Autore

Luca Allevi

Dottore commercialista, pubblicista. Partner Leaders e del network Gruppo 24 Ore. Magistrale Economia Bocconi e Master RE NY University. Ha lavorato in Pizzarotti, Essex Capital NY e Avalon RE. Cell. 338-378.57.65 luca.allevi@leaders.it

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One Comment

  1. 1

    angelomario

    Non voglio apparire contraddittorio a chi legga i miei precedenti commenti, ma in tutta la vicenda libica c'è un paradosso, rinvenibile anche nell'articolo di Allevi, per il quale chi si oppone tout court all’in­tervento sotto egida Onu per "proteggere" i civili libici – e di conseguenza contro il regi­me di Gheddafi, inutile nasconderselo – rischia a propria volta di essere vittima dell’antica sindrome del gendarme. La tentazione di imporre un ordine, di in­casellare ogni Paese in una rigida scacchiera, di non tollerare mutamenti che aprano sce­nari di incertezza è infatti un retaggio del mondo bipolare della Guerra Fredda, o dell’idea unipolare dell’iperpotenza americana alla fine della storia, come qualcuno si era illuso dopo il crollo del Muro di Berlino.

    L’oggettivo ridimensionamento del ruolo americano, assecondato – non si sa quanto volontariamente – da Obama, apre oggi spazi tanto imprevisti quanto vasti per som­movimenti di amplissima portata, a partire dal Maghreb e dal Medio Oriente. Vedere in qualunque rivolgimento politico l’opportu­nità per una presa del potere da parte di al-Qaeda o in ciascuna sollevazione popolare un’insidia per gli interessi delle democrazie consolidate – vuoi economici, vuoi legati al­le migrazioni – pare la risposta a un riflesso che non vuole fare i conti con un quadro mu­tato e che non necessariamente sarà peggiore del precedente. Si tratta di un quadro mutato in modo poco comprensibile per noi, che comunque deve mutare, rispetto al quale la politica è in terribile ritardo, ritardo tanto terribile da essere di minaccia a popoli come i nostri, che quel cambiamento non sono stati indirizzati a capire o prevedere. Certo, il cambio di atteggiamento verso il rais di Tripoli è riuscito infine a essere tanto re­pentino quanto tardivo. Tuttavia, ha fatto "o­nestamente" i conti con la storia in marcia: u­na rivolta interna che ha raggiunto massa cri­tica e convinzione nella possibilità di un suc­cesso grazie al contagio positivo delle rivolte in Tunisia e in Egitto, almeno, così ci si è fatto credere. E lo stesso intervento mi­litare in Libia può non rispondere a una logi­ca di puro cambio di regime a uso di qualche interesse particolare quando si limitasse dav­vero a impedire il massacro di inermi cittadini, lasciando poi alle logiche interne del Pae­se lo sbocco finale della crisi. La logica del gendarme alle incognite prefe­risce l’ingessatura di situazioni incancrenite, il pugno di ferro alla dinamica delle società, la quale può o deve – secondo i punti di vista – essere agevolata nella direzione di maggio­ri aperture democratiche e di fondamentale rispetto delle minoranze, ma che non può (e forse non deve) venire necessariamente gui­data dall’esterno. E spesso, oggi, non può es­sere guidata perché non esiste oggettivamente un singolo attore che abbia volontà e capacità di incanalare lungo sponde precostituite il fiume impetuoso del cambiamento.

    Nel ribollente scenario mediorientale, che pri­ma avevamo salutato come culla di un na­scente movimento di modernizzazione, a­desso rischiamo di vedere soltanto i rischi di un’involuzione fondamentalista e una sor­gente di caos che porterà nuovi immigrati sul­le nostre coste. Magari con un crescente pe­ricolo di terrorismo. Le dinamiche avviate hanno bisogno di tempo e di respiro, i loro e­siti non sono necessariamente scontati. Ciò che possiamo imparare, mentre ancora i no­stri aerei pattugliano i cieli libici, è che la lo­gica del gendarme, dell’ordine e dell’oppor­tunismo non risulta più tanto facilmente pratica­bile.

    Un mondo multipolare faticherà – ad esem­pio – a tenere a bada un Iran aggressivo e sem­pre più vicino al dotarsi dell’arma atomica, ma potrà anche lasciare emergere dalla ca­micia di forza degli schieramenti quegli spi­ragli che permettono il risveglio di nazioni che sembravano condannate a rimanere sot­to il giogo di autocrati utili solo a chi faceva affari con loro. Ecco allora che evitare in fu­turo abbracci interessati e imbarazzanti con i leader che opprimono i propri popoli è la necessaria e coerente continuazione della scelta di intervenire per fermare Gheddafi. E che tale rifiuto sia la premessa per un nuovo or­dine, frutto sofferto non soltanto di ingeren­ze con secondi fini e di velleità di mettere la storia al guinzaglio. Frutto sofferto di una effettiva lotta alla sempre più costringente concatenazione mafie-affari-politicanti-pseudopolitica.

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