[galleria] Il Maroni day di sabato 4 febbraio 2012, tenutosi al centro congressi Giovanni XXIII di Bergamo, conferma una Lega ostile nei confronti del Governo Monti e l’intenzione di presentarsi da sola alle prossime elezioni. Il litigio tra Bossi e Maroni è superato in quanto sembra ormai certa la sostituzione del leader storico con Maroni. Quest’ultimo aspetta il congresso per regalare a Bossi la presidenza onoraria della Lega. Sul palco i più si sono limitati a fare ironia sull’operato di Monti con Bossi che si è calato nei panni dello storico. L’intervento di Maroni è stato prudente, senza mai uscire dalla linea politica tracciata dalla segreteria.
Interessante, l’intervento di Andrea Gibelli, Vicepresidente di Regione Lombardia e Capo Delegazione della Lega Nord, del quale ci piace riportare un’intervista tratta da “Il Sussidiario.net” su sussidiarietà e federalismo:
Quale rapporto tra federalismo e sussidiarietà?
A quale modello si riferisce quando parla di sussidiarietà e di federalismo?
Usando la metafora dell’albero, lo Stato centralista, per come lo abbiamo conosciuto in tutti questi anni, era quella grande chioma che pensava a tutto e che rimaneva molto lontana dalle proprie radici (la società). La riforma federale colloca diversamente sul piano verticale diversi livelli di competenze e di nuove responsabilità, mentre sul piano orizzontale, in un’ottica sussidiaria, restituisce alla società la possibilità di occuparsi di tutto ciò che fino a poco fa era di esclusiva competenza della macchina pubblica.
Senza sussidiarietà quindi il federalismo correrebbe il rischio di trasformarsi in un centralismo locale?
Esattamente. Per questo ho parlato prima di complementarietà. Il decentramento di potere da solo non basterebbe, così come un’aspettativa di “colonizzazione” della società all’interno di uno Stato sprovvisto di adeguati livelli di responsabilità. La soluzione delle questioni irrisolte del Paese in pratica passa attraverso l’ancora attuale: “più società, meno Stato”.
Secondo lei la divisione tra federalisti e centralisti è trasversale agli attuali schieramenti politici?
La nostra protesta voleva dire a tutti, non ripetiamo gli errori del passato in un momento in cui c’è una coincidenza storica tra la celebrazione di questo anniversario e un cambiamento epocale, come la riforma federale. Il futuro passa attraverso la responsabilità, la valorizzazione delle peculiarità di tutti e forme di compensazione che di certo non mancheranno.
Da ultimo, manca poco più di un mese all’appuntamento delle elezioni amministrative. La Lega Nord punta a ripetere il sorpasso avvenuto in Veneto nei confronti del Pdl anche nelle altre regioni del Nord?
Ci sarà una sana e corretta competizione tra due partiti, Lega e Pdl, che in questi anni hanno condiviso tutte le scelte decisive per il Paese e che hanno saputo collaborare al “governo del fare”.
Ma il Carroccio al termine di questo mandato pretenderà la Presidenza della Regione Lombardia?
Non ho la bacchetta magica. Per ora mi preoccupo soltanto che nel 2015 il bilancio per la Regione sia ancora più positivo…
(Carlo Melato)
4 Comments
Giuseppe
E’ stata una serata interessante e bella. Andare da soli è un primo ottimo passo. Se c’è una cosa che metterei in dubbio è quella che il Capo abbia sempre ragione. Il Capo ragiona…
Gaetano
Ieri sera mi ha impressionato la differenza fra la profondità delle osservazioni di Gibelli, che si è rifatto alle istanze originarie della Lega, e le (applauditissime) sparate di Calderoli, che secondo me non portano da nessuna parte, anche se hanno entusismato i presenti. Forse debbono mettersi d’accordo anche in questo…
Maria Caterina
L’entusiasmo di facciata è una cosa, la sensazione di delusione e incertezza un’altra. La cosiddetta dirigenza non sa più trasmettere al popolo indirizzo certo alcuno, se non l’opposizione al governo Monti, simile alla vuota opposizione della sinistra al pur buffonesco governo Berlusconi. Il federalismo autonomistico è un grande pensiero, e non lo si ritrova certo nell’esibizione calderoliana.
Mimmo Pagliarini
In questi giorni la signora Thatcher è tornata ad essere protagonista grazie al grande schermo, dove viene proiettato “The Iron Lady”, film biografico sulla “Lady di ferro”, interpretato da Maryl Streep. E’ una buona occasione per ricordare:
1) cosa ha fatto;
2) perché lei e Winston Churchill sono sicuramente i premier inglesi più conosciuti al mondo;
3) perché ho dichiarato spesso che Berlusconi e Bossi sul comodino dovrebbero mettere anche la fotografia della signora Thatcher.
Una breve storia
Margaret Roberts nasce nel 1925 a Grantham una cittadina che oggi ha circa 40.000 abitanti (per la cronaca, poco meno di 300 anni prima, vicino a Grantham era nato Newton), su a Nord, nel Lincolnshire. I suoi genitori gestiscono una drogheria. E’ una ragazza in gamba e a 18 anni vince una borsa di studio e va a Oxford per studiare chimica. Dopo pochi mesi viene eletta presidente della associazione degli studenti simpatizzati del partito Conservatore. Nel 1951 sposa Denis Thatcher e nel 1953 dà alla luce due gemelli, Mark e Carol. Nel 1959 viene eletta per la prima volta al Parlamento. All’inizio degli anni 70 è ministro dell’istruzione. Nel Febbraio del 1975 viene eletta presidente del partito Conservatore superando contro ogni pronostico Edward Heat, e fino al 1979 è il capo dell’opposizione in Parlamento. Poi vince per tre volte consecutive le elezioni e per tre volte consecutive è capo del governo: dal 79 all’83, dall’83 all’87 e dall’87 al 22 Novembre 1990.
Gli undici anni dell’era Thatcher
Negli anni 70 la Gran Bretagna era tecnicamente fallita. Si era ridotta nella situazione di dover chiedere prestiti al Fondo Monetario Internazionale, come un paese africano in via di sviluppo. Il paese era nelle mani di “un sindacato becero, ignorante e irresponsabile, supportato da leggi che davano alla Trade Union un potere distruttivo” (Marco Vitale sul “Sole 24 Ore” del 23 Novembre 1990 nell’articolo “Europa in piedi. Esce la Lady”). Mi dicono che a quei tempi la situazione in Gran Bretagna era addirittura peggiore della nostra. Il potere dei sindacati era immenso. Un potere da fare impallidire i nostri patronati sindacali, i nostri CAF, il quasi-monopolio che i nostri sindacati hanno per la formazione oppure la discussione sui fondi chiusi per la gestione delle pensioni e del TFR. La Thatcher adotta una terapia d’urto che all’inizio sembra addirittura destinata a generare una guerra civile. Ma lavorando con irruenza, testardaggine, grande coraggio, onestà e serietà riesce a fare due autentici miracoli: lo strapotere sindacale viene piegato e la destra, sull’onda degli eventi, è costretta (per fortuna dico io) a cambiare pelle, prassi e cultura.
Fino ad allora quello dei Conservatori era un partito che difendeva privilegi e, se vogliamo chiamarli così, i “poteri forti”. La Thatcher riesce a trasformarlo in un partito liberale, lungimirante e dinamico. Le aziende inefficienti e fino ad allora “aiutate” non hanno avuto scelta: o investivano e diventavano competitive o chiudevano. Concorrenza durissima a tutti i livelli.
Ha sempre lavorato, con successo, per un processo di deregulation e di riscoperta dell’iniziativa privata contro i guasti dello statalismo e del garantismo infinito.
La Thatcher non lo ha fatto, ma sono sicuro che, se avesse potuto, le sarebbe piaciuta una legge che considerasse “penale” ogni tipo di raccomandazione. In galera quelli che chiedono raccomandazioni e quelli che le danno. Ma, a differenza che da noi, forse in Gran Bretagna durante l’era Thatcher una legge del genere sarebbe stata inutile, perché il buono o il cattivo esempio viene sempre dall’alto e i partiti a quei tempi in Gran Bretagna non erano “uffici di collocamento” e nemmeno, come ha scritto di recente (Novembre 2004) il Presidente Vaclav Havel “organizzazioni il cui scopo principale non è più il servizio del pubblico ma la protezione di specifiche clientele ed interessi”.
Con la Thatcher se il Governo doveva fare delle nomine si dava l’incarico a cacciatori di teste professionisti e tra le caratteristiche che dovevano avere i candidati non veniva certo inserita l’appartenenza a qualche partito o la fedeltà a qualcuno. Perché se c’è concorrenza vera e i risultati sono costantemente misurati non c’è spazio per l’inefficienza che per forza di cose viene molto spesso generata dalle persone, magari oneste e in buona fede ma che vengono selezionate per “meriti politici” e che sovente hanno la sola qualità di essere “tuoi uomini”, o “fedeli” o “raccomandati dall’alto”.
Per farvi capire di che pasta era la Thatcher, sappiate che un giorno un collaboratore provò a farle notare che una certa decisione avrebbe potuto farle perdere consenso. La Thatcher lo incenerì con lo sguardo. Reagì come se avesse sentito una parolaccia. “Consenso?! Consenso?! Io non sono qui per il consenso, sono qui per il bene del mio Paese!”
C’è un altro episodio che la dice lunga sul suo carattere e la sua franchezza. Gorbaciov era stato appena eletto segretario generale del PCUS. A uno dei primi incontri formali e ufficiali, la Thatcher comincia subito così: “Buongiorno. Io odio il comunismo! Però se a lei piace può tenerselo, purchè resti dentro i confini del suo paese”.
Non finisce qui. In Europa ha bloccato l’adesione della Gran Bretagna alla moneta unica e ha chiuso l’argomento prevedendo eventualmente un referendum, comunque da tenersi molti anni dopo la sua uscita di scena: “La nostra valuta nazionale rimarrà a meno che una decisione di abolirla venga presa liberamente da future generazioni di parlamentari e di cittadini”.
Era contro la moneta unica e, come De Gaulle, era al massimo per una “Europa delle Patrie” (su questo punto la Thatcher ed io non siamo sulla stessa lunghezza d’onda). Era molto critica anche per la politica finanziaria dissennata dell’Europa, mantenuta dai contribuenti senza nessuna logica di mercato, e per l’assistenzialismo agricolo a go-go. Eppure, nonostante tutto, dobbiamo proprio a lei e al suo straordinario processo di liberalizzazione valutaria sia l’ Atto Unico che la successiva, formidabile accelerazione del processo di integrazione europea. Anche sulle privatizzazioni è stata formidabile; le ha fatte sul serio e ci ha insegnato come farle (anche se, ahinoi, non abbiamo imparato nulla). Dopo di lei le privatizzazioni sono diventate una terapia economica copiata in tutto il mondo. Potrei continuare a lungo, ma credo che questo sia sufficiente per far capire cosa ha fatto questa straordinaria signora nei suoi 11 anni di governo. Il contributo che ha dato non solo al suo Paese ma all’ Europa in generale e alla politica mondiale è stato di enorme importanza.
Con tanti saluti a quelli che vivono di cariche, di potere e di poltrone
Vale la pena ricordare come ha lasciato il posto di capo del governo.
Il 20 Novembre 1990 si svolgono le elezioni per la guida del partito Conservatore. La signora Thatcher ottiene, come sempre, il maggior numero di preferenze, ben 204. Allo sfidante, Michael Heseltine, vanno 152 voti, per la maggior parte di deputati conservatori più europeisti della Thatcher. La differenza di 52 voti è molto alta, ma non è sufficiente, perché lo statuto del partito Conservatore prevede che in prima votazione nella circostanza era necessaria una maggioranza qualificata di almeno 56 voti, mentre al secondo turno sarebbe stata sufficiente la maggioranza. Ma la signora Thatcher, fedele all’unità del partito Conservatore e per non creare problemi, saluta tutti e si dimette anche da capo del Governo.
Finisce così un’era. Dopo 15 anni di presidenza del partito e 11 anni capo del governo la signora se ne va perché le mancano 4 voti su 372 e non ritiene corretto aspettare una seconda votazione. Un gran bell’esempio anche questo di politica fatta secondo principi e con totale dedizione e integrità.
Giancarlo Pagliarini
Segretario dell’Unione Federalista