segni e testimoni di Dio. Nella misura in cui questo avviene, Dio davvero inabita in loro, per cui anch’essi diventano Tempio di Dio.
23 Comments
Giovanni di Hildesheim
Dio è nell’umanità di Gesù, per questo essa è il suo Tempio.
Il problema che Lei pone, Eccellenza, è quello della dignità e della conseguente responsabilità di tutti noi.
Credo che nella società italiana d’oggi questo costituisca un grande problema: da un lato le cosiddette Istituzioni trattano l’uomo come un numero, e invece di essere al suo servizio lo vessano, e dall’altro lato il singolo è travolto dal disordine generale, che a me ricorda tanto la vicenda della Torre di Babilonia.
Siamo come pecore smarrite alle quali viene impedito persino di udire la voce del pastore.
Una delle difficoltà sta nel fatto che al tempo di Gesù, quando le comunità erano piuttosto piccole e sostanzialmente si autogovernavano, la dignità dell’individuo era un presupposto dell’esistenza della comunità stessa e il comportamento responsabile, per conseguenza, incideva fortemente sulla collettività.
Oggi il presupposto del potere è la frantumazione della dignità della persona, resa incapace di pensiero, e sulla massa omogeneizzata e volutamente sempre innaturalmente ampliata, il comportamento virtuoso non ha incidenza, o ne ha molto poca.
I gruppi e le formazioni sociali, poi, si autoassolvono sempre da ogni colpa, dando prova di cecità morale, mediante l’applicazione in ogni campo delle cosiddette regole democratiche, chiamata legalità, laddove la coscienza morale individuale si scioglie sotto la forza della pressione sociale o dell’autorità costituita, generando un tipo di male che potremmo chiamare impersonale, in quanto non assunto in prima persona. A tal punto il messaggio del Padre addirittura appare senza senso, senza finalità collettiva, al massimo invitando a una fede personale e sostanzialmente autoreferenziale, come mi pare che qualcuno abbia già abbozzato in precedenti commenti..
Anténo
Assimilarsi a Cristo oggi significa combattere, come ha fatto Lui, la gabbia legale che ci imprigiona e ci impedisce di vivere cristianamente coi nostri fratelli, radicalmente andando a modificare la struttura del sistema che ormai chiaramente è giunto al limite dell’oppressione.
I Cristiani hanno questo coraggio? La Chiesa ha questo coraggio? Non mi sembra, di là dalla figura di questo Papa. Spesso i suoi membri sembrano funzionari più che messaggeri di Cristo e ricordano per certi aspetti i membri del Sinedrio.
Karl Heinz Treetball
Il nostro corpo, nella sua totalità (sono pienamente d’accordo con Lei), è il tempio di Dio, il luogo dove il Paraclito, lo Spirito Santo, effonde il suo amore e la sua sapienza durante la nostra vita.
Un luogo santo, dunque, da onorare e riconsegnare alla terra in luoghi idonei, dove il persistente fremito di quella santità si possa avvertire, com’è per le reliquie.
Perché, dunque, è tanto invalsa la pratica della cremazione, quasi si volesse a tutti i costi distruggere quel tempio?
Mi è capitato qualche tempo fa di dover partecipare alla cerimonia funebre in occasione di un disastro aereo: so per certo, e lo sapevano anche i parenti, che in due di quelle bare altro non c’era se non brandelli di indumenti intimi macchiati di sangue, attraverso il cui esame si era risaliti al rispettivo Dna di due vittime.
Mentre una famiglia ha voluto conservare la reliquia del proprio caro, sistemando la cassetta (più che una bara) in un loculo, l’altra, dopo la cerimonia, ha fatto incenerire tutto, cioè il pezzetto di vestito rimasto: che senso ha?
al Gandalfir billa'h
Ormai sembra che i funerali siano un disturbo, quasi un fastidio, una formalità, se non un rompimento di scatole, tanto che sempre più spesso nemmeno vengono comunicati, anche all’interno delle stesse famiglie.
Le esequie danno spesso l’impressione di ritualità obbligate, senza pathos, con parole di circostanza da parte di un anonimo prete che normalmente non conosce il defunto e trae ispirazione dagli annunci funebri.
Si aggiungono triti, ovvii e banali discorsetti finali di parenti e amici, talora infarciti di autentiche sciocchezze.
Quando mai si cerca di attualizzare e fissare il messaggio cristiano, anche nei suoi errori, che da quel corpo è pur venuto al suo prossimo? Chi ha vissuto una simile commovente esperienza lo faccia sapere, perché è cosa molto rara.
Come purtroppo nella vita, non si è forse persa la sacralità del corpo anche e soprattutto nella morte, quando esso è abbandonato alla pietà dei suoi fratelli?
Solo roba da bruciare?
Ariberto della Gera d'Adda
A me è capitato, invece, di accompagnare un amico a un funerale celebrato nei giorni scorsi nella Sala del Regno dei Testimoni di Geova.
Dal mio punto di vista, appare subito la grande differenza con le corrispondenti cerimonie cattoliche prese in sé, di cui forse gli stessi preti non hanno consapevolezza (o non la sanno usare) in fatto di superiorità di significati.
Dall’altro lato devo dire che la partecipazione all’evento da parte dei numerosi geoviti presenti non ha riscontro nei funerali cattolici, talora squallidi, e conferisce alla cerimonia quella sobria solennità che si traduce in un concreto richiamo alla dignità della persona defunta. Riconoscimento di dignità venuto meno fra i cattolici, travolti da un mondo che ritengono erroneamente ancora in rapporto col Cristianesimo?
Goffri
Il successo odierno della pratica della creazione non è casuale. Essa risponde al modo con cui si vive oggi la morte: la individualizzazione, per cui si vogliono pratiche funebri funzionali all’individuo e che non rispecchiano un senso comune del morire; la pratica igenistica e la marginalizzazione della morte dalla società. La conservazione delle ceneri non esige grandi spazi, per cui la struttura del cimitero finisce col ridimensionarsi. Il loculo è piccolo e non esige cure; i fiori sono comuni, non c’è da pulire. Non si percorre più la strada del cimitero. La morte sparisce dai pensieri della gente, perpetuando l’idea della perenne giovinezza e perdendo la memoria del limite. In questo modo non si impara a vivere, perché per ben vivere bisogna essere consapevoli della propria morte. L’argomento sulla morte e sulle pratiche funerarie è importantissimo, ma anche esteso per i cambiamenti odierni di costume.
Ernestina Maria Ghilardi
Credo che nella tragica vicenda di Gesù, in cui l’uomo neppure sa di uccidere veramente Dio (e questo dovrebbe essere di monito), emerga comunque l’amore, fino alla follia dell’omicidio, che gli Ebrei nutrono per la loro Legge, quella di Mosè.
«…La parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato….», dice il Signore, profondamente mutando con divina autorità la legge mosaica, così ribaltando l’establishement giudaico.
Ebbene, tenendo anche conto del fatto che chi ascoltava non distingueva fra legge positiva e norma religiosa, e che noi cristiani d’oggi non dovremmo accettare norme contrarie ai precetti fondamentali dettati da Gesù, avremmo interesse a chiederci che fine abbiano fatto nella nostra società, milanese, bergamasca, lombarda, veneta, italica, l’amore per la legge, che comunque dovrebbe sussistere, e per la sua coniugata sacralità.
Ma come si fa ad amare leggi incomprensibili, provenienti dalle più disparate fonti, in continuo cambiamento e che appaiono sempre più usualmente finalizzate, magari casualmente, a soddisfare interessi di pochi, spesso corrotti, se non direttamente mafiosi? Quale sacralità possono avere e trasmettere?
Forse la stessa Chiesa, cui pure orgogliosamente appartengo, dovrebbe smetterla di elevare peana alla legalità senza specificare che quella che viviamo non è legalità ma oppressione legalistica.
Ildegardo da Aachen
Lei dice giustamente che, poiché siamo creati a immagine e somiglianza di Dio, è attraverso l’umanità di Gesù che possiamo scoprirne il volto.
È un processo personale, che infine ricade sugli altri i quali, si spera, facciano altrettanto.
I fatti sempre più atroci che la cronaca ci racconta, però, ci parlano di un mondo confuso, in cui il male si propaga in superficie come un fungo velenoso che soffoca la profondità della vita, vanificando in buona parte gli sforzi individuali.
Qual è, allora, il rapporto fra i soggetti collettivi, le comunità come tali, e il volto di Dio, rapporto che è evidentemente assoggettato a leggi diverse da quelle personali, norme “collettive” che entrano in competizione, e spesso in collisione, con quelle umane?
Romana
Siamo tutti tempio del Signore e di ciò portiamo la grave responsabilità. Gesù insegna il metodo per esserlo veramente, che consiste nel fare e cercar di essere come Lui, per sé e per gli altri: le grandi opere e le grandi rivoluzioni, sociali, culturali e religiose, sono nate sempre da singoli, spesso coordinati in piccoli gruppi.
Però capisco Ildegardo: oggi, con la sconvolgente rivoluzione della comunicazione via internet, può essere che quel che sempre è accaduto nei tempi andati possa non accadere più, almeno secondo l’indirizzo sopra descritto. Bisogna certamente rendersi consapevoli che servono nuovi metodi adatti ai nuovi strumenti, nel settore educativo come in quello socio-culturale in genere, e quello cristiano in particolare. La Chiesa, che è madre e maestra, senza dubbi ha contezza del fenomeno, ma le sue istituzioni mi sembrano anch’esse un po’ confuse e parecchio indecise sul da farsi. Oggi le comunità parrocchiali appaiono sempre più vecchie e ristrette: un campanello d’allarme squillato da anni e che continua anche ora, cadendo sempre più nel vuoto i barbosi, anche se raffinatissimi, documenti Cei, che non leggono più neanche i preti.
Iniziative come questa, già iniziata cinque anni fa per merito del dr Halevi, non mi sembrano supportate a dovere dalle strutture preposte e lasciate alla buona volontà e al sacrificio dei singoli, cui non viene neppure facilitata la possibilità di ampliare il campo delle appassionate e appassionanti discussioni.
Giulio Fustinoni
Non vorrei che il discorso scivolasse verso il solito: è colpa degli altri.
Se è vero quel che si è detto riguardo alla società odierna, occorre anche dire che i singoli sono poco umili nel considerare la propria inadeguatezza, specialmente sotto il profilo della preparazione personale. I cattolici sono molto spesso fior di ignoranti proprio in ciò che dovrebbe star loro più a cuore. Se si dedicassero maggiormente, anche soltanto alla preghiera, meditando quel che pregano, poco alla volta le soluzioni verrebbero fuori. Del resto, una collettività che altre idee può elaborare se non quelle che provengono dai singoli? Ciò non toglie che il problema esista e che dalle stanche nostre comunità non sono venuti adeguati suggerimenti: confidiamo nel Paraclito.
Kamella Scemì
Sono del parere che alla Chiesa di Bergamo potrebbe servire parecchio un nuovo Sinodo, un vero Sinodo, centrato sui problemi sollevati da Monsignore e sugli argomenti trattati dai commentatori intervenuti, con specifico riferimento alla comunicazione della fede e alla conoscenza del patrimonio della Tradizione e delle Scritture, Storia inclusa. Anche con significative aperture alle altre confessioni cristiane, peraltro da decenni presenti sul territorio.
La pastorale, così com’è concepita, mi sembra troppo ristretta a una visione seminaristica che mi sembra obsoleta: i giovani sacerdoti neppure riescono a confrontarsi con gli adulti, di gran lunga preferendo farlo coi giovani. E questo mi sembra assai significativo circa la loro preparazione ad affrontare il mondo per quello che è.
Goffri
La rimando alla risposta data alla signora Gherardi per la vastità dei problemi cui devono confrontarsi i cattolici, come del resto ogni uomo, nel mondo di oggi. Vi sono troppe cose urgenti ignorate dai cittadini e dai responsabili.
Mainardo della Volpe
Mi piacerebbe chiedere ai tanti frequentatori delle messe domenicali (meglio che vadano lì piuttosto che a passar la giornata al centro commerciale) in cosa consiste il cosiddetto depositum fidei del quale dovrebbero essere portatori e testimoni davanti a Dio e agli uomini.
Credo molto pochi, forse nessuno.
E allora come può naturalmente sgorgare da loro quella imitatio Christi voluta dal Dio in terra se non sanno neppure come e cosa debbono seguire? Saranno tutti bravissime persone, per carità, buone e timorate, ma non distinguibili dai milioni di altre buone persone che non hanno la pretesa di dirsi cristiane.
Perché è una vuota pretesa, quando non si è in grado di manifestare quel qualcosa in più rispondente al dettame neotestamentario.
Ernestina Maria Ghilardi
Pur nel suo “superiore” sarcasmo, che mi sembra anche un po’ anticattolico, Mainardo dice una cosa importante: non possiamo dirci cattolici e non esserlo coerentemente, altrimenti tradiamo Gesù e lo Spirito che ci ha donato e messo al fianco.
Adesso lo strombazzano e usano tutti, come angioletti scandalizzati che vengon giù dalle nuvole, ma anni e anni fa, quando dicevo agli amici politici cattolici: guarda che non si fa, non è giusto, mi rispondevano invariabilmente che a fin di bene si poteva anche fare il male. E così i cattolici in politica erano quelli più moderati nelle gherminelle, un po’ dei ladri di polli quando altri erano veri Ali Babà senza limiti. Ecco, credo che se si è cristiani, lo si è sempre, in rapporto a Gesù e non a quello che combinano gli altri. Errori se ne fanno ogni momento, ma il male volontario, anche minimo e magari per buone finalità, è un’altra cosa, non cristiana.
E noi che ci occupiamo di politica siamo d’esempio…
Lucia Sansiro
Suggerisco a chi è alla ricerca di Dio, a chi vuol sentire il lieve soffio dello Spirito, di entrare in una delle nostre belle chiese durante queste splendide mattinate e fare quello che i nostri antenati hanno sempre fatto: sedersi nella penombra senza tempo, starsene in silenzio, fissare il tabernacolo. E aspettare. A un certo punto ti accorgerai che da un po’ stavi ragionando dentro di te, anzi, che dentro di te si stava muovendo qualcosa. Incuriosito, razionalmente presterai attenzione, e scoprirai che non sei tu a parlare, ma un altro, lievemente.
E uscirai sollevato.
Prima o poi vorrai ripetere quell’esperienza; si ripeterà e ne sortirai ammaliato. Per sempre.
Goffri
Questa è una buona esperienza che sviluppa il senso contemplativo della vita. Se la vogliamo vivere cristianamente occorre aggiungere la meditazione della parola secondo la sequenza della Lettura, Contemplazione delle parole lette, Invocazione per giungere all’Azione di rinnovamento della condotta, secondo il metodo ripreso dal cardinale Martini.
Myleeha Hjlk
Mi sembra che il Signore lo dica in modo molto chiaro: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore”. la pace del Signore è evidentemente qualcosa di diverso da quello che intendiamo noi: non è assenza di guerra, di odii, di ostilità, di dispetti. È qualcos’altro: ma cos’è? Soltanto la pace del nostro cuore individuale? Non credo proprio. Deve essere qualcosa di immenso e ineffabile. Ma cosa?
maargharj butterei
Credo che la pace del Signore sia la conseguenza di una vita condotta secondo il Suo comandamento: ama il Signore, Dio che è tuo, con tutto il tuo cuore, il tuo spirito e la tua intelligenza, amando, dunque, il prossimo tuo come Gesù ha amato te e i tuoi fratelli.
Seguendo tale dettato, come si può non essere in pace?
Ernestina Maria Ghilardi
Da quel che si è detto sopra, tutti o quasi hanno capito che la somiglianza a Dio si onora mediante l’adesione all’umanità di Gesù, esempio perfetto di quell’umanità cui tutti dovremmo tendere.
Però andrebbe definito o ridefinito il concetto e ciò che ci sta intorno, perché oggi sempre meno l’inumanità o la disumanità dipendono dal peccato individuale e volontario quanto dall’acquiescenza a situazioni che la determinano, senza neppure che da parte del singolo soggetto ci sia indifferenza. È un problema di cui noi cristiani dovremmo prenderci cura, perché mi sembra si riproponga una variante aggravata del peccato sociale, laddove nessuno pecca e tutti peccano…e nessuno paga. Specialmente in politica.
Goffri
La risposta alla signora Gherardi riguarda anche coloro che hanno partecipato alla discussione sul tema del precetto della carità. Per prima cosa diciamo che la legge predicata da Gesù non consiste in una serie di indicazioni minuziose e precise, quanto delle direttive e degli orientamenti che appellano alla libertà e responsabilità dell’uomo. Essi sono mostrati concretamente dalla condotta di Gesù. Prendiamo il modo con cui Gesù spiega il comandamento di amare il prossimo. Egli racconta la parabola del Samaritano. Per fare del bene al prossimo bisogna vedere il bisogno e attivarsi per risolverlo. E’ questione di generosità e di creatività; non ci sono precetti precisi. Più siamo generosi e sensibili, più sappiamo vedere. L’essere ciechi è un peccato che si aggrava nel tempo, prolungando la nostra indifferenza e l’amore per la comodità. Così la creatività personale viene sollecitata dalla nostra disponibilità, dal sentimento di compassione verso le disgrazie altrui. Il samaritano che ha avuto compassione del ferito incontrato lungo la via, ha trovato i modi giusti per aiutarlo, coniugando i suoi impegni di lavoro con l’assistenza. Questo è un caso che può capitare a tutti nella quotidianità.
L’amore verso il prossimo comporta anche una dimensione collettiva. Oltre alle virtù personali, sono necessarie le scienze sociali, economiche e politiche. Esse permettono di individuare i nuovi bisogni collettivi che emergono dall’evoluzione sociale . i segni dei tempi, come li chiamava papa Giovanni – e di impostare le necessarie strategie per affrontarli. Tuttavia anche queste scienze non sono assolute, ma obbediscono alle finalità etiche che le ispirano. Classico è l’esempio della teoria economica del liberismo, teorizzato alla fine del Settecento. Fondato sul principio dell’utilità individuale, la cui somma avrebbe permesso di raggiungere il benessere collettivo, essa accettava come principio base la legge del mercato, basata sulla proprietà privata e sulla libera concorrenza. Davanti alle gravi distorsioni, essa è stata corretta mediante l’intervento regolatore dello Stato, senza cadere però nell’errore opposto della soppressione del mercato. Su questi temi è intervenuta anche la Chiesa per indicare ai cristiani . politici, imprenditori, operai – la condotta da tenere per la soluzione della questione sociale. Questa riflessione, iniziata nel secondo Ottocento, è proseguita fino ai nostri giorni ed è stata un necessario aiuto per tutto il popolo cristiana. Questa dottrina fornisce criteri di lettura, suggerisce indirizzi e soluzioni, indispensabili per una condotta politica e sociale cristianamente coerente. Anche se viene espressa in Encicliche papali, non è solo opera del Papa, ma rappresenta quanto di meglio si è dibattuto nell’ambito della Chiesa. Questa dottrina, pur conservando i principi di fondo, necessariamente varia a secondo dei mutamenti storici.
Se nell’Ottocento era nata la questione sociale, oggi vi è la globalizzazione con i fenomeni connessi dell’emigrazione e del rimescolamento delle culture. Sono le emergenze di oggi, che un cristiano che vuole essere coerente con il Vangelo deve affrontare con generosità e lucidità. Non può rinnegare i valori di fraternità evangelica e di giustizia, per cadere nell’egoismo e in forme di discriminazione, uno dei pericoli che stanno correndo i paesi ricchi. Papa Francesco ha avviato una riflessione su questi temi con l’enciclica Laudato sì dedicata alla salvaguardia del creato per un uso ragionevole delle risorse secondo un criterio di giustizia che non riguarda solo noi oggi, ma anche le generazioni future. L’uso corretto delle risorse e la fine di un atteggiamento predatorio nei confronti del creato è la premessa necessaria per una ordinata convivenza umana. Inoltre ha posto numerosi gesti e parole nei confronti del problema delle guerre e delle migrazioni. Un cristiano è chiamato a confrontarsi ed a riflettere, per elaborare una condotta cristianamente coerente, che ha conseguenze immediate sulla vita di tutti. A Bergamo in questi giorni si sta celebrando Bergamo Festival 6-15 maggio 2006, dedicato a questo tema; può essere l’occasione di una prima informazione. In troppi cristiani, ma anche negli altri, non c’è sufficiente percezione di questi segni dei tempi con cui dovremo confrontarci.
Ghiza Tombini
Quando Gesù dice che se ne andrà ma poi tornerà può aver anche voluto dirci che il Cristianesimo potrebbe anche scomparire dalla faccia della Terra, ma poi riemergerà comunque, come un fiume carsico?
Dottor Taramelli
Operando specialmente in un certo settore della medicina, posso dire d’averne viste di cotte e di crude. Concordo con molti degli intervenuti nel dire che oggi non c’è un parametro compatibile e componibile di amore: ce n’è per tutti i gusti, e non credo affatto che tale varietà si presti ad essere chiamata amore cristiano, anche perché il nostro modello resta comunque unitario e singolo. Se poi vado, per esempio, in Corea, vi trovo usi e costumi ancora abbastanza unitari ma che vanno a incidere profondamente su tale concetto come formatosi nel mondo ebraico e cristiano, al punto che mi chiedo se sia possibile per quelle genti, se non sotto variazione etilica, seguire là, in quei posti, tale modello. La sequela di Gesù credo vada oggi esaminata alla luce di queste evenienze.
mario da seriate
Il dottor Taramelli, noto e profondo studioso, ha parlato di ebrei, cristiani e coreani, che già da soli fanno un bel risotto. Ma non ha parlato dei musulmani e dei loro vicini per cultura, forse perché non può neanche visitare le loro donne e non li conosce: io cerco di imitare Gesù di Nazareth, perché poco o tanto lo capisco, appartiene alla mia cultura musicale e letteraria, artistica e no, anzi, è lui che l’ha fondata. Ma un musulmano, che adorerà anche lo stesso Dio cristiano (io i dubbi di settimana scorsa li ho capiti bene), ma poi per comando di quel Dio lì fa l’esatto contrario di quel che Cristo ha detto, come farà mai a imitare Gesù nella Sua divina umanità, per migliorare la propria? È contraddizione in termini, mi sembra.