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57 Comments

  1. 1

    Myleeha Hjlk

    “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. È una delle frasi che ritengo fondamentali per la vita sociale di tutti i tempi e tutti i luoghi, nella loro generalità, e non soltanto per la vita spirituale individuale o di una famiglia cristiana (ma vale anche per quelle non cristiane) oppure di ristrette comunità di compartecipazione cristiana: una frase di sconvolgente significato anche in campo politico.
    Probabilmente Heinrich Eichmann, Maggiore delle SS, sapeva quel che stava combinando, come lo sapevano altri criminali politici quali Hitler, Himmler, Goering, Lenin, Stalin, Berija, Mao Zedong, Saloth Sar (Pol Pot), Tito, Togliatti, Moranino e allegra compagnia.
    Ma quelli che hanno contribuito, senza capire fino in fondo, ai diversificati ma sistematici e organizzatissimi stermini di plurimo colore del popolo ebraico, in Germania come in Polonia come nell’Unione Sovietica e in Cina, si può dire che sapessero quel che facevano?
    Se avessero voluto vedere, avrebbero visto, se avessero voluto ascoltare, avrebbero saputo, se avessero voluto parlare, avrebbero fatto coscienza collettiva.
    Non hanno fatto nulla di ciò, perché non volevano sapere ciò che facevano, per ideologia, comodità. indifferenza, amoralità o altro.
    Sullo stesso piano dei robotizzati inchiodatori al truce servizio del gioco di prestigio giuridico romano? Hanno diritto al perdono immediato del Padre chiesto da Gesù?

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    1. 1.1

      Ernestina Maria Ghilardi

      Milka ha posto un problema angoscioso, terrificante, quello che è stato chiamato dell’assenza di Dio, richiamando l’Ecclesiaste. Ma non è meno angoscioso quello che pongo io, sulla base della mia pur modestissima esperienza politica nella mia città: vengono prese deliberazioni ed emanate disposizioni che riguardano decine di migliaia di cittadini (la zona 7 a Milano ne conta 200.000 circa) spesso dopo brevissima discussione e senza che si abbiano le necessarie competenze tecniche. Non si sa quel che si fa, perché troppo frequentemente non se ne conoscono del tutto le conseguenze. Sono la sola nel Consiglio che, quando me ne accorgo, consulto due miei amici avvocati, che mi danno qualche dritta. Ovviamente passo per una piantagrane, anche se la cosa è accettata perché sono in minoranza. Saremo perdonati dal Padre?

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      1. 1.1.1

        maargharj butterei

        L’osservazione dell’impegnata politica onesta qui sopra, in sé devastante anche sotto l’aspetto delle possibilità di reazione, è completata dal fatto, già in precedenti commenti segnalato, della continua ubriacatura di talk-show in cui presenziano tromboni e trombette pseudo tuttologi, che parlano di tutto e di tutti, con una superficialità pazzesca, con il solo effetto di stordire il pubblico e far passare quel che si vuol imporre a vantaggio di qualcuno.
        Tutti questi pezzenti morali, aiutati da una stampa spesso indegna, lo sanno quel che fanno? O meglio: possibile che non sappiano quel che fanno?

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    2. 1.2

      Karl Heinz Treetball

      Si ripropone qui il dramma del reato puramente colposo o della reazione esagerata a un’offesa subìta. Chi commette quel reato quasi sempre non sa quel che sta accadendo oppure non riesce a controllarne le circostanze: eppure viene punito e talora anche messo sul lastrico economicamente, pur non venendo considerato un delinquente dalla comunità d’appartenenza.
      Nel caso dei torturatori di Gesù il caso è diverso, più simile a quanto detto sopra. E non credo che essi fossero ben considerati dalla società.
      Però non vengono puniti e hanno il perdono di Gesù.
      E i primi?

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      1. 1.2.1

        Schèttine della Biscaglina

        Credo si riproponga qui il senso della legalità, che è già stato oggetto di discussione durante le scorse settimane. Quelli che sono spesso i delinquenti più pericolosi o abominevoli o effettivi operano in troppi numerosi casi colla copertura delle leggi, gli altri no.
        Più giusto sarebbe che le leggi fossero volte a impedire preventivamente le ingiustizie e le punissero tutte, specie quelle evidenti e anche se coperte da norme fatte per l’ingiustizia.

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        1. 1.2.1.1

          Birgitta dalla Foresta Nera

          “Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra”. L’unica differenza fra il figlio di Dio e i due delinquenti è che il primo viene messo al centro, forse per significare che era più delinquente degli altri.
          Il capitano di naufragi qui sopra osserva cose giuste. Io ne individuo un’altra: la giustizia non può essere appiattimento burocratico, semplice applicazione di codicilli e circolari predeterminati, per cui un Rabbi è trattato come come un ladro, quando è palese che non è così. Questa non è legalità ma abusivo appiattimento burocratico, quello con cui si opprimono i popoli.

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          1. 1.2.1.1.1

            Goffri

            Gesù non è stato condannato per motivi burocratici o di forma. I suoi avversari avevano compreso che mutava la religione ebraica su punti fondamentali e che per fare questo si attribuiva un’autorità divina. Egli si permetteva di correggere la legge che Dio aveva proclamato sul Sinai e perdonava i peccati, cosa che solo Dio poteva fare.

    3. 1.3

      al Gandalfir billàh

      Io ho sempre avuto il dubbio di sapere effettivamente quello che faccio: innanzitutto il caso gioca un ruolo incredibile nelle vicende umane. Devo andare a Milano e trovo la gomma a terra e il mio programma salta. Mi vesto estivo e un improvviso temporale mi bagna tutto e abbassa terribilmente la temperatura, facendomi battere i denti. E così via. Quel che faccio dopo tali eventi non è conseguente a quel che pensavo di fare. Non essendoci consequenzialità, prima non sapevo e neppure immaginavo quel che ho fatto poi. Non so ora quel che faccio effettivamente.
      Cosa ancor più pregnante avviene sul piano dell’informazione: credo di sapere e non so. Agisco in una direzione convinto di sapere e invece non so. L’umanità oggi generalmente non sa quel che fa. Crede di saperlo, ma non sa.
      Anche i torturatori di Gesù sono nella stessa condizione: sanno quel che stanno facendo, sanno che Gesù è un condannato a una pena adatta a un criminale, non sanno, invece, chi Egli effettivamente è, come stanno realmente le cose.
      La frase del Vangelo è, dunque, imprecisa: non hanno conoscenza e coscienza del caso.
      Nella storia dell’umanità l’inconsapevolezza delle cause comportamentali è un continuum: va sempre perdonata o, al massimo, è un’attenuante, salvo che essa sia ragionevolmente impossibile?
      Al centro, il problema della responsabilità, individuale e collettiva.

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      1. 1.3.1

        Romana

        Un tempo l’esercizio della responsabilità era più facile: ambienti più ristretti, tutti conoscevano tutto quel che serviva, poche norme, da osservare rigorosamente, che regolavano comunità abbastanza piccole e comunque circoscritte.
        Oggi è tutto cambiato, anche gli studi: se il ragazzo d’oggi dovesse acquisire la sua formazione culturale su internet, diverrebbe pazzo. L’immensità di quanto proposto impedisce il formarsi di qualsivoglia struttura di supporto al pensare. E i ragazzi non pensano più, nel senso filosofico del termine, neppure riguardo alle scelte più importanti, quelle del bene e del male. Non sanno, e fanno.
        Credo che l’assunzione di responsabilità del buon ladrone sia quasi impensabile per un giovane d’oggi, e un momento altissimo della nostra storia, oltre che della fede, come quello da noi partecipato in questi giorni , perde di significato per il nostro rampollo.
        Così si rischia di perdere il senso di una civiltà, e non dobbiamo meravigliarci più di tanto dei fatti di questi tempi, comunque generati da culture più solide della nostra.
        Per tutti noi e per i sacerdoti, un còmpito da far tremare le vene e i polsi.

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        1. 1.3.1.1

          Goffri

          La molteplicità degli stimoli rischia di perderci. Dovremmo fare delle scelte ed impiegare una parte del nostro tempo a cercare il senso vero della vita. Anche l’uomo moderno lo cerca, ma pensa di soddisfarlo attraverso un continuo succedersi di sensazioni e di novità Invece è una ubriacatura.

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      2. 1.3.2

        Goffri

        La risposta meriterebbe maggiore ampiezza. Mi limito a dire che non siamo signori della nostra vita, per cui non possiamo regolarla in tutto come vogliamo. Possiamo però perseguirne il senso, dare cioè significato a quanto compiamo. In quanto umane, le azioni rivestono la possibilità di assumere una qualità tutt’altro che banale: mi mettono in comunicazione con gli altri e possono essere compiute come riflesso della propria capacità e intelligenza e con spirito di servizio verso i propri simili: dal lavoro. agli impegni di famiglia alla solidarietà, al divertimento. Tutto può e deve essere fatto per amore. Le difficoltà POSSONO ABBATTERE, MA ANCHE RINFORZARE QUESTO IMPEGNO, renderlo meno dipendente dalle gratificazioni immediate. In questo modo compiamo la volontà di Dio Padre e ci affidiamo a Lui, che ci rivela il suo progettonelle nostre vicende e mai ci abbandona

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  2. 2

    Giovanni di Hildesheim

    Verso il mezzogiorno di oggi, sabato santo, sono andato in parrocchia per la visita e meditazione del significato del sepolcro del Signore.
    La statua del Cristo deposto non è quella di un morto: appoggiata a cuscini, la figura ha membra mosse e non rigide e composte. Sembra uno dei nostri tanti malati adagiati nei letti d’ospedale.
    Mi è allora venuto in mente quel che diceva Madre Addolorata Nessi in un precedente commento: Dio ha affidato il corpo del Figlio nientemeno che all’uomo, alle sue mani, alla sua volontà, alla sua intelligenza.
    Ma allo stesso modo avviene per ciascuno di noi: siamo affidati agli altri alla nascita, nell’infermità, al momento della morte e anche in tante altre circostanze, magari casuali.
    In fondo, la nostra vita dipende completamente dall’affidamento agli altri, quindi, da coloro cui mettiamo in mano noi stessi.
    Ecco che sorge nuovamente il problema morale, il problema delle norme, il problema di quanto poco il Cristianesimo sia praticato nella realtà odierna e, di conseguenza, della scarsissima affidabilità della società attuale.
    Questo mi ha detto a mezzogiorno del sabato santo 2016 il Cristo deposto e offerto all’adorazione dei fedeli. Forse poco, ma già qualcosa: ho scoperto che Gli si può parlare. Anche da morto. E forse per questo era soltanto adagiato sui cuscini, quasi fosse in attesa di me. Per potermi dire ciò che ero in grado di comprendere in quel momento..

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    1. 2.1

      Giovanni di Sacrobosco

      Mi domando quante volte moriamo. Fisicamente una volta sola, almeno di solito. Ma quante altre volte moriamo a qualcosa, che perdiamo definitivamente? Moriamo alla fede, al rispetto degli altri e di noi stessi, all’amore per o di qualcuno, alle capacità lavorative o intellettive, spesso di questi tempi moriamo persino alla speranza.
      Ebbene, quel corpo nel sepolcro noi sappiamo che risorgerà, così come nel corso della nostra esistenza può risorgere all’improvviso quel che credevamo morto, rinascere a nuova vita quel che pensavamo perduto per sempre e avevamo quasi dimenticato.

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    2. 2.2

      Ildegardo da Aachen

      In effetti Gesù rimette il Suo spirito nelle mani del Padre, perché il corpo lo consegna a noi.
      Si ripropone il problema che Lei, Eccellenza, aveva sollevato la settimana scorsa: è Gesù stesso che, seppur da morente, separa il corpo da quello spirito che raggiunge immediatamente il Padre, in attesa della risurrezione del corpo, che non si sa quando avverrà.
      Come si possono biasimare quei cristiani che hanno privilegiato l’anima rispetto alla loro personale materialità, tenuto conto del fatto che per istinto naturale l’uomo è volto alla convenienza immediata?
      E come non capire allora, capire, non giusticare, prescindendo dal merito e dai contesti, quei musulmani che si immolano convinti di essere martiri della loro fede?

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      1. 2.2.1

        Ariberto della Gera d'Adda

        Non possiamo mettere a confronto il martirio di Gesù con i suicidi degli islamici.
        Gesù muore per la salvezza dell’umanità intera, è un giusto, non nuoce a nessuno e fa del bene anche sulla croce, al ladrone. I martiri cristiani fanno la stessa cosa per testimoniare la loro fede nel Signore.
        Questi qui, invece, non mi pare proprio: vanno a prendersi un mucchio di belle donne nel loro strambo paradiso. La loro aspirazione è quella, pensa tu!

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  3. 3

    Kamella Scemì

    Gesù è vero re in un’altra dimensione. Noi abbiamo l’abitudine di considerare i re, i presidenti delle repubbliche, i primi ministri come esponenti di poteri, ai quali nel corso della Storia sono stati attribuiti anche agganci con la divinità (“per grazia di Dio e volontà della nazione”), con l’ultrasensibile o il trascendente, legame che costoro hanno comunque sempre cercato, persino in ambiti comunisti.La cosiddetta “grazia di stato”, variamente intesa e interpretata.
    Gesù, unico vero re, il potere l’ha ammazzato.
    Mi chiedo se tutti questi “capi e capetti”, specie quelli ammantati di cristianesimo, si rendano conto di non essere veri re ma soltanto esercenti poteri non in nome e per conto proprio ma altrui, cioè di coloro che essi governano. E che, dopo l’esperienza atroce di Pilato, avrebbero il dovere di confrontarsi con la vera regalità, aggiungendo prudenza a prudenza nelle loro azioni, onestà ad onestà nei loro comportamenti, umiltà ad umiltà nel loro atteggiarsi.
    Non mi sembra, pur in sistemi sedicenti democratici, che questa sia però la cifra della conduzione di quella che è detta la cosa pubblica: mi chiedo se, infine, il potere, come attualmente esercitato, non finirà per scontrarsi ancora una volta con la divinità..

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    1. 3.1

      Conestabile Francisco "Ciccio" La Dolza

      Come riconoscere un vero leader? e in che campo? Gesù l’hanno fatto sparire (poi non ci sono riusciti), ed era pure Dio. Con l’acclamazione del popolo, oggi addirittura il detentore della sovranità politica (a parole, con relativa presa per i fondelli).Dicono alcuni che bisognerebbe correggere i meccanismi delle scelte. Ma da quando mondo è mondo i poteri organizzati con la forza hanno sempre prevalso. Anche oggi, soprattutto oggi. Solo le guerre e le rivoluzioni hanno prodotto cambiamenti, sostituendo prepotenti con altri più o meno prepotenti.
      Tutti costoro hanno quasi sempre ucciso il Signore. Sopravvivere è la sorte dei popoli.

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      1. 3.1.1

        Giòsep str.

        La Svizzera e l’Austria non le dicono nulla? Ci faccia un giro, anche se per un borbonico è faticoso andarci per capire. Non saranno il paradiso terrestre, questo no, ma l’attenzione responsabile alle comunità è ben diversa che da noi, dove prevalgono concetti familistici e sostanzialmente mafiosi. Che si fondano sulla forza, della violenza e dell’omertà. Cosa che purtroppo si è insinuata anche da noi, nella Bergamasca, complici le paramafiosità dei partiti. Sicuro che non si può proprio far nulla? Io non ci credo. Se siamo cristiani, poi, non ci credo per niente. Il Cristo in noi, in fondo in fondo, c’è ancora.

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  4. 4

    Gervasio di Tilbury

    “Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto». Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto”.
    Mi sono sempre chiesto perché la morte in breve tempo di Gesù abbia sollecitato sensi di colpa e forse di conversione nel centurione romano e nel popolo.
    Lei, Monsignore, spiega che il militare addetto alle esecuzioni, quindi, esperto del “mestiere”, era stato colpito dall’atteggiamento del condannato, dalla dignità con cui aveva affrontato il terribile supplizio, dalla reazione composta alle provocazioni insolenti dei capi e dei soldati. Il centurione ha constatato che Gesù reagiva con la comprensione ed il perdono anche nei confronti dei due criminali che erano stati crocifissi con lui: solo uno spirito superiore poteva tenere un simile comportamento. È, in sostanza, quel che ho sempre pensato anch’io, pur se credo che ci sia qualche ulteriore dettaglio tecnico, dettato dall’esperienza del carnefice, che mi sfugge.
    Ma il popolo, che tutto questo non ha visto e udito, o solo in parte, perché si spaventa, si dispera e batte il petto? È quello stesso popolo che ha chiesto a gran voce una terribile pena specifica, la crocifissione, la più terribile e avvilente, che ha chiesto la liberazione di un probabile criminale comune, Bar Habba. Come si spiega un cambiamento così radicale e improvviso?

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    1. 4.1

      Karl Heinz Treetball

      Quante volte crocifiggiamo il nostro prossimo, spesso senza saperlo? Nel lavoro, nella salute, prendendo tragici provvedimenti sbagliati, persino nel gioco. Tipico è accorgersi dopo degli errori commessi, un po’ come il centurione romano. Altrettanto tipico, come costui, non ammettere di avere sbagliato in proprio e non chiedersi il perché. Così si tradisce il Cristianesimo, si tradisce Gesù in croce per tutti noi, nessuno escluso, e così si impoverisce la società, vincolata a regole puramente tecniche, dettate da non si sa chi. Per i credenti, così si spiega la sempre più scarsa diffusione del sacramento della penitenza, momento intimo e fortificatore, sostituito da allegre e massicce riunioni di masse gaudenti, per lo più giovanili. Pessimismo? Realtà.

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      1. 4.1.1

        Goffri

        Buone le osservazioni, che si riallacciano a ciò che ho detto sopra. Vedi la risposta data a Lucio Ampelio.

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    2. 4.2

      Daniele

      C’è una cosa che non capisco: nella sostanza la condanna di Gesù è per bestemmia, per essersi proclamato Messia. Nel tempo, successivamente, altre persone sono state riconosciute come Messia dal popolo ebraico, per poi essere revocate. Ma mica le hanno condannate per bestemmia. Perché un trattamento così diverso, visto che pare spettare all’intero popolo tale riconoscimento? Può essere che il pentimento del popolo che aveva assistito all’esecuzione fosse dettato dalla consapevolezza della sottrazione di una sua prerogativa, essendo comunque certo che era stato assassinato un uomo giusto che avrebbe anche potuto dimostrarsi Messia? Tutti gli Ebrei nascono con la possibilità di essere essi stessi Messia?

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      1. 4.2.1

        Goffri

        La morte di Gesù è dovuta soprattutto alle autorità religiose di Israele, le uniche ad avere voce in capitolo presso l’autorità romana. Trovarono in Gesù un personaggio pericoloso – critica alla tradizione, al culto del tempio di Gerusalemme, ridimensionamento del sabato, novità morali discutibili – e ne chiesero la condanna a Pilato, rappresentante di Roma. Lo presentarono come messia politico, un pericoloso ribelle nei confronti di Roma. Pilato sapeva che si trattava di una calunnia, ma non rifiutò di assecondare la richiesta di condanna, per amore della concordia, dato che la Palestina era una delle provincie più irrequiete. Non poteva permettersi uno scontro su un povero predicatore della Galilea. Di fatto più di uno in quei tempi si era proclamato MESSIA. Il popolo inizialmente sostenne Gesù soprattutto per i miracoli, ma il favore iniziale sembra essere venuto meno. Dal sostegno molti passarono ad un atteggiamento più dubbio. La condanna a morte di Gesù provocò il disappunto di un certo numero, forse anche di molti, ma non una rivolta generale.

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  5. 5

    Guglielmo da Baskerville

    Riprendo anche dalle puntate precedenti il ragionamento circa la necessità del rapporto con gli altri: Gesù esalta sulla croce questo rapporto, come è stato detto, perché muore per la salvezza dell’umanità intera, quella che c’era stata prima e quella che verrà dopo di Lui. Un rapporto di relazione fraterna, di comunione della propria sorte, che irrompe nella storia dell’uomo e lo cambia, che lo voglia o no.
    Di questo ne abbiamo prova anche per altro verso: gli intellettivamente cretini che stanno sotto il patibolo, rappresentanti perfetti delle masse ideologicamente attive di tutti i tempi, provocano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
    Idioti! È proprio la necessità del rapporto di alterità, nel rispetto della libertà dell’uomo, che impedisce a Dio stesso di salvarsi da sé: se l’avesse fatto, avrebbe sconfessato se stesso. Dovevano essere altri, gli uomini e le donne che lui amava, l’umanità in genere, a salvarlo, riconoscendolo come Dio.
    Non l’ha fatto allora e lo fa men che meno adesso, insuperbita dalla tecnologia e convinta di essere composta da innumerevoli miserabili dèi.
    Per noi Europei finisce così una splendida fase di civiltà e non siamo in grado di capire quel che ci attende.

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  6. 6

    Beniamino di Tudela

    La moderna spettacolarizzazione ed esibizione del corpo stride con la scena tragica e solenne cui abbiamo anche noi partecipato: il popolo va ad assistere a un macabro spettacolo, che però gli piace. Non si aspetta di trovarvi da protagonista un Uomo, che è Dio, che annulla qualunque esibizione, ponendo tremendi problemi.
    Ecco, quando Lei, Eminenza, dice che quello del Cristo è il vero corpo da contemplare afferma una grande verità: tutti quei corpi senz’anima, quelle facce di palta che i media continuamente e ossessivamente ci obbligano a guardare e ascoltare sono la rappresentazione concreta della negazione dell’inscindibile unitarietà umana, quella di corpo e spirito.
    Una serie di fantasmi e burattini nelle mani di non si sa chi, che si muovono e agitano ingannevolmente simulando una loro umanità, che in quei momenti non hanno, non trasmettendo allo spettatore alcunché di sé, del proprio essere. Sono corpi eventualmente da vedere, ma non da contemplare.
    È proprio l’umanità da contemplare che ci è venuta meno. I Cristiani, sì, anche e proprio loro, sono consci di questo? Lo sono i nostri sacerdoti, spesso a capo di comunità che si distinguono per un pur ammirevole fare, facilmente ideologico, ma spesso senza purtroppo essere?

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    1. 6.1

      Giulio Fustinoni

      Sono abbastanza d’accordo con Beniamino. Il Monsignore dice che quelle esibizioni soddisfano spesso il desiderio tanto antico ed inestinguibile di guardare attraverso il buco della serratura per entrare nell’intimità altrui. Magari fosse soltanto così, sarebbe comprensibile anche se non proprio bello. In realtà il buco della serratura e le relative visioni sono costruite ad arte, e di intimità non si parla neppure. Hanno semplicemente la funzione di un noto farmaco, che certo non aiuta a far funzionare il cervello ma altro. Con tutte le conseguenze circa la capacità di ragionare ed essere consapevoli dei nostri popoli.

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      1. 6.1.1

        Matilda da Canossa

        Lasciamo stare i farmaci e ciò che li sostituisce: se uno vuole vedersi i filmini porno per eccitarsi, fatti suoi. L’importante è che sappia perché lo fa e che quel che fa non è cosa da vantarsi. Lo fa, e basta. Quel che qui si è detto sul corpo non c’entra niente coi filmini. Riguarda l’educazione generale al rispetto per il corpo proprio e altrui, un corpo che è fuso con un’anima e che deve esprimere la dignità di quel che è. Semmai il problema si pone quando la televisione pubblica, le televisioni private, il web, che dovrebbero essere sempre in sintonia col dettato costituzionale che solennemente afferma la dignità di ogni persona, si mettono al livello non dei filmini, ma quasi. Quello sì che diventa veicolo di diseducazione. Con quali fini? Le osservazioni del Monsignore e degli intervenuti, pessimiste quanto si voglia, mi sembrano però molto pertinenti. Anche quelle, postate più sotto, di Fossa lignea (che già il nome non è proprio ottimista).

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    2. 6.2

      Saʿīd ibn Jubayr

      L’unitarietà di corpo e anima è esaltata da Gesù, che non si sarebbe fatto uomo se il Suo spirito non fosse stato compatibile col corpo. Mi sembra chiaro. Il corpo deve essere degno dell’anima e viceversa. Quando si esalta puramente il corpo, anche mediante quella che recentemente è stata definita la pornografia dell’immagine, si svilisce l’anima, si svilisce l’uomo nella sua integrità, nella sua dignità inutilmente proclamata da costituzioni e convenzioni internazionali.
      Ma allo stesso modo, mi par di poter dire, lo si svilisce quando ci si abbandona a una spiritualità fine a se stessa, che tende a mortificare il corpo, come per secoli è avvenuto anche nella Chiesa cattolica. Non le sembra, Monsignore, che anche questo sia un problema da affrontare con chiarezza nelle comunità ecclesiali, oggi impreparate ad affrontare la deviante valorizzazione del solo corpo, che ne è infine una sua svalorizzazione?
      Se penso al mio corso prematrimoniale, penso così.

      Reply
      1. 6.2.1

        Romana

        Da donna faccio soltanto un’aggiunta: oggi la moda cerca di esaltare il corpo, anche nei suoi aspetti più istintuali, ma non cerca di valorizzare la persona.
        La valorizzazione della persona è stata la caratteristica portante della storia della nostra arte. È un altro segno della perdita di nostre qualità tipiche, che ci distinguevano da altre genti, in cui fondamentale è il corpo, come quelle africane o centrosudamericane, o la forza del corpo, come quelle nordamericane.

        Reply
      2. 6.2.2

        Goffri

        La valorizzazione del corpo avviene nel riconoscimento pieno dei valori umani. Convengo che la Chiesa fino al recente passato aveva tenuto verso la sessualità un atteggiamento di eccessivo sospetto. Era preoccupata di un uso incontrollato del sesso, più che vederne le potenzialità. Non dobbiamo che era tra due fuochi: da un lato il pericolo di eccessi e dall’altro coloro che vedevano nel corpo un elemento malvagio e condannavano il matrimonio, come i manichei e i catari o alcuni ambienti monastici eccessivamente severi, che avrebbero voluto imporre a tutti i cristiani la castità. Questi ultimi sono stati condannati. Oggi viene riconosciuta la positività della sessualità, anche grazie agli studi delle moderne scienze umane, che ci fanno meglio conoscere l’uomo. Occorre però sempre fare attenzione a ridurre il rapporto con il patner a puro esercizio di sessualità e ricerca dei mezzi più raffinati di piacere. In questo caso il patner non è rispettato come persona, ma diventa strumento. A questo livello non si crea nulla di stabile, ma si cade nel complesso del “Don Giovanni”, che è un complesso di castrazione, come insegna Kirkeegart.

        Reply
  7. 7

    Fossa lignea

    Il tremendo delitto di Roma, un vero e proprio salto di qualità nella rottura di ogni limite di morbosa crudeltà, ha avuto più volte giusta eco in questa rubrica: nemmeno i nazisti e i comunisti, per quello che se ne sa, erano giunti a tanto. L’attenzione al solo corpo (anche per quanto riguarda la razza o l’ideologia – sempre materialismo è) porta su tale strada.
    Un’inculturazione diffusa sotto questi soli aspetti materiali (le fattrici in affitto di bambini da comperare ne sono altro esempio) ci porterà nuovamente agli orrori del secolo breve, magari anche peggiorati dal generale obnubilamento? Avremo qualche altro spietato, ma dolce, tiranno?

    Reply
  8. 8

    Il monaco bergamino

    La mia esperienza, come la mia vita, si è svolta e arricchita in terra straniera, quella che un tempo chiamavamo terra di missione. Un po’ in tutto il mondo: i cinque continenti li ho vissuti tutti. Vorrei fare un’osservazione: il culto del corpo è oggetto privilegiato dello stesso insegnamento scolastico da molte parti. Veri e propri asini nelle nostre scuole, da me personalmente conosciuti, diventano i primi della classe in Australia piuttosto che negli Stati Uniti perché sono grandi e grossi, bravi a tennis, nel basket, nel football. Questo vi dice l’indirizzo e la qualità media, secondo i nostri parametri, di quei sistemi scolastici che, salvo istituzioni elitarie e perciò costosissime, non producono sufficiente cultura come la intendiamo noi. Esito ne sono le produzioni cinematografiche e televisive locali (ma poi vastamente esportate per la loro facilità comunicativa): appiattite e battutarie, fatte di slogan e di richiami a bandiere varie. Pensiero critico, quasi mai. Attente prevalentemente all’esteriorità corporea, accessibile a tutti. Non meravigliamoci, perciò, quando i nostri studenti e laureati vengono richiesti all’estero: se qui pur non sono particolarmente validi, là ne hanno bisogno come il pane. Il mondo anglosassone non ha alzato l’asticella della nostra cultura e civiltà, anzi, l’ha abbassata, e, salvo che per le élites, ha sempre privilegiato la forza del corpo rispetto a quella della mente. Un ragionamento diverso, molto complesso, cui non siamo preparati, dovremmo fare per Africa e, soprattutto, Asia. Cordialità.

    Reply
  9. 9

    Madre Addolorata Nessi

    Gesù è uomo vivo quando parla ai due ladroni, vivi anche loro. Uno dei due, quello che mostra una coscienza (l’altro, oltre che vivo, è soltanto vitale, chiedendo a Gesù, uomo dei miracoli, di andarsene insieme non si sa dove) mi sembra che reciti all’ultimo il Pater Noster, riconoscendo le proprie colpe e pagandone il fio, ben distinguendo il bene dal male. E Gesù lo assolve, accompagnandolo e accogliendolo nel Paradiso. Non Le sembra, Monsignore, la più chiara, drammatica e inconfutabile istituzione del sacramento della penitenza e riconciliazione?

    Reply
    1. 9.1

      Pavlof delle Aleutine

      Gesù annuncia al ladrone che si pente l’esistenza effettiva di un’altra vita dopo quella terrena, una vita che prosegue sotto forme diverse. Contiguità e prosecuzione, dunque.
      Di questo, però, se ne occupano maghi e fattucchiere, esoterici e spiritisti vari, venendo trascurato dal mondo cattolico. Io sento e parlo coi miei morti, con chi mi ha preceduto, e non escludo che tali contatti siano voluti proprio da chi non c’è più.
      Perché non dobbiamo trattare la materia con profondità, in relazione alla nostra fede, senza temere di cadere in sciocche superstizioni e allucinazioni?

      Reply
      1. 9.1.1

        Ariberto della Gera d'Adda

        Gesù è risorto dopo la morte fisica, è vivo, è il Dio vivente che trasmette vita a tutti noi. È chiaro che noi parliamo e preghiamo con un morto che vive un’altro tipo di vita accanto al Padre.
        Perché e in quali termini non può avvenire una cosa simile coi nostri morti?
        Del resto, i miracoli dei Santi devono pur dirci qualcosa.

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      2. 9.1.2

        M.

        Per mia esperienza personale, non legata a pratiche astruse, posso tranquillamente affermare che esiste e rimane una relazione reale con le persone colle quali si è avuto un forte legame affettivo e che sono passate ad altra vita. Vita che, perciò, c’è, anche se di essa non si sa nulla.
        Ho coltivato professionalmente materie scientifiche a buon livello e non sono una visionaria, anzi, credo di essere sufficientemente equilibrata, come potrà confermarle il dr Halevi, e la cosa sorprende prima di tutti me. Perché la Chiesa non indaga maggiormente questi fatti, sotto il profilo teologico e quello della vita quotidiana del cristiano, cercando di dare ad essi una modalità, se non una spiegazione?

        Reply
        1. 9.1.2.1

          Goffri

          La materia evocata esprime il desiderio dell’uomo di superare la morte, perché nel suo animo è iscritta la nozione di eternità. Questo desiderio ha sempre spinto alla ricerca di pratiche dubbie, se non biasimevoli e fraudolente. Il cristiano ritiene che la risposta a questo suo desiderio sia la Pasqua, la Risurrezione di Gesù, che ha sconfitto il peccato e la morte, primizia dei risorti e destinato ad essere raggiunto da tutti coloro che credono in Lui. Al cristiano basta questa fede. Il tema delle pratiche relative al colloquio con i propri morti andrebbe trattato più ampiamente. Potrebbe diventare argomento di confronto in queste domeniche pasquali

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      3. 9.1.3

        Goffri

        Ho risposto sopra ad M.

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  10. 10

    ibn Jubayr da Granada

    Il perdono è il dono di sé all’altro, attraverso il quale è annullata ogni distanza. Ma non porta assoluzione. È atto dell’offeso che può anche non essere accolto dal colpevole. Qualunque donazione, infatti, può anche non essere accettata, specie quando è in qualche modo condizionata. Gesù, in quanto Dio, perdona l’umanità incondizionatamente (certamente il buon ladrone, che accetta di riconoscerlo come giusto, ma anche l’altro, che pensa solo a se stesso, insieme a coloro che lo crocifiggono e che assistono alla scena) mentre sta donando se stesso per l’umanità tutta. E anche assolve il singolo peccatore, rimettendogli i peccati, perché costui gli chiede di ricordarsi di lui nel Regno, ben sapendo d’esser un delinquente e di aver meritato la pena prevista, a differenza di Gesù.
    L’assoluzione è, dunque, atto distinto. La remissione dei peccati spetta a Dio, ma il riconoscimento del peccato e la sua riparazione spettano all’uomo.
    Quanto questa seconda parte è elemento concreto ed essenziale della confessione sacramentale e dell’assoluzione? Mi sembra che con troppa facilità si sdogani il tutto con i consueti tre pater, ave e gloria. Credo che il perdono di Dio e l’assoluzione dei peccati siano sempre momenti drammatici, che non per nulla Gesù compie nel momento supremo.

    Reply
    1. 10.1

      Ernestina Maria Ghilardi

      Sono d’accordo con il signore qui sopra, che deve essere arabo come me e Goffri messi assieme (mi raccomando: non arabizzate il mio nome, che ho le elezioni a Milano).
      Trovo anch’io che rimediare al male commesso sia una parte concretamente mancante delle nostre confessioni, così come avviene nella vita di tutti i giorni, dove chi l’ha fatta franca si ritiene bravo e furbo, e nella vita politica, dove addirittura si pretende che la pena per le malefatte sia la mancata rielezione. E finita lì! Capirai…
      Infatti, per la mia esperienza, come ho già detto, molti addetti alla politica non solo non si preoccupano di capire quel che stanno facendo ma si comportano pure come impunibili e impuniti, tutto trasformando in atti politici non sindacabili, come tali previsti dal mandato elettorale. In costoro nemmeno sorge l’esigenza di un perdono e di un riconoscimento delle proprie mancanze. e sono tanti, sa, Monsignore.
      P.S.: Vorrei aggiungere una postilla: mi appassiona parlare con me stessa e con Lei, e anche coi lettori, che vedo piuttosto selezionati, malgrado i nomi balzani, o forse proprio per questo, degli argomenti qui trattati, prendendo spunto da brani evangelici, cioè dalla Parola di Colui in cui credo.
      A Milano, però, è quasi impossibile per noi che ci occupiamo di politica e siamo cattolici, e più abbiamo bisogno della vicinanza alla fede, di esprimere i nostri dubbi, le nostre ansie e preoccupazioni, fare ragionamenti o chiedere suggerimenti anche spiccioli in materia ai sacerdoti. Non si può tutte le volte chiedere appuntamento in Curia per trovare l’esperto che ti sa ascoltare, aspettando magari qualche settimana. Se ti rivolgi ai preti giovani, hanno in testa soltanto la Caritas, i migranti, la pace e la fame nel mondo, le associazioni caritative da e per l’estero, l’organizzazione di attività settoriali e nient’altro. E poi guardano alla parte politica che rappresenti, e se non è di loro gradimento… Quelli un po’ più vicini alla mia età sembrano pastoralmente sderenati, volti principalmente alla cura amministrativa delle loro parrocchie e agli incarichi scolastici. Quelli anziani… confessano.
      Ho saputo per caso di questa possibilità offerta a Bergamo (sono bergamasca di origine) dal dr Halevi, e mi ci sono ficcata. Ma è la prima volta che mi è consentito di farlo. Un tempo, quando ero piccola e non mi occupavo di politica, si esagerava in un senso. Adesso in quello opposto, mi sembra, e molto peggio.

      Reply
    2. 10.2

      Ildegardo da Aachen

      Visto e udito quel che Gesù fa e dice sulla croce, anche con l’aiuto di portentose opere d’arte, credo che si possa chiedere il perdono di Dio, ottenendone la disponibilità, in ogni momento e luogo, essendo il rapporto con Lui diretto e personale.
      Altra cosa è l’assoluzione, azione necessaria e umana, che integra il perdono di Dio, implicante fatti e comportamenti umani, per la quale mi sembra logica, oltre che necessaria, la mediazione del sacerdote.
      Premetto che sono per la direzione spirituale, per la confidenza con un sacerdote referente, come è lei ora per i lettori: come fanno i preti a oggettivare i fatti per assolvere con consapevolezza e non assolvere un racconto soggettivo, che può essere anche onirico o fantastico?

      Reply
      1. 10.2.1

        Goffri

        Vedi le risposte che ho dato a Lucio Ampelio. Opportuna la distinzione tra la confessione, atto sacramentale, e la direzione spirituale. Le due cose vanno distinte anche se non sono sempre separate se il padre spirituale è il proprio confessore

        Reply
    3. 10.3

      Lucio Ampelio Manilio

      CHE IL SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE SIA IN CRISI LO DIMOSTRANO QUESTE PAGINE: FORSE CHE IL MONSIGNORE NON SI SENTE ORA IN UN CONFESSIONALE, DURO E PROBLEMATICO?
      LA CONFESSIONE OGGI È ANCHE QUESTO E SU QUESTO DOVREBBE RIFLETTERE LA CHIESA, MAGARI OCCUPANDOSI UN PO’ MENO DELLE VICENDE POLITICHE INTERNE AL VATICANO.
      QUI SI DILATANO I TEMPI DELLA CONFESSIONE E DEL SUGGERIMENTO, ESSENDOCI MAGARI MAGGIOR INTERESSE E IMPEGNO CHE DURANTE LA CONFESSIONE NORMALE.
      MONSIGNORE, CI ASSOLVE PURE?

      Reply
      1. 10.3.1

        Goffri

        Il sacramento della confessione è una pratica che si è evoluta nei secoli e risponde alla necessità di fare un esame di coscienza per verificare la propria condotta. Si tratta di una cosa non facile, del resto è sempre stato difficile quanto necessario. Gli antichi affermavano il dovere di “conoscere se stessi”. Conoscere se stessi per formulare un giudizio onesto su se stessi. Per questo occorre un codice di riferimento, che tutti bene o male si costruiscono sulla base della loro esperienza e del confronto con gli altri. La coscienza del singolo non nasce già formata, ma è un foglio vuoto sul quale noi progressivamente scriviamo ciò che riteniamo giusto; il materiale ci proviene in gran parte dall’ambiente che ci circonda, dal costume, che è l’aria che respiriamo. Ebbene anche i cristiani sono in questa condizione, sono figli del loro tempo; tuttavia si riferiscono anche ad un codice morale che è rappresentato dal Vangelo. Questo però è più di un codice, ma il racconto di una vita umana, quella di Gesù, vero uomo e Figlio di Dio, attraverso la quale si è rivelata la verità di Dio e la verità dell’uomo non solo a parole ma con le opere. Il cristiano è chiamato a giudicarsi seriamente sul messaggio morale evangelico, sintetizzato nelle Beatitudini e nel discorso della Montagna (Vangelo di Matteo cap. 5-7) Questo giudizio su se stessi alla luce del Vangelo è molto impegnativo, ha bisogno di essere compiuto in collegamento con una comunità, cioè con coloro che si sforzano come me per essere fedeli a Gesù. Il singolo corre il rischio di ingannarsi o di illudersi circa la condotta da tenere. Abbiamo bisogno soprattutto degli esempi dei santi, ma anche di tante persone buone che si sforzano di essere fedeli al Vangelo, per capire cosa bisogna fare in concreto, come tradurlo oggi nel nostro tempo. Guai se venisse meno questo collegamento!. Accanto a questo è necessaria l’assistenza dei responsabili della comunità cristiana, i preti. Essi esprimono un giudizio sulla mia condotta basandosi su alcuni criteri di comportamento che assicurino un grado sufficiente di coerenza con la morale evangelica. Sono come un esame. L’autorità ecclesiale stabilisce anche la penitenza, necessaria per riparare e giungere a maggiore consapevolezza della propria colpa. Senza penitenza non c’è pentimento e un pentimento sincero fa penitenza! Manifestato il pentimento l’autorità ecclesiastica concede in nome di Cristo misericordioso il perdono. Vedi il brano del vangelo di Giovanni cap. 20,2. Cristo dice agli apostoli:”Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi non li rimetterete resteranno non rimessi”.
        Che per la consapevolezza delle proprie colpe sia necessario un elemento esterno, occorra cioè l’avviso e il confronto con gli altri e non sia questione solo del singolo, avviene anche nella più normale esperienza della famiglia: il figlio si rende conto dei suoi sbagli attraverso il confronto con i genitori e i fratelli. La correzione si verifica se il colpevole riconosce lo sbaglio, se si scusa e cerca di riparare eventuali torti e danni. Cos’ anche a scuola e in tutti gli ambienti educativi. La confessione è l’attuazione di questa logica a livello ecclesiale. Evidentemente non è facile, tuttavia è un atto necessario.

        Reply
  11. 11

    Solimeno

    In un forum reziale come questo vengono fuori le vere domande che i fedeli rivolgono ai loro sacerdoti, le loro preoccupazioni, le loro insicurezze, i loro problemi, i loro dubbi.
    Perché i sacerdoti, in numero sempre minore, non organizzano nelle loro parrocchie collegamenti di questo tipo con le famiglie, ricevendo e rispondendo alle richieste dei loro parrocchiani, anche le più minute, facendo né più né meno quel che facevano quando il loro numero era maggiore? A me sembrerebbe addirittura ovvio.

    Reply
    1. 11.1

      Schèttine della Biscaglina

      In effetti mi meraviglia la massa di problemi venuta fuori dalla lettura di un brano del Vangelo, anche se uno di quelli fondamentali. Mi meraviglia soprattutto l’interesse di chi magari non legge neanche il brano o il commento del Monsignore ma si attacca a un commento precedente per esprimere qualcosa che sente fortemente dentro.
      Questo a mio avviso significa almeno due cose: che i cattolici non sono abituati a leggere e conoscere i loro codici di vita cristiana e hanno perso l’abitudine di parlare con gli altri di cose importanti, limitandosi in ogni campo al politically correct. Il che significa appiattimento.

      Reply
      1. 11.1.1

        Goffri

        Il concilio Vaticano II ha raccomandato ai cattolici la lettura della Bibbia. Occorre un po’ di preparazione per affrontarla, ma il suo esercizio è estremamente utile e vantaggioso. Il cardinale Martini aveva proposto un mezzo molto antico: quello della lectio divina, praticata dai monaci fin dal III secolo dopo Cristo

        Reply
    2. 11.2

      Liborio Daina

      Sono la semplice proprietaria dell’agriturismo Betèl a Chiuduno, dove Lei spero sarà il benvenuto.
      La famiglia mia e di mio marito sono contadine, e noi facciamo prima di tutto i contadini. Siamo abituati a fare il segno della croce prima di mangiare e cerchiamo di essere onesti, resistendo anche a quelle che crediamo essere le disonestà degli altri. Più o meno sappiamo distinguere il giusto dall’ingiusto, il bene dal male, quel che va bene da quel che non va, secondo quello che ci hanno insegnato i nostri genitori e che cerchiamo di far capire ai nostri quattro figli.
      Devo dire, però, che la nostra condotta è più data dalla tradizione familiare e contadina, certamente cristiana, che dagli insegnamenti dei preti, che sono quasi sempre molto generici, legati agli studi più che alla nostra vita reale.. Noi viviamo a Chiuduno e non in Palestina, e viviamo coi nostri problemi che nella società di oggi sono diversi da quelli degli altri anche nel paese. Le prediche alla domenica ti fanno anche pensare, ma poi la vita è un’altra e ti porta via. Abbiamo trovato invece fantastico incontrare talvolta dei preti che ti ascoltano e parlano per te e la tua famiglia. Forse è questo incontro personale col prete che manca. E forse per questo saltano fuori qui tante cose che non avevo mai pensato e che mi interessano e che mi hanno fatto venire la voglia di scrivere anch’io.

      Reply
      1. 11.2.1

        Goffri

        Certamente le prediche sono necessarie, ma non sufficienti. Occorre anche il colloquio personale per sintonizzare la nostra vita in armonia non con una morale generica, variabile a secondo delle proprie esigenze e capricci, ma con quella suggerita dal VANGELO DI Gesù. Questo non è una novità, perché fin dai primi secoli la Chiesa ha sviluppato la pratica della direzione spirituale, esercitata da confessori, ma non solo, anche da laici e persino da suore – s. Teresa Verzeri (1801-1852) di Bergamo dirigeva spiritualmente molte persone, anche preti – per trovare i modi più efficaci e pratici di attuare il Vangelo. Oggi questo esercizio, per il quale bisogna avere doti particolari, è necessario. Tende ad essere monopolizzato dagli psicologi, i quali però non hanno la preoccupazione di riferirsi al Vangelo.

        Reply
    3. 11.3

      Goffri

      Non sono impegnato direttamente in pastorale, essendo uno storico della Chiesa, argomento che pone tanti problemi. Non so quanto i miei colleghi facciano questo, la sua richiesta mi sembra giusta. Tuttavia sarebbe necessario anche l’organizzazione di incontri di cultura religiosa sera, con la relativa frequenza, come necessaria integrazione a questo sistema

      Reply
  12. 12

    Semiquinaria da sud est

    Spesso, davanti a scene come quelle sopra ritualmente richiamate, si ricorre a una nozione, quella del “sacro”, che chi è laico tende a scartare, o tutt’al più ricupera con qualche trucchetto linguistico, come quando si parla di “religione della libertà”.
    Pierangelo Buttafuoco, convertitosi all’Islam, ha ragione nel denunciare l’annientamento del sacro, perché il sacro è — piaccia o non piaccia — connaturato all’uomo; e se io ne posso fare a meno (o presumo di poterne fare a meno), non per questo pretenderò di privarne gli uomini che stavano molto meglio, quando nutrivano rispetto sacro per i precetti di una religione, quella cristiana, il cui Vangelo prescrive con parole ed esempi efficacissimi il rispetto della morale naturale (male fece la Chiesa postconciliare a mettere il Vecchio testamento nelle mani di gente che non ci avrebbe capito niente, o avrebbe capito quel che voleva).
    Chi invece ha voluto estirpare il sacro? Gli aziendalisti, per i quali l’ambizione non deve avere freno di sorta, perché bisogna vendere, bisogna creare nuovi bisogni, bisogna fottere il consumatore. E quanto più sei ambizioso, più vendi e più fotti, più ti sei stordito con i gingillini consumistici e con i simboli di stato, più ti sei ubriacato di slogan miserabili letti sulle slàid che ti proiettano nel corso di umilianti corsi di formazione e aggiornamento, quanto più sarai stato feroce con i tuoi simili, tanto più sarai finalmente regredito, senza avvedertene, allo stato della bestia. Ma così avrai fatto felice il tuo padrone, che ti avrà detto che sei stato bravo, e tu come un cane sarai a tua volta felice, in quanto coglione, di aver fatto il suo piacere. Sarai diventato predatore senza scrupoli, convinto di essere civile perché hai comprato i ninnoli della civiltà, perché dici stronzatine politicamente corrette: in realtà senza niente sapere, o quasi niente, del cammino della civiltà. Sì, peggio di quel fariseo del quale dice Gesù Cristo, quello che si vantava a voce alta, nella sinagoga, della sua bontà, perché aveva fatto l’elemosina, e tutti dovevano saperlo.
    La differenza tra un uomo di fede (di fede autentica), non devastato dai valori dell’aziendalismo, e un laico che la ragione ha posto al ripare dall’impostura, in primis quella aziendalistica, non è così grande come si crede: l’uomo di fede (fede autentica, mica quella di chi s’intrufola nelle Acli) ha un atteggiamento di umana benevolenza nei confronti dei suoi simili perché vincolato dal timor sacro d’infrangere i precetti della sua religione (che gl’impedisce di essere feroce, come gli aziendalisti), noi laici ci sentiamo affratellati agli uomini, pur senza vincolo di sangue (siamo “filadelfi”), sotto il vincolo di un patto d’onore, liberamente sottoscritto, senza la coercizione del timore della morte. Sul timore della morte e il sentimento del sacro il discorso si farebbe lungo: mi limito a ricordare che la lettura del poeta latino Lucrezio costituisce ancora oggi un caposaldo fondamentale al riguardo.
    Gli aziendalisti d’oggi? Membri del Sinedrio.

    Reply
    1. 12.1

      U critichinu

      Semiquinaria, persona evidentemente dottissima, come si nota anche da precedenti commenti, è laico, forse laicista, e nel suo rapporto cogli altri umani fa appello a un presunto sentimento di affratellamento agli uomini, pur senza vincolo di sangue (siamo “filadelfi”, dice), sotto il vincolo di un patto d’onore, liberamente sottoscritto, senza la coercizione del timore della morte. . Manifesta quasi un senso senso di stoica superiorità, dato dalla sua eccellente razionalità, dalla quale ultima discende quel nobile sentimento, quasi concesso.
      Ma c’è un elemento che mi sfugge e che per me diventa problematico: che cosa vincola quel patto, che cosa vincola quella libertà di adesione? La sua volontà, la sua razionalità, il suo senso dell’onore, la sua vasta conoscenza, e null’altro. A me sembra soggettivismo puro, l’uomo che si fa dio di se stesso, la negazione di qualunque fissa responsabilità generale, dandosi invece l’esame caso per caso. A tal punto, la stessa legge naturale diventa quella da lui interpretata, sia pure con grande saggezza ed erudizione. ma anche con qualche possibile tòpica.

      Reply
      1. 12.1.1

        Goffri

        La riflessione razionale è necessaria per scoprire le autentiche dimensioni della persona umana: uguaglianza, rispetto, codice di onore. Condivido che ciò non sia sempre sufficiente e possa essere frainteso e soggetto al nostro arbitrio. Nella relazione tra gli uomini è compreso anche Dio, come fondamento e non come semplice aggiunta, come ho scritto nella risposta KAMELLA SCEMI

        Reply
    2. 12.2

      Kamella Scemì

      Faccio umilmente osservare che il Cristianesimo non è una religione ma la certezza (convinzione per altri) dell’incontro dell’uomo con Dio, suo creatore. Non è una struttura moralistica concepita per impedire di compiere il male, nell’interesse utilitaristico della pacificità della convivenza sociale, ma la consapevolezza che Dio è Padre e ci ama, di là e al di sopra della nostra stessa razionalità. È l’affratellamento genetico, e non soltanto razionale, dell’umanità, unita nella stessa sorte dalla volontà divina.

      Reply
      1. 12.2.1

        Goffri

        Coglie molto bene la caratteristica della morale ebraico-cristiana. Essa si basa non solo sul rapporto tra l’uomo e i suoi simili, come tutti normalmente ritengono. Certamente questa componente è indispensabile per formarsi una coscienza. La sapienza umana ha prodotto criteri significativi di comportamento: la limitazione della vendetta “occhio per occhio dente per dente”; il “non fare agli altri quello che non vorresti che gli altri facessero a Te”, chiamata anche la REGOLA D’ORO. Nella religione ebraico-cristiana il dovere morale nasce da un rapporto non a due, ma a tre : nel rapporto tra due persone figura un Terzo, che è Dio. Infatti l’altro che io incontro non è mia proprietà, ma è qualcosa che mi è stato donato, che quindi è già in relazione con quell’Altro (il Terzo) che lo ama e che si cura di lui. Lo stesso vale anche per me, la cui origine è in Dio. Il valore pieno del prossimo lo colgo alla luce di Dio e di come Lui si è comportato con gli uomini. La storia dell’Alleanza tra Dio e il popolo d’Israele dice della premura e dell’amore di Dio, verso l’uomo. I Dieci comandamenti non sono il semplice frutto di una sapienza umana, ma suppongono anche il comportamento di Dio verso l’uomo che noi siamo chiamati ad imitare. In una parola noi siamo figli di Dio, siamo una sola famiglia e siamo chiamati ad imitare Dio nostro Padre. la ricchezza dei dieci comandamenti ci è stata illustrata molto bene da Roberto Benigni in una indimenticabile trasmissione televisiva, che dovrebbe essere disponibile su DVD.
        CON LA VENUTA DI Gesù, IL Figlio DI Dio, il comportamento divino nei confronti dell’uomo assume aspetti incredibili, quindi si fanno più pressanti ed urgenti i nostri impegni morali. La REGOLA D’ORO espressa in maniera negativa, diventa positiva con Gesù: “Tutto ciò che vuoi che gli altri facciano a Te, anche tu fallo a loro”.

        Reply
    3. 12.3

      Goffri

      Il sacro indica la grandezza del mistero che è l’uomo, che i cristiani ritengono ad immagine di Dio. La mentalità odierna vede nell’uomo prevalentemente il consumatore, al quale fornire in continuità prodotti sempre nuovi eccitando il suo desiderio. Questo crea una corsa sfrenata al consumo, suscitando invidie ed insoddisfazioni spesso artificiose, perché di crede che la felicità dipenda dalla possibilità di consumare. Ciò finisce col perdere l’uomo, incapace di profondità interiore e lo trasforma in predatore per il consumo imprevidente delle risorse del cdreato, creando gravi squilibri con il rischio di riservare ai nostri discendenti un mondo pattumiera e invivibile. Su questi spetti ha richiamato l’ attenzione papa Francesco.

      Reply
  13. 13

    Bergamo.info

    Il continuo incremento degli interventi impedisce un’adeguata puntuale risposta da parte del nostro Goffri. Riteniamo di doverne bloccare la pubblicazione, ripromettendoci di inserirli in prossimi correlati articoli. Ringraziamo i lettori e… un po’ di pazienza.

    Reply

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