“Il termine populismo sta a indicare una visione sentimentalistica e idealizzata delle masse popolari”: questo è il significato che si può trovare sull’enciclopedia. Ma cosa è veramente il populismo? Una cosa positiva o negativa? Ma soprattutto: quali conseguenze può portare nella politica di una democrazia occidentale?
Innanzitutto, è chiaro che il populismo non è un’ideologia politica come lo sono, per esempio, il liberismo o il socialismo. Il populismo, infatti, non rappresenta una visione del mondo né tantomeno un recipiente di ideali, ma è un modo di approcciarsi alla politica e alla realtà dei fatti del tutto versatile e trasversale. Insomma, può essere paragonato ad un liquido: non ha una forma propria, ma prende quella del contenitore in cui viene versato. E così abbiamo populismi con ideologie contrapposte, spesso in guerra, ma con dei punti in comune sulle modalità di azione.
Ma cerchiamo, nel modo più oggettivo possibile, di tracciarne un disegno complessivo.
Gli aspetti positivi del populismo
La sua qualità principale è il fatto che il politico/partito che viene definito populista è quello che scende dal Pantheon degli eroi e si abbassa al livello della cittadinanza confrontandosi direttamente con gli elettori, trattandosi quindi di una politica a contatto con la nuda e cruda realtà quotidiana.
Il politico populista va per le strade e parla con il commerciante dietro il bancone, l’edicolante che vende il giornale, l’operaio che torna a casa dal lavoro, lo studente che va all’Università e il vecchio che aspetta davanti alla Posta per ritirare la pensione. Ne raccoglie i malumori, i dissensi, alcune proposte e talvolta anche la rabbia di fronte ad un presente in continuo mutamento e un futuro dai risvolti incerti. Il politico, quindi, cerca di capire sul campo cosa c’è che non va nel Paese per provare a formulare un ventaglio di soluzioni possibili. Queste soluzioni diventano promesse elettorali e poi, se tutto va bene, si evolvono in programmi di Governo.
Con questo diretto rapporto eletti-elettori si crea una relazione di fiducia più solida e, non da ultimo, si avvicina la politica ai cittadini che diventano protagonisti delle sorti del Paese. In una società in cui il cittadino medio ritiene di avere poca fede nei confronti dei politici, il populismo è un metodo che restituisce al Paese un pizzico di fiducia in sé stesso e nei propri rappresentanti.
Diciamolo chiaramente: una politica che rimane asserragliata nel Palazzo e non va dalla gente comune, incorre nel rischio di avere una visione distorta della realtà e di prendere dei provvedimenti che possono risultare inutili – se non dannosi – per chi l’ha eletta. Come fa un politico che rimane dietro ad una scrivania tutto il giorno a conoscere i problemi della vita reale? Come può presumere di rappresentare un certo numero di persone che, in realtà, non conosce? Una politica di questo tipo, per quanto ligia e seria, risulta miope di fronte ai problemi reali.
Ma ecco alcuni dubbi…
Bene: detto così sembra tutto bello e semplice. Purtroppo nella politica, così come nella vita, esiste sempre quel “ma” di troppo che lascia all’osservatore accorto il privilegio del dubbio. E qual è questo dubbio?
Innanzitutto, il populismo ossessivo rischia di sfociare nella demagogia, ovvero nell’ “arte di servirsi delle masse per la conquista del potere in forme e modi apparentemente democratici ma che in realtà tendono all’istaurazione di regimi autoritari”. Come si può desumere da questa voce enciclopedica (scritta da Giulio Guderzo), la demagogia è uno strumento che può portare a situazioni incompatibili con i valori cristiani, liberali e democratici della nostra civiltà occidentale. Già Aristotele “afferma che i demagoghi sono responsabili del passaggio all’oligarchia e alla tirannia” e, continuando a leggere, si scopre che “una linea demagogica si riconosce dal suo appellarsi alle aspirazioni delle masse facendone proprie tutte le rivendicazioni, senza piani concreti di rinnovamento economico e sociale, e contando sull’ignoranza circa le dimensioni reali dei problemi da risolvere”.
Ed ecco qui svelato lo stretto legame tra queste due arti politiche. Un populismo sfrenato e dilagante, infatti, rischia di trasformarsi in una vera e propria “dittatura del popolo” che, con la propria ignoranza su temi centrali, permette ad alcuni abili uomini di potere di conquistare le più alte vette delle istituzioni e di sovvertire l’ordine democratico. Possiamo affermarlo con convinzione: la demagogia può essere fatale per un popolo tratto in inganno dalle belle parole di un “Uomo della Provvidenza” che, in nome di esso, potrebbe facilmente trasformare quell’ “aula sorda e grigia” in un “bivacco di manipoli”.
Comunque, attualmente in Italia non credo che esista un pericolo di deriva autoritaria a causa del populismo. Certo, il “sì” al referendum del taglio dei parlamentari potrebbe accennare a qualcosa di simile, ma sostanzialmente non dobbiamo avere paura: nelle condizioni attuali, l’Italia non tornerà ad essere una dittatura. E, se lo diventerà, non sarà certo a causa dei politici che vanno alle sagre di paese per parlare con i pensionati e che fanno comizi nei mercati in piedi su una sedia di plastica.
Ma il rischio più sottile che corriamo, a mio umile parere, è un altro. Perché la politica, nonostante tutta la polvere che vi si è depositata sopra, rimane un’arte. Un arte nobile, forse la più nobile di tutte: occuparsi della cosa pubblica non è una cosa meravigliosa? Ma come ogni arte, la politica deve essere seria e responsabile. Non può lasciarsi trasportare da futili leggerezze, ma deve sempre apparire in tutta la sua correttezza e accortezza, assiduamente educata e ligia sul lavoro. Purtroppo il populismo rischia di introdurre nel modo di fare politica quegli atteggiamenti popolani che vanno benissimo in una partita a bocce dell’oratorio, ma che mal si addicono agli incontri istituzionali in cui bisogna usare diplomazia e lungimiranza.
Una medicina per il cuore…
Tirando le somme, mi permetto di ritenere che il populismo, in sé, non è malvagio. Anzi, in una certa misura è giusto e auspicabile, ma non bisogna abusarne. Perché la gente comune deve essere ascoltata sempre, ma non bisogna prendere per vero tutto quello che dice. Ci sono certe cose che il popolo non sa e non può capire per sua costituzione naturale: gli interessa mangiare oggi, mentre una politica accorta deve pensare anche al domani. È necessario far star bene la cittadinanza ed essere in grado di soddisfarla, ma al tempo stesso non bisogna dar retta a certe “chiacchiere da bar” che, se applicate, aprirebbero scenari potenzialmente pericolosi.
In definitiva, il populismo è come una medicina per il cuore. Se non viene usata, il cuore si ferma. Ma se viene usata troppo, il cuore scoppia.
Alessandro Frosio