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    Aristide

    INFORMAZIONE GIORNALISTICA E PUBBLICHE RELAZIONI

    Osserva Giampietro Vecchiato, in un articolo intitolato ‘Etica delle relazioni pubbliche’ che i suoi studenti del corso di laurea in Scienza della Comunicazione dell’Università di Padova, dove lui insegna, «ritengono che i settori più a rischio etico siano quello della politica, dell’informazione e del mondo degli affari.». Questo dicono gli studenti quando sono invitati a prendere posizione sui grandi principi. In realtà però «ciò che si evince è che gli studenti sono uomini e donne pronti a non rispettare le regole e disponibili a scendere a compromessi con i propri ideali abbastanza rapidamente, in vista di un vantaggio immediato». L’articolo può essere letto su ‘Italiaetica’, «una rivista quadrimestrale che nasce per l’esigenza di condurre una riflessione sul valore dei principi che sono alla base del dovere e della responsabilità civile», anno II, 2 (2008). Vedi: http://www.italiaetica.com/articoli/00405%20artic

    Dopo questo esordio tranquillizzante (parlo per me, che un po’ mi ero fatto spaventare dalla definizione barocca dello scopo della rivista), il professore asserisce che il relatore pubblico (il PR, il ‘public relation man’, oppure, per i casi più intriganti, ‘woman’) assume «il delicato ruolo di “cerniera” con i sistemi maggiormente decisivi per il successo dell’organizzazione: la decisione pubblica (il governo, il parlamento, l’amministrazione pubblica ecc.), l’opinione pubblica (i giornali, la televisione, i leader d’opinione) e la comunità (intesa come l'ambiente nel quale l’organizzazione è inserita ed opera)».

    Poi Vecchiato prosegue: «Non c’è attore, atleta, cantante, politico o imprenditore, che non abbia il suo press agent. Obiettivo principale del press agent è quello di “occupare” lo spazio sui media – facendo leva sulla relazione con il giornalista – e quindi richiamare indirettamente l’attenzione del pubblico-lettore». Pare che la figura del press agent sia nata nell’Ottocento, che il suo inventore fosse Barnum (quello del famoso circo Barnum), il quale disse un giorno: «I giornali e le polemiche da essi suscitati sono stati di grande utilità al mio fine che, come appartenente al mondo dello spettacolo, era quello di avere sempre il mio nome in primo piano». Si legge poi nell’articolo che il press agent risponde a una strategia «il cui scopo principale è la propaganda” e viene utilizzato soprattutto quando l’obiettivo è “vendere” un prodotto/servizio». Grazie tante, ce n’eravamo accorti.

    Si legge inoltre il seguente concetto, espresso con linguaggio più o meno forbito: «Il giornalista non è solamente uno strumento nelle mani della fonte, ma gli viene riconosciuto un ruolo di filtro/tutela dell’interesse dei lettori: contrariamente al modello press agentry, dove la verità non è un elemento essenziale, la verità è qui un criterio importante nel modello public information per la definizione dei contenuti comunicativi.».

    Inutile che stia a riassumervi il resto dell’articolo. S’intitola ‘Etica delle relazioni pubbliche’, ma l’etica è qui soltanto un ‘flatus vocis’, una pezzuola messa lì, proprio lì, per coprire le pudenda delle pubbliche relazioni. Perché io mi aspetterei di leggere qualche parola sui casi in cui la “fonte”, come si dice pudicamente (Vance Packard li chiamava i “persuasori occulti”), coincida con il giornalista. Quanti giornalisti non ho conosciuto che arrotondavano con le aziende! Mi aspetterei che in un articolo intitolato all’etica si valorizzasse il «ruolo di filtro/tutela [svolto dal giornalista] nell’interesse dei lettori». Cosa che qui, invece, viene data per scontata, ma che scontata non è.

    Proprio perché qui, in questo articolo, leggo che secondo Scott M. Cutlip, professore emerito dell’Università della Georgia, «oltre il 50% delle notizie pubblicate dai giornali avrebbe come “fonte” un’attività di relazioni pubbliche/ufficio stampa», mi aspetterei che si facesse qualche considerazione in merito. Per esempio: lo sanno i lettori che oltre il 50% delle notizie sono manipolate dalle pubbliche relazioni? Quali sono le tecniche di mascheramento e di smascheramento? Questo mi sarei aspettato da un articolo intitolato all’etica. Niente di tutto questo. L’articolo, che pure pretende di essere etico, si limita a fotografare l’esistente. Ma che etica è questa? Vuol dire che tutto quel che ho letto finora sull’etica, sulla filosofia inventata da Socrate – secondo Cicerone «philosophia non illa de natura, quae fuerat antiquior, sed haec, in qua de bonis rebus et malis deque hominum vita et moribus disputatur» – è tutta fuffa? E che invece è etica quella che viene insegnata a piccoli manager “determinati”, magari anche “grintosi”, oltre che ai poveri studenti di questi sciagurati corsi in Scienze della Comunicazione?

    L’articolo è precisino nelle citazioni, ma non per questo è etico, anzi lo è pochissimo. Tant’è che indulge senza ritegno alla tecnica retorica dell’immersione dell’argomento in una serie di considerazioni anche giuste, ma che poco hanno che fare con l’argomento stesso. Il che sarà anche astuto, ma logicamente è fallace. Invece eticamente… beh, decidete voi. In parole povere: tu mi hai detto cose anche giuste nel tuo articolo, e le hai dette in linguaggio forbito, con uso frequente di locuzioni anglosassoni (comunicazione push e comunicazione pull, e simili piacevolezze). Così, se non sono intellettualmente attrezzato, mi trovo invischiato nel tuo discorso come un uccello nella pania.

    Questo articolo sull’etica, come la maggior parte dei discorsi sull’etica finalizzati a trovare giustificazioni nobili a privatissime attività di lucro (quelli dei seminari sull’etica alla Bocconi, ai quali partecipò compunta Veronica Berlusconi, gli sproloqui sulla banca etica e sulle società di transazione immobiliare etica ecc.) fa leva fondamentalmente sulla fallacia argomentativa di conclusione irrilevante (detta anche ‘ignoratio elenchi’: quando tu mi dici una cosa giusta, che non c’entra niente con la tesi da dimostrare, e così facendo pretendi di aver dimostrato la tesi) sposata con i para-argomenti cosiddetti ‘ad baculum’ e ‘ad verecundiam’: cioè, io uso espressioni anglosassoni, roba alla moda, perciò tu non solo mi devi reverenza (‘verecundia’ nel senso di timore reverenziale), ma stai attento, perché se non ti adegui, se non stai nei ranghi, finisci bastonato (per esempio, nessuno ti darà da lavorare ecc: argomento ‘ad baculum’ significa “argomento del bastone”).

    Insomma, il prof. Vecchiato (i cui libri sono pubblicati per i tipi di Franco Angeli) aveva cominciato bene, anzi benissimo: aveva esordito affermando «che gli studenti sono uomini e donne pronti a non rispettare le regole e disponibili a scendere a compromessi». Poiché sono studenti di uno di questi benedetti corsi di Scienza (ehm…) delle Comunicazioni, mi aspettavo che proseguisse, che ci dicesse quali nequizie comportasse questo atteggiamento furbesco. D’altra parte non sono un moralista (come i neopuritani d’oggi), avrei perfino accettato che il prof. Vecchiato dicesse, per esempio: fin qui il compromesso è accettabile, oltre questo limite non lo è più. Questo val la pena insegnare a studenti ai quali, se mai troveranno un posto di lavoro, le aziende chiederanno cose ignobili, nell’ambito delle “pubbliche relazioni”. Perché dunque il prof. Vecchiato, che scrive per i tipi di Franco Angeli, rifugge dal prendere posizione, si limita a parlare di “professionalità” (che cos’è?) e “responsabilità” (rispetto a quale sistema etico?), perché sta sulle generali e non affronta il toro per le corna? Ben diversamente, e senza ambiguità di sorta, fecero coloro che scrissero di etica in altri tempi, rivolgendosi all’uomo, e non al manager, o allo studente determinato a tutto, pur di diventare un manager, come i tronisti e i piccoli mostri di Maria de Filippi. Per esempio, riguardo all’omicidio: è una cosa esecrabile, ma in certi casi è ammesso, per sbarazzarsi di un tiranno. Infatti, Giovanni di Salisbury, Tommaso D’Aquino, Guglielmo Shakespeare e Vittorio Alfieri sono a favore del tirannicidio.

    Rimanendo nel concreto, io – come lettore di ‘Bergamo info’ – sopra i due articoli dedicati al Tour operator (= operatore turistico? perché non dirlo in italiano?) ‘Passatempo’, riportati qui in alto, avrei letto volentieri la seguente dicitura, sopra il titolo, come pure usa (talvolta):

    [informazione commerciale].

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