Non ci sono più le condizioni per andare avanti: niente maggioranza, Conte temporeggia e il Paese non riparte. E intanto incombono le ombre del Mes, di Renzi e delle Regionali…
Basta sfogliare un quotidiano a sorte di un giorno qualsiasi degli ultimi tempi, per rendersi conto che questo fantomatico governo giallorosso ha i minuti contati. Sono troppi gli elementi che ci inducono a prevedere una breve crisi politica che potrebbe ricalcare, speriamo con toni meno rocamboleschi, quella a cui siamo stati inermi spettatori solamente un anno fa.
Innanzitutto, non c’è più una maggioranza stabile: gli ultimi trasferimenti nelle Camere risalgono a settimana scorsa, con l’ennesimo assottigliamento dei gruppi pentastellati i cui parlamentari preferiscono passare all’opposizione. Mentre alla Camera – pur boccheggiando – l’esecutivo può respirare, al Senato la calura rischia di diventare asfissiante. A Palazzo Madama, infatti, se oggi si dovesse votare una mozione di sfiducia nei confronti del Conte bis, molto probabilmente a salvare la poltrona sarebbero i sei miseri voti dei senatori a vita, votati e voluti da chissà chi. Ma anche qui, sinceramente, non ci metterei la mano sul fuoco.
In stile “Prima Repubblica”, il nostro attuale Presidente del Consiglio si sta divertendo molto a chiudere gli occhi sui temi rilevanti, preferendo nascondere i litigi interni del proprio Gabinetto regalando cioccolatini dalla finestra e organizzando inutili e sfarzose passerelle televisive. Ma prima o poi, quella patata bollente che si chiama Mes dovrà essere ingoiata: ne vedremo delle belle, anche se non dovessero mettere la tanto amata questione di fiducia. A quel punto si arriverebbe alla resa dei conti e i 5 stelle metterebbero a nudo tutte le loro divergenze, che potrebbero anche portare ad una scissione del partito con la fuoriuscita della corrente capitanata da Di Battista. Certo, facciamo un altro partito: tanto, con una legge elettorale proporzionale, uno in più o uno in meno non fa molta differenza. Ci va di mezzo solo la stabilità politica e il futuro del Paese: piccole ombre che si potranno coprire regalando un ciuccio (e un inciucio) nuovo all’elettorato.
Da non dimenticare la variabile “Renzi”, che con il suo partitino da 3% può fare il bello e il cattivo tempo nel panorama politico italiano. Senza di lui la maggioranza salta e questa posizione privilegiata – che farebbe invidia pure a Craxi – gli permette di essere molto più forte e determinante di tutte le altre forze politiche. Tutto il gioco regge grazie a quel piccolo anfratto di emiciclo senatoriale, seduto tra Pd e 5 stelle, che con 18 parlamentari e 2 ministri conta molto di più dei 147 parlamentari dell’opposizione e, oserei affermare, anche dei restanti della maggioranza ufficiale.
“Se i Grillini e Pd insistono con il sistema proporzionale” si legge sul Corriere di ieri “[Renzi] sceglie un pomeriggio di agosto a caso, e Conte lo butta giù”. Sembra un copione già visto. Come Salvini l’estate scorsa, anche Renzi, oltreché per la legge elettorale, ha diversi motivi validi per far crollare il Governo. Perché questa è la democrazia in Italia: il partitino piccolo, se si trova nel posto giusto al momento giusto, può essere molto più importante delle grandi coalizioni che esprimono la maggioranza degli italiani. Il voto? Serve a poco: bastano 18 blateranti per tenere in scacco l’Italia, mentre la “sovranità popolare” serve solo per farsi due risate al bar di Palazzo Madama.
Ma per i giallorossi l’agonia non è finita: all’orizzonte si delinea sempre di più lo scoglio delle Regionali. Un grande scoglio, grande quasi quanto un’isola vulcanica in eruzione: in Veneto e Liguria verranno quasi sicuramente confermati Zaia e Toti, molto apprezzati per la gestione dell’epidemia. Nelle altre vedremo, ma per Pd e 5 stelle – che dopo l’ennesimo battibecco hanno deciso di gareggiare con dei corridori diversi – non si possono prevedere epiloghi brillanti, nemmeno in Campania dove fino a sei mesi fa De Luca sembrava inamovibile.
Insomma, l’Emilia-Romagna potrebbe seriamente diventare l’unica regione governata da una coalizione di sinistra, peraltro da una testa calda e “disobbediente” come Stefano Bonaccini che in questi giorni, in coro con Giorgio Gori, non si risparmia in critiche verso il governo e la segreteria dem. A quel punto, potremmo assistere ad uno scempio senza precedenti: avere un Governo di sinistra con diciannove Regioni di destra. Democrazia? “Certo” affermeranno i democratici della prim’ora, “la Costituzione dice che finché c’è una maggioranza si può governare”. E finché c’è la sovranità popolare? Che cos’è che si può fare?
Ricapitolando, abbiamo il Mes e i litigi esterni ed interni dei partiti di Governo, l’allegra brigata renziana e le Regionali: il tutto condito con il dibattito sulla legge elettorale, le problematiche del decreto semplificazioni, la riforma del codice degli appalti, le pressioni dell’Ue, la riforma dell’Irpef, la rimodulazione dell’Iva, i tassi d’interesse che rischiano di impazzire, un Paese che non riparte e l’ombra dei finanziamenti illeciti del 2013 per il Movimento 5 Stelle da parte della dittatura Venezuelana (una situazione ancora tutta da dimostrare, ma ugualmente scomoda).
Ecco: abbiamo tutto quello che serve per provocare una crisi. Cosa sarà a scatenarla? Chi farà il primo passo? Quando? E soprattutto: quali saranno le conseguenze per il Paese? Dopo la sfilata stile “serata degli Oscar” in Villa Pamphilj per gli Stati Generali, oserei dire che sembra proprio di vedere un simpatico telefilm a episodi… peccato che la recitazione non sia delle migliori. Ma per ora dobbiamo accontentarci così: le nostre domande saranno fugate, salvo colpi di scena dell’ultimo minuto, nelle prossime puntate.
Alessandro Frosio