Su di un totale di circa 1,23 miliardi di Euro di flusso totale annuo di rimesse degli immigrati in Lombardia verso i loro paesi di origine, oltre 1 miliardo parte proprio dalle tre provincie poste sull’asse Milano, Bergamo e Brescia. (a cura di Federico Rossi)
Questo è lo scenario che emerge dalla recente indagine curata dalla Fondazione Leone Moressa relativa ai flussi di regolamento delle rimesse degli stranieri. Nel 2010, nonostante la crisi che, perdurando, ha toccato anche le imprese condotte da stranieri, la Lombardia ha mantenuto il primato di regione capofila nell’indice di attrattività occupazionale per i non italici e questo, comunque, senza essere esente dall’eccessiva burocrazia, dai ritardi dei pagamenti e dai problemi di accesso al credito mediamente presenti nella nostra penisola, come denunciato anche dagli imprenditori stranieri che lavorano in Italia.
Nel 2010, a livello nazionale e su una popolazione di stranieri di oltre 4,2 milioni di persone, hanno già avuto l’opportunità di avviare una propria attività circa 628 mila neo imprenditori. Oltre il 15% di questa popolazione ha potuto quindi concretizzare il sogno imprenditoriale traendo attento e puntuale profitto da quelle strutture associative e camerali che erogano assistenza anche ai nuovi imprenditori od alle start up.
Se pensiamo che questi aspiranti capitani d’impresa hanno dovuto anche fare i conti con una lingua differente, un ambiente e delle tradizioni a volte molto diverse da quelle dei loro paesi d’origine, possiamo avere contezza di quanta tenacia e determinazione risieda nella voglia di essere e nel bisogno di fare: “volli e volli sempre,e fortissimamente volli” ricordava l’Alfieri sul finire del diciottesimo secolo. Ma quanti di noi oggi possono dire altrettanto?!
One Comment
Aristide
Osservo che i due articoli impaginati sopra questo, intitolati “Il Sogno Americano: alla conquista del Grande West” e “A settembre tutti a Bellinzona, capitale del gusto” presentano i commenti disabilitati. Personalmente non ho niente da obiettare, penso neanche gli altri lettori di Bergamo Info, considerato che i due articoli sono in realtà “redazionali”, cioè non articoli d’informazione ma comunicazioni commerciali. In gergo sono anche chiamati “redazionali”, cioè (traggo la definizione dal dizionario del Gabrielli) «Redazionale, 2 = Pubblicità redazionale, che si presenta come una notizia o un servizio di informazione, ma, contraddistinta da segni grafici particolari, è pubblicata a pagamento su giornali e riviste».
Non trovo niente da obiettare nel senso che se una testata pubblica un redazionale a pagamento, trovo naturale che il contenuto non sia commentato. Infatti, la testata si farebbe del male, qualora accettasse commenti non solo elogiativi (sarebbero però scontati, e in suspicione di essere a pagamento) ma anche negativi (accettando quelli elogiativi, dovrebbe accettarsi anche quelli di segno contrario).
Trovo invece singolare che il secondo articolo sia firmato, come pure il fatto che in entrambi gli articoli niente ci faccia capire che si tratta di redazionali. Certo, se uno li legge, e se non è stupido, se n’accorge immediatamente. Ma se n’accorgeranno proprio tutti? Non c’è il rischio che qualche lettore ingenuotto fraintenda da principio, per poi lamentarsi, in seguito, di essere stato “ingannato”? Secondo me, è un rischio da evitare. Sono stato copywriter all’Olivetti, ho scritto redazionali pubblicati su importanti testate nazionali ma:
a) non ho mai firmato i redazionali; non li firmava neanche Giovanni Giudici, il poeta deceduto un mese fa, che pure era giornalista e letterato affermato: aveva la stanza di fronte alla mia, che teneva sempre ben chiusa, ma dalla quale si udiva lo sferragliare di questa o quella delle sue tre macchine per scrivere (manuale, con i martelletti e il cestello; elettrica, con elemento d’impressione dei caratteri “a pallina”; elettrica, con elemento d’impressione dei caratteri “a margherita”). La scelta della macchina per scrivere dipendeva dall’ispirazione poetica.
b) gli articoli erano impaginati con un’impostazione grafica particolare, come recita, appunto, la definizione del Gabrielli. Infatti, nei comunicati commerciali si accetta che venga meno la funzione perequativa e di filtro del giornalista: la qual cosa va, in qualche modo, segnalata. In sostanza, com’è scritto nella Carta dei diritti e dei doveri che regolamentano la professione giornalistica, approvata l’8 luglio 1993 dalla Federazione nazionale della Stampa italiana e dall’Ordine nazionale dei giornalisti: «i messaggi pubblicitari devono essere sempre e comunque distinguibili dai testi giornalistici attraverso chiare indicazioni»; inoltre il giornalista «deve sempre rendere riconoscibile l’informazione pubblicitaria e deve comunque porre il pubblico in grado di riconoscere il lavoro giornalistico dal messaggio promozionale».
Il mio suggerimento, di facilissima attuazione e di assoluta tutela per Bergamo Info, è che:
i) i redazionali non siano firmati;
ii) in testa ai redazionali sia posta l’indicazione di redazionale, per esempio fra parentesi (visto che non è previsto l’uso dei corsivi, credo; e i neretti sono da usare con parsimonia, non come faceva grossolanamente, fino a poco tempo fa, ‘la Repubblica’, inteso come giornale di largo Fochetti). Cioè, si scriva, sopra il titolo: (Redazionale);
iii) l’articolo stesso appaia sopra un fondino grigio (per esempio, d’intensità più tenue di quello apposto a tutta la pagina di Bergamo Info, sul quale è “scavato” lo spazio bianco nel quale si leggono gli articoli).