Parla anche bergamasco il lussuoso Swiss Diamond Hotel di Lugano, cinque stelle lusso, in splendida posizione sulla riva del lago Ceresio, a Morcote, tranquillo antico paesino a sud di Lugano. A supervisore dei servizi della ristorazione è stato chiamato Luigi Mamoli, nato a Bergamo e da oltre 40 anni residente a Campione d’Italia, il piccolo lembo di territorio nazionale inserito nel Canton Ticino, sempre sulle rive del lago Ceresio.
Mamoli è da anni un personaggio del mondo della ristorazione svizzera e internazionale. Per oltre 40 anni ha gestito un locale, “La Taverna”, a due passi dal Casinò di Campione, che era diventato un cenacolo di bella gente: artisti, personaggi del mondo della moda e della politica, dello sport e del giornalismo, tutti sono passati ai tavoli della “Taverna” di Campione, grazie alla bravura e professionalità di Luigi Mamoli che ora, invece di andare in pensione, ha accettato l’invito della proprietà di un hotel di lusso per assumere la responsabilità che tutto funzioni al meglio nei servizi della ristorazione al Swiss Diamond Hotel.
«La proprietà dell’hotel e il suo direttore Francesco Cirillo – afferma Mamoli – puntano molto, oltre che sulla qualità dell’accoglienza alberghiera, anche sull’attrattiva che può esercitare la cucina del ristorante Lago, collegato con l’hotel ma con ingresso del tutto autonomo e quindi aperto a tutto il pubblico di buongustai che arriva a Campione o a Lugano».
Le premesse ci sono tutte per fare del Ristorante Lago (Riva Lago Olivella, a Lugano Vico Morcote, www.swissdiamondhotel.com) un nuovo polo d’attrazione per gli enogastronomadi e i sempre più numerosi wine lovers. La strada intrapresa è quella della cucina mediterranea vera, con prodotti freschi e di altissima qualità, sapori netti, decisi, chiari, con i colori e sapori della natura, lasciando perdere gli influssi della cucina fusion, molecolare, destrutturata o come diavolo si vuole chiamare l’intreccio più o meno riuscito di ingredienti tecnologicamente trattati e spesso stravolti.
Piatti solari, con sapori decisi e pieni. Per realizzare questa nuova cucina non si poteva fare a meno dello chef che è sulla tolda di comando della cucina del Swiss: Egidio Iadonisi, beneventano doc, pronto a sciorinare nei suoi piatti quei saperi e sapori unici che sono insiti nella solare cucina italiana,
Dalle patelle alle vongole veraci, dai fasolari alle chioccioline di mare, all’uso quasi unico dell’extra vergine di oliva, alle grandi paste della tradizione italiana, quelle secche trafilate dal bronzo e composte da grano duro delle migliori qualità o paste artigianali tirate in casa. Spazio nei piatti ai sughi mediterranei, dal verde pesto ligure (preparato ancora nel mortaio) al pesto rosso siciliano. Quindi tortelli e tortelloni ripieni di carne chianina, passando dai murgesi cardoncelli ai porcini di Borgotaro, alle patate di Starleggia, dagli asparagi bianchi di Cantello a quelli verdi di Altedo, gli spinaci della Valle del Po, le puntarelle romane, i mitici gamberi rossi di Sanremo ed il tonno è quello di “ corsa” che arriva dalla tonnara di Carloforte. Il tutto nel pieno rispetto delle stagioni. I dessert sono una esplosione di colori, sapori e novità assolute, mentre la lista dei vini, rivista e vivacizzata, è in linea con la nuova cucina mediterranea.
Una dimostrazione molto convincente si è avuta nel corso di una cena sponsorizzata dai formaggi ticinesi di Lari sa (presente il direttore marketing Lorenzo Frigerio), dalla pasta artigianale Latini di Osimo (Ancona) rappresentata dalla stessa Carla Latini e dai vini Angelo Delea di Losone (presente Antonio De Stefano responsabile vendite), il tutto coordinato dal giornalista Attilio Scotti.
Questa iniziativa non è l’unica che caratterizza la nuova stagione del Swiss, In questi giorni si sta provvedendo alla distribuzione personalizzata, via posta, del trimestrale “Whispering”, house organ che consegna, in lingua italiana e tedesca, le novità del Swiss, e non solo. Come il rilancio del “Metodo primo”, unico al mondo per un duraturo equilibrio alimentare, che viene proposto a costi promozionali nel grande Wellnes Center del Swiss Diamond di Lugano-Morcote.
5 Comments
Aristide
Sconti per i lettori di Bergamo info?
Il giornalista Attilio Scotti che ha coordinato la cena sponsorizzata dai produttori di formaggi ticinesi può metterci una buona parola?
Karl Heinz Treetball
Bello, nulla da dire: già gustato con mio cugino Luciano.
Aristide
Estraggo dalla presentazione del ristorante:
«… un nuovo polo d’attrazione per gli enogastronomadi e i sempre più numerosi wine lovers».
Gli “wine lovers” sono quelli che amano berne uno di quel buono? O deve intendersi qualcosa di più raffinato? Raffinato come? Qual è la differenza tra un “wine lover” e un intenditore (di vino, ovviamente)?
Inoltre non mi è chiaro che cosa sia il “Metodo primo” per un duraturo equilibrio alimentare. È una dieta, o una pratica ginnica (considerato che il metodo è «proposto a costi promozionali nel Wellness Centre», che immagino sia un Centro di benessere)? O forse una filosofia? Se è una filosofia, è una filosofia sofistica, dal momento che il metodo si paga, sia pure a prezzo di lancio. Invece la filosofia di Socrate era, com’è noto, gratuita.
Trovo questo stesso articolo pubblicato sull’Eco di Bergamo:
http://www.ecodibergamo.it/stories/Viaggi&Tur…
Gli stessi concetti sono espressi in un comunicato stampa di Attilio Scotti, il giornalista che ha coordinato la cena sponsorizzata dai produttori di formaggi ticinesi. Vedi:
http://www.newsfood.com/q/86574081/lugano-swiss-d…
Naturalmente, non c’è niente di male nel fare pubblicità. Qualcuno però, in altra parte del sito, mi rimproverava in questi termini: «Ma la comunicazione è un’altra cosa». Impancandosi a professionista, m’imputava a colpa l’aver io contrapposto all’esposizione retorica di un problema ancora da risolvere (l’identificazione dell’assassino in un caso criminale), un’esposizione improntata a razionalità bayesiana. Secondo costui, la razionalità bayesiana non avrei dovuto neanche nominarla. E, a monte, con quale autorità mi permettevo di affermare che l’approccio retorico è ingannevole? La comunicazione non si fa così. Chi l’ha detto? Mah, αὐτὸς ἔφα (in lat., ‘ipse dixit’).
Terrorizzato da tanto rigore, riguardo a ciò che sia e ciò che debba essere la comunicazione, mi limito ora ad affermare – così, a naso – che il piano dell’informazione dovrebbe essere tenuto separato da quello della comunicazione commerciale, se tale è la comunicazione. Infatti, si riconosce al giornalista «un ruolo di filtro/tutela dell’interesse dei lettori» che, immagino, non riguarda soltanto la qualità del prodotto, ma la ‘par condicio’. Cioè, un certo prodotto non dovrebbe avere un trattamento di favore, a petto di altro simile prodotto, di pari qualità. Inoltre, se la comunicazione è commerciale, bisognerebbe renderne edotto il lettore, con opportuna stampigliatura o accorgimento grafico. Questo è il mio sommesso parere.
Evidentemente, non sono un vero “professionista”, quanto meno un professionista della comunicazione com’è (e come dev’essere, evidentemente, in base al principio di giustificazine etica su base ontologica). Vivo in un altro mondo, come quei personaggi di ‘Fahrenheit 451’ i quali, perché non perisse la magia dei libri, in un regime in cui i libri erano vietati, se l’imparavano a memoria. Anacronistici, vecchi come bacucchi e reazionari. Lo riconosco, non capisco niente del nuovo che avanza, dei nuovi “trend” (però, se dite questa parola, non fatevi sentire da Nanni Moretti: lui queste cose non le sopporta e se qualcosa del genere gli viene all’orecchio, lui mena). Perciò, se qualcuno non è d’accordo con me, mi dica dove sbaglio. Ma niente attacchi personali, niente anatemi o richieste di censura, per favore. Non è corretto.
Giuli
Wine lovers in bergamasco si traduce ciochetù?
e enogastronomadi satù?
Certe volte rimpiango il bel camino di Attilia che dalle parti di Sorisole apriva casa sua e ti dava da mangiare costine e salame fino a che non aveva smaltito il suo vino, un mangia e bevi in cui il vitigno di provenienza era incerto. Però si rideva tanto ed era alla portata delle tasche di tutti.
Adesso solo perchè li chiamano wellness center ed hanno un house organ, per una cena con un pinguino alle spalle in cui devi stare attento a non ridere troppo se no disturbi, minimo minimo devi ipotecare la casa. Aristide scusami ma sarebbe questo il nuovo che avanza? Beh allora tra non molto ci sentiremo tutti come Fantozzi e ci apposteremo fuori dalle vetrine del wine bar ad osservare i wine lovers che degustano un Brunello di Montalcino ed ogni tanto gettano alla folla venerante che si è accalcata ad osservarli, un tozzo di lardo di colonnata servito su letto di rucola di portofino con contorno di ostrichette di Biarritz. Più o meno quelo che succede ogni estate a Porto Cervo.
Aristide
LA DEONTOLOGIA DEL GIORNALISTA E LA MORDACCHIA PER CHI NE PARLA
Spero che il gentile interlocutore che è intervenuto nei commenti all’articolo “Addio a Yara senza sapere…” (v. in questo sito la sezione “Attualità”) non se n’abbia a male. Costui chiedeva che su di me si abbattessero gli strali della censura, perché osavo parlare criticamente del giornalismo. Un altro ìnvido interlocutore (forse lo stesso), si cimentava in uno spericolato attacco ‘ad personam’, di tipo circostanziale, ma toppava sulla circostanza.
In ogni caso, con buona pace dell’uno e dell’altro, suggerisco ai lettori di Bergamo Info la lettura dell’articolo “La deontologia del giornalista”, reperibile all’indirizzo di Internet http://www.difesadellinformazione.com/26/la-deont… .
Qui, in relazione al dovere per il giornalista di essere autonomo, si sostiene che «strettamente collegate all’esigenza di autonomia e di credibilità del giornalista sono quelle norme [v. D.Lgs. 25 gennaio 1992 n. 74, in materia di pubblicità ingannevole: N.d.R.] che lo vogliono estraneo a iniziative di carattere pubblicitario. In particolare, i cittadini hanno il diritto di “ricevere un’informazione corretta, sempre distinta dai messaggi pubblicitari”».
Sempre in quest’articolo si fa riferimento alla Carta dei Doveri del giornalista che lo responsabilizzano, anzi lo obbligano a «porre il pubblico in grado di riconoscere il lavoro giornalistico dal messaggio promozionale». Infatti, prosegue l’articolo, «un conto è descrivere un prodotto attraverso l’enfasi tipica del messaggio pubblicitario, ben altra cosa è indicare al lettore l’utilità di un bene legandola all’efficacia di un articolo giornalistico».
Segue una disanima della difficoltà di distinguere un articolo informativo da una pubblicità redazionale e la presentazione di alcuni aspetti giuridici sui quali non mi soffermo, consapevole del fatto che pende su me la spada di Damocle della perspicuità. Quando tu dici una cosa scomoda e la documenti, troverai sempre qualcuno che ti rimprovera il fatto che non sei stato abbastanza “giornalistico”, non hai semplificato abbastanza, “ma chi vuoi che capisca quei documenti…” ecc. Dicono. Rimando dunque il gentile lettore per approfondimenti all’articolo sopra menzionato, all’inizio di quest’intervento.
Segnalo inoltre, sempre che i due interlocutori di cui sopra non se n’abbiano a male, la Carta dei diritti e dei doveri che regolamentano la professione giornalistica, approvata l’8 luglio 1993 dalla Federazione nazionale della Stampa italiana e dall’Ordine nazionale dei giornalisti: la si trova in un sito Rai, al seguente indirizzo: http://www.segretariatosociale.rai.it/atelier/car… . Qui si legge, fra l’altro, che «i messaggi pubblicitari devono essere sempre e comunque distinguibili dai testi giornalistici attraverso chiare indicazioni» e che il giornalista «deve sempre rendere riconoscibile l’informazione pubblicitaria e deve comunque porre il pubblico in grado di riconoscere il lavoro giornalistico dal messaggio promozionale».
§§§
Ahimè, già mi pare di sentire la solita solfa: a) Aristide, ma che cosa vuoi che importi di queste tue elucubrazioni a chi si alza il mattino presto, prende l’autobus e va a lavorare? [obiezione: e che cosa volete che importi a quel medesimo lavoratore – che so io – della possibilità di acquistare una seconda casa in Costa azzurra?] b) Aristide, ammesso che a qualcuno importi qualcosa dell’argomento che hai toccato, in ogni caso hai usato troppe parole [obiezione: se voglio, sono capace di scrivere un articolo esattamente in un numero assegnato e qualsivoglia di battute: vedi l’esercitazione in “Scuola di giornalismo / 1”, all’indirizzo http://www.testitrahus.it/Scuola%20giornalismo_1…. ; se voglio, appunto]; c) Aristide, non m’importa un fico secco di quello che tu dici, ma se tu dici così è perché hai sposato una ballerina ungherese e porti le corna [obiezione: non ho sposato nessuna ballerina ungherese, non porto le corna; ma quand’anche fosse, che cosa c’entra?]; d) procurate una mordacchia e mettete a tacere Aristide per sempre: non ne posso più [obiezione, ma più che obiezione, constatazione: di solito non ho paura, neanche quando sono denunciato].