La crisi economica che stiamo attraversando è maturata negli anni scorsi, anche grazie al terreno reso fertile dall’esasperato riscorso alla leva finanziaria da parte delle banche, ma non solo. Anche il settore delle famiglie, soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, ha fatto un uso eccessivo del debito per finanziare l’acquisto della casa o per mantenere un livello di spesa per i consumi superiore alle proprie possibilità: in una rincorsa spasmodica all’ultimo modello di telefonino, all’auto di lusso, alle vacanze esclusive o al capo griffato. In altri paesi, e in Italia in particolare, questo fenomeno ha attecchito meno, nonostante anche da noi non manchino le famiglie che ricorrono ai prestiti per finanziare l’acquisto del televisore al plasma o il telefonino iper-tecnologico.
Al di là di ogni considerazione paternalistica, questo fenomeno ha messo in difficoltà molte famiglie che fanno fatica a sostenere il peso delle rate di rimborso dei prestiti contratti, che in molti casi si aggiungono a quelle già pesanti del mutuo. La crisi economica rischia di acuire queste difficoltà e di trasformare i debiti in una zavorra insostenibile.
Nonostante la pressione del sistema che tende ad incentivare il ricorso al debito per sostenere i consumi, è opportuno che ogni nucleo familiare pianifichi il proprio bilancio, ossia il budget utilizzando un termine aziendale, proprio per evitare di indebitarsi eccessivamente. Attraverso un semplice foglio di calcolo è infatti possibile tracciare un bilancio preventivo delle entrate e delle uscite dell’”azienda famiglia” in modo da tenere sotto controllo le spese e puntare all’obiettivo di un risultato positivo a fine anno.
Nel malaugurato caso che il saldo tra entrate uscite sia negativo, per finanziarlo si dovranno contrarre mutui e prestiti, il cui prezzo è rappresentato dal pagamento degli interessi passivi (che si aggiungono al rimborso del capitale richiesto). La spesa per interessi andrà ad appesantire la voce uscite del bilancio, alimentando un circolo vizioso che rischia di mettere in seria difficoltà l’equilibrio economico del nucleo familiare. Un rimedio pratico, banale ma efficace, è quello di ridurre il più possibile il ricorso al debito per finanziare propri acquisti, ricorrendo semmai all’utilizzo dei propri risparmi, dove possibile naturalmente. In questo modo si attiva automaticamente un maggior controllo sulle proprie spese perché è psicologicamente più difficile attingere alle proprie riserve piuttosto che utilizzare prestiti ad hoc o la carta di credito. Infatti è ormai risaputo che l’utilizzo di bancomat e carte di credito favorisce un approccio “disinvolto” alle spese, in quanto si perde la percezione del valore dei propri acquisti rispetto all’uso del contante.
Una corretta pianificazione del bilancio è quella che permette di accantonare una certa somma di denaro. Questa somma, piccola o grande che sia, può essere investita in attività finanziarie o reali in modo da ottenere dei redditi di capitale che andranno ad accrescere il bilancio familiare sotto forma di entrate aggiuntive. Grazie all’effetto dei rendimenti composti (gli interessi vengono reinvestiti generando a loro volta nuovi interessi), sarà possibile auto-finanziare esigenze future come la pensione, lo studio dei figli, il cambio dell’auto o l’anticipo per la casa. Prima però è opportuno creare un fondo di riserva o di emergenza per far fronte a uscite impreviste o a eventi dannosi.
Chiudo con una citazione di Benjamin Franklin, uno dei padri della patria negli Stati Uniti, che attiene al tema: “Se vuoi conoscere il valore del denaro, cerca di chiederne in prestito”.
2 Comments
Bergamo.info
Ci si chiede se sia finito il boom dei mercati finanziari: l’orgia della liquidità, delle Borse roboanti, delle valute che oscillano e danzano intorno ad un costo del denaro virtualmente pari a zero sta chiudendo il sipario? Ovviamente, nessuno può dirlo, ma i segnali che provengono dall’aumentata volatilità dei corsi, da quella particolare ripresa economica mondiale che il mondo occidentale ha vissuto (fuori dai confini del nostro disastrato Paese) in modo molto “glaciale” e quasi senza accorgersene anche perché accompagnata da pochi slanci nei consumi e poca voglia di fare investimenti, con la disoccupazione sempre ai massimi storici e una crescente disparità tra i ricchi e i poveri del mondo, fanno pensare che restino pochi spazi per altri, veri, apprezzamenti delle quotazioni borsistiche.
Anche la grande massa di liquidità che in tutto il 2013 ha invaso i mercati finanziari, è stata di fatto goduta da pochi grandi attori bancari e da pochissime grandi aziende quotate in Borsa. Tutti gli altri (privati e imprese di piccole e medie dimensioni) hanno visto invece addirittura ridursi la massa monetaria disponibile, anche a causa di una ridotta velocità della sua circolazione (fenomeno peraltro tipico delle fasi recessive, non di quelle espansive).
Nel nostro Paese questa “ripresa fredda” è stata ancora più fredda: da una parte l’ulteriore calo di consumi e occupazione tra una popolazione allo stremo delle forze per oltre un terzo del suo totale e dall’altra parte borse e mercati finanziari invece frizzanti e crescenti, spaventate -ma non troppo- soltanto dal crescente debito pubblico nazionale. Ad accompagnare questo fenomeno ci si sono messi gli investitori di tutto il mondo, che per il momento non credono più al pericolo di rottura dell’Euro e per questo motivo hanno fatto calare notevolmente lo spread tra i rendimenti dei titoli di stato tedeschi e quelli italiani o spagnoli, facendo cantare troppo presto vittoria ai nostri governanti!
Il panorama internazionale è sicuramente ancora volto alla crescita (o quantomeno alla fine della decrescita) ma è anche segnato da numerosi possibili focolai di guerra, incastonati in quella che oramai appare chiaramente come una nuova stagione di instabilità politica globale. Dunque il mondo è in apprensione e la cosa agita i mercati finanziari che, notoriamente, preferiscono le certezze.
Le borse perciò per il “consensus” internazionale degli analisti finanziari non saliranno più o saliranno poco, al netto delle sempre maggiori oscillazioni che invece stanno avendo in concomitanza con la maggiore incertezza generale. Si prevede peraltro che le stesse Borse non scenderanno o scenderanno poco perché, se quest’incertezza dovesse montare, forse i tassi di interesse ne risentirebbero al rialzo (creando perdite sui mercati obbligazionari) mentre ad oggi si può ancora scommettere sulla capacità delle principali banche centrali nel tenere le redini della “forward guidance” che hanno intrapreso con decisione, per tenere i tassi più bassi possibile in attesa che i grandi debiti pubblici del pianeta vengano sgonfiati o ristrutturati. Questo fenomeno (tassi bassi e pericolo di rialzo) unitamente ad una montagna di liquidità in (lenta) circolazione, provvederà ancora per un po’ a mantenere gli investitori di tutto il mondo più attenti ai titoli azionari che non al reddito fisso.
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Il “mago di Omaha”, ha inoltrato a fine dello scorso anno una lettera agli azionisti della Berkshire Hathaway nella quale rievoca i grandi insegnamenti che ha ricevuto da Ben Graham e i due semplici investimenti immobiliari effettuati in ossequio a quegli insegnamenti oramai più di trent’anni fa: il buon senso che li aveva ispirati non è a tutt’oggi passato di moda e, soprattutto, le valutazioni a cui sono stati effettuati, subito dopo lo scoppio di altrettante bolle speculative, e il potenziale inespresso di reddito dei medesimi sono tutti fattori che ne hanno fatto delle scelte eccellenti a prescindere dagli alti e bassi di mercato e poterli mantenere a lungo nel tempo. Buffett detta una sorta di “testamento spirituale” nell’invocare un ritorno ai valori fondamentali e un’assoluta indifferenza agli alti e bassi di mercato, spiegando come quei due investimenti immobiliari, se fossero stati meno ragionati e più movimentati nel tempo difficilmente avrebbero prodotto un risultato migliore, al netto degli ingenti costi di transazione che si sarebbero accumulati! Buffett conclude con un vecchio adagio: “price is what you pay, value is what you get”. Come dire: se trovi davvero del valore nei tuoi investimenti non devi movimentarlo ogni giorno!
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Sarà colpa di quel freddo polare che negli ultimi tempi ha avvolto gli americani, sarà a causa del fatto che al di là di fattori temporanei di rallentamento della crescita esistevano ragioni di fondo più persistenti, ma quella che è stata chiamata “gelida ripresa” negli Stati Uniti d’America ha fornito l’ennesima prova che non basta agire sulla leva monetaria per guarire un sistema economico che non funziona e far innestare la quarta a consumi e investimenti.
Tra l’altro con l’occasione gli economisti hanno avuto un’ulteriore conferma di quanto gli eventi climatici possano determinare non soltanto un danno economico immediato nelle settimane in cui si è avuto un picco della temperatura, bensì più in generale anche un impatto economico di lungo termine derivante dai cambiamenti climatici indotti dal buco nell’ozono delle calotte polari, dall’aumento della concentrazione di anidride carbonica e dalla progressiva tropicalizzazione degli eventi atmosferici derivante dal riscaldamento globale e dalle sue conseguenze, sebbene sia oggettivamente difficile calcolarne e misurarne i numeri nell’economia.
Esistono teorie che affermano che una lieve crescita nelle temperature medie del globo quale quella cui stiamo assistendo potrebbe determinare una nuova glaciazione, principalmente a causa della riduzione degli effetti benefici delle grandi correnti oceaniche. Dunque non si tratterebbe solo di maggior caldo generalizzato, bensì di una maggiore instabilità generale del clima,con picchi di freddo nei Paesi e nelle stagioni più fredde e di caldo nei paesi più caldi. L’Economist riporta uno studio dei ricercatori Melissa Dell dell’Harvard University, di Benjamin Jones della Northwestern University e di Benjamin Olken of the Massachusetts Institute of Technology che rivela che nei paesi tropicali la crescita di un grado centigrado della temperatura media può abbassare nel medio termine il loro prodotto interno lordo anche dell’8,5%.
Quello del freddo glaciale sofferto nei primi mesi del 2014 in America è divenuto pietra di paragone con la strana situazione di ripresa economica che viene misurata nel mondo occidentale senza che la gente comune possa avvertirne tangibilmente gli effetti.
È avvenuto negli USA e sta avvenendo anche a casa nostra. La strada da compiere è così lunga prima di tornare alle condizioni di relativo benessere nelle quali ci trovavamo sino a metà dello scorso decennio (anche in termini di welfare, occupazione e costo dei servizi) che ci vorrebbero molti anni sotto il segno positivo, ma non basta: una crescita del 2% del PIL se accompagnata ad una pari crescita della popolazione residente, rischia di non manifestare alcun beneficio. Anzi: qualora la crescita si accompagni ad una seppur lieve maggior concentrazione della ricchezza disponibile, l’effetto netto potrebbe risultare negativo! È più o meno quel che è accaduto negli Stati Uniti d’America.
L’euforia dei mercati si è in generale propagata assai poco all’economia reale e ha progressivamente lasciato posto a notevoli alti e bassi senza continuare a mettere a segno degli effettivi progressi nelle valutazioni d’azienda implicite ai corsi attuali. Cosa ancor più importante, quella descritta sembra una tendenza destinata a durare, una “ripresa fredda” alla quale seguiranno ben pochi progressi del benessere collettivo.
Michele Colosio
Più che sul “consensus” degli analisti, che ci azzeccano meno che il lancio di una monetina, mi ritrovo nell’approccio di Buffet che, noncurante di previsioni e oscillazioni di prezzo, investe ricercando il valore, che spesso si trova a buon mercato quando gli investitori vedono nero…