Il 25 aprile è senza dubbio una ricorrenza molto importante per il nostro Paese. La libertà, un principio essenziale per la vita dell’essere umano, non era così scontata nel 1945, in un’Italia dilaniata da una guerra spietata e che veniva da un ventennio di dittatura. In questi giorni di quarantena, la libertà è venuta a meno: non siamo più liberi di uscire, non possiamo incontrare i nostri cari o gli amici… anche solo una semplice passeggiata al parco è oggi un privilegio dal valore inestimabile. Stiamo capendo, insomma, che la libertà è bella, ma anche che non è scontata.
La libertà è un diritto di tutti e quindi, per par condicio, anche il 25 aprile dovrebbe essere una festa di tutti. Purtroppo, è da ormai diversi anni che stiamo assistendo a un vergognoso processo che sta trasformando il Giorno della Liberazione Nazionale in una ricorrenza non aperta a tutti. Infatti, il 25 aprile sembra diventata la festa dell’ANPI e dei partigiani rossi, che sicuramente hanno dato una mano nella liberazione del Nord Italia, ma non sono stati gli unici protagonisti di quegli avvenimenti. L’anno scorso, per esempio, le piazze erano piene di bandiere rosse, non di tricolori, mentre si cantava “Bella Ciao” e “Bandiera Rossa”, non l’Inno d’Italia: una festa di tutti, ma festeggiata solo da alcuni e in modo troppo esclusivo.
La storiografia ufficiale ha escluso per moltissimo tempo tutti i militari che, dopo l’annuncio dell’8 settembre 1943, anziché schierarsi con i tedeschi, hanno deciso a loro rischio e pericolo di combattere per salvare la libertà del nostro Paese. Come dimenticare i Martiri di Cefalonia? E quelli di Corfù e di Rodi, che per primi hanno dato la loro vita per salvare il proprio Paese? I primi liberatori non furono partigiani, ma militari coscienti dei pericoli che correvano. Purtroppo, durante le manifestazioni del 25 aprile, i sacrifici di questi eroi nazionali non vengono quasi mai ricordati.
Inoltre ci tengo a sottolineare che la Resistenza, oltre ad essere stata un conflitto contro lo straniero, fu una guerra civile tra italiani. C’erano partigiani contro repubblichini, ma anche partigiani contro altri partigiani: non è più segreta la lotta logorante di quegli anni tra militanti “bianchi” e “rossi”. I primi, legati a ciò che più tardi divenne la DC, lottavano per liberare l’Italia e per accreditarsi di fronte agli occhi degli americani; i secondi, legati al PCI, volevano fare la rivoluzione proletaria e portare il Belpaese sotto l’ombrello dell’Unione Sovietica. Due schieramenti, due ideologie, due Stati di riferimento: gli scontri tra di loro furono inevitabili. Secondo Gianpaolo Pansa, giornalista di spessore morto da poco, la storia della Resistenza dovrebbe essere completamente riscritta: è stata anche una guerra civile tra italiani e una lotta di classe, spesso caratterizzata da giustizie sommarie, episodi di opportunismo e regolamenti di conti interni.
Per questo trovo la lotta partigiana molto controversa e mi dispiace vedere che oggi la si celebri come se fosse stata l’unica fautrice della libertà. Sicuramente ha giocato un ruolo rilevante che è giusto ricordare, ma i partigiani dell’ANPI non sono gli unici degni di essere commemorati. Sono tanti gli eroi dimenticati e mi piacerebbe ricordarli tutti, ma dovrò derogare per motivi di spazio perché la lista è veramente lunga. Mi limito a mostrare il mio disappunto di fronte a questa politicizzazione di una festa nazionale, comunicando all’intellighenzia di tutte le parti politiche che il 25 aprile è di tutti e non solo dei retaggi dei partigiani che cantavano “Bandiera Rossa” dopo aver fucilato altri italiani.
Purtroppo, questo fenomeno di spartizione delle ricorrenze nazionali è molto frequente nel calendario italiano. Qualche accenno? La festa della Vittoria del 4 novembre è considerata di destra, l’olocausto del 27 gennaio viene ricordato soprattutto dalla sinistra mentre i Martiri delle Foibe sono una prerogativa della destra. Poi, appunto, abbiamo il 25 aprile in mano alla sinistra e un 17 marzo, anniversario dell’Unità d’Italia, che viene dimenticato un po’ da tutti.
È una malattia tutta italiana: ognuno deve prendersi un pezzo di storia per la propria becera propaganda. Come diceva sempre il gigante del giornalismo Indro Montanelli, l’Italia è “una Paese di contemporanei” perché, oltre a non essere lungimirante, non conosce il proprio passato. Ed è proprio questo il punto: in occasione del 25 aprile, festa di tutti, l’opinione pubblica dimentica intere categorie di italiani e patrioti che hanno contribuito in modo determinante, o anche solo simbolico, alla liberazione della nostra Patria. Noi italiani non studiamo la storia, per questo non capiamo il presente e non sappiamo come affrontare il nostro futuro. Se iniziassimo a ricordare il nostro passato in modo oggettivo, con tutti i suoi eroi e i suoi errori, forse saremmo in grado di vivere i nostri giorni con una maggiore consapevolezza e accortezza.
Noi, prima di essere un crogiolo di idee, siamo una Nazione. Una Nazione unita, compatta, che quel 25 aprile ha ottenuto un solo e grande risultato: la fine della guerra civile. Non importa se si è di destra o di sinistra, non importa se oggi vogliamo fare a gara per vedere chi la spara più grossa: qui c’è solo la nostra amata (e vituperata) Italia. Un Paese con una storia eccezionale, anche se non la conosciamo. Un Paese con la P maiuscola, che oggi festeggia la sua ritrovata Pace e la sua Libertà.
Alessandro Frosio