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11 Comments

  1. 1

    Kamella Scemì

    "E’ il gioco dello scarica-lucciole, per intenderci". Battuta lucida di un giornalista all'inglese. Bergamo cerca di scaricare le battone sulle strade di Orio piuttosto che di Pedrengo, e magari avrà anche l'appoggio di qualche amministratore locale voglioso o di qualche invidiosa assessore-femmina, mentre i paesi dell'hinterland cercano di riempire con un po' di "allegria" il centro cittadino che si sta svuotando. Ha ragione Zapperi: col peripatetismo centro-hinterland e ritorno non si risolve nulla, anzi si inquina pure quel che è sfuggito in precedenza a tanta sporcizia. La Sinistra dice che la prostituzione è un lavoro: bene, se è così, va regolamentato, facciamo un'integrazione allo Statuto dei lavoratori e vediamo di riaprire i bordelli o strutture similari. I nostri giovani, e soprattutto gli immigrati, sono lì pronti, in tiro, a sostenere a spada tratta l'utilità sociale di tale lavoro. Se lavoro non è, lo si proibisca, almeno sulle strade, e si rimpatrino le numerosissime puttane clandestine. Studiosa di teologia, questo sì, ma scema no, nonostante il cognome.

    P.S.: Ringrazio Aristide per aver riportato secondo la pronuncia italiana il mio nome. Grazie ancora, perchè, fra la cammella e la scema, nome e cognome, ho spesso sofferto dell'incomprensione altrui.

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  2. 2

    Giuseppe

    Dopo il caso Berlusconi, i politicanti vogliono regolare bene la faccenda. E partono da lontano… Ricordiamoci le statistiche che ci dicono quanto siano puttanieri.

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  3. 3

    Aristide

    Del giornalismo anglosassone si fa un gran parlare, nella nostra Italia provincialotta. Tu dici “anglosassone”, il pubblico si mette paura e finisce per accettare qualsiasi panzana. Per esempio, nella trasmissione televisiva “Anno zero” il buon Santoro, una trasmissione sì e una no, ci ricorda che la sua inchiesta è modulata su ritmo anglosassone. Noi siamo ammiratori sinceri della tecnica retorica di Santoro (il meglio delle assemblee sessantottine trasposto sul palcoscenico televisivo): di solito, non ne sbaglia una. Questo però non significa che siamo disposti a bere qualunque cosa lui ci dica. Rimane il fatto che le cose che dice, le dice bene. Chapeau! Abbiamo detto questo per ricordare – non si insisterà mai abbastanza su questo punto – la differenza fondamentale che c’è tra la ricerca della persuasione e la ricerca del vero.

    Ma lasciamo perdere Santoro. In ogni caso, ci hanno fatto una testa così, con questa storia del giornalismo anglosassone, che ci è venuta la mania di verificare sempre se una notizia, qualunque notizia, dalle prodezze del Trota all’assegnazione del premio Nobel per la pace (l’ultimo fu assegnato a Obama, noto pacifista), abbia o meno impianto anglosassone.

    Abbiamo verificato anche questa notizia, dedicato al meretricio stradale in terra bergamasca. L’esame è superato: la notizia è certamente in stile anglosassone. Ma quali sono i criteri di giudizio? È quello che vediamo nel capitoletto seguente.

    IL CRITERIO DI ANGLOSASSONICITÀ

    Per non perderci in troppe parole, lasciamo che sia Clark Gable a spiegarci che cosa sia questo benedetto criterio di anglosassonicità, almeno in prima approssimazione. C’è dunque un film del 1934 (Frank Capra, “Accadde una notte”) dove Clark Gable recita la parte di un giornalista anarcoide: incontra una bizzosa miliardaria (Claudette Colbert) e trova, fra l’altro, il modo di svelarle il segreto del buon giornalismo. Per scrivere un buon articolo, dice Clark Gable, occorre rispondere a cinque domande fondamentali, introdotte da cinque avverbi o pronomi che (in inglese) cominciano tutti con la lettera “W”. Ecco le domande:

    WHO?

    WHAT?

    WHY?

    WHERE?

    WHEN?

    Dunque, per scrivere un buon articolo, bisogna ottemperare alla regola delle “cinque W”. Semplificando, si potrebbe dire che questo è il fondamento della tanto sbandierata anglosassonicità giornalistica: raccogliere i dati e sistemarli razionalmente, con la volontà di niente lasciarsi sfuggire, soprattutto senza niente voler nascondere.

    IMPOSTAZIONE ANGLOSASSONE DELLA NOTIZIA SUL MERETRICIO BERGAMASCO

    Ovviamente, a parità di impianto (rigorosamente anglosassone) lo svolgimento del tema può essere vario quanto si vuole. L’impianto anglosassone vuol essere una guida per affrontare la questione (come del resto l’impianto proposto da San Tommaso d’Aquino, sul quale torneremo alla fine): non è certamente una camicia di forza. In ogni caso, però, il procedimento anglosassone richiede che prima del così detto “trattamento” della notizia si proceda alla raccolta delle informazioni di fondo, delle informazioni particolari e degli argomenti, raggruppati nel modo che si è detto. Dunque, facendo il punto della situazione, si potrebbe procedere così, nel caso del meretricio stradale in terra bergamasca:

    • WHO? = CHI? >> Protagonisti della notizia sono peripatetiche, sindaci e assessori. A.) Le peripatetiche: cioè le meretrici che esercitano la loro professione nelle strade, con libertà di movimento sul marciapiede o sul bordo della strada (peripatetiche = passeggiatrici). Se esercitano in marciapiede defecato dai cani, prendono il nome di peripatetiche merdaiole (così suggerisce il divino Bianciardi). B.) Sindaci e assessori. Sono in cerca: b1) di visibilità, perché saranno intervistati da solerti giornalisti; b2) di soldi per le casse del Comune, che poi devolveranno a iniziative che creino nuova visibilità o consenso elettorale (per esempio, foraggiando associazioni con funzione di catena di trasmissione ecc.).

    • WHAT? = CHE COSA? >> Scandalo e schiamazzi.

    • WHY? = PERCHÉ? >> Causa apparente: porre fine a scandalo e schiamazzi. Causa vera: Gli assessori si agitano per aver visibilità e far cassa.

    • WHERE? = DOVE? >> Bergamo e dintorni, con dinamica di delocalizzazione centrifuga.

    • WHEN? = QUANDO? >> Da che mondo è mondo. Si vedano, di Fabrizio de André, le canzoni “Bocca di rosa” e “La città vecchia”.

    (Qui faccio una pausa: segue alla prossima puntata)

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  4. 4

    Aristide

    (Riprendo l’argomento lasciato in sospeso nel post precedente)

    IL TRATTAMENTO DELLA NOTIZIA

    Ma è nel trattamento della notizia che si manifesta – a parità d’impostazione anglosassone – il diverso sentire, eventualmente il dissentire. Ci tengo ad affermare che quel che vado scrivendo prescinde dalla notizia in sé, che è un pretesto per un discorso generale. Il discorso è (mi perdoni il Trota se la cosa si fa sottile) sulla differenza tra i cosiddetti “luoghi comuni” e i cosiddetti “luoghi propri”.

    Diciamo anche che i luoghi comuni non sono una cosa brutta, come pure si ritiene. Tutti fanno ricorso ai luoghi comuni, che possono essere utilissimi, e a fin di bene. Per esempio, in un dibattimento giudiziario i luoghi comuni sono le leggi del Codice penale e del Codice civile. Dunque, non diciamo sciocchezze: i luoghi comuni sono ammessi.

    Il fatto è però, che – se appena si può – non bisognerebbe trascurare i luoghi propri, quelli che ineriscono strettamente alla questione trattata o che ci aiuterebbero a far luce sulla questione trattata. (I luoghi propri sono gli argumenta a re, secondo la definizione di Quintiliano.) Altrimenti, è come pestare l’acqua o, come diceva Socrate nella sua apologia, è come “combattere con le ombre”. Ora, la legge delle 5W è stabilita precisamente per trovare i luoghi propri. Però, facendo un cattivo uso o soltanto “in apparato” delle regole del giornalismo anglosassone, può succedere che i luoghi comuni siano intessuti come luoghi propri.

    Per esempio, nello schema di impostazione anglosassone della notizia sul meretricio bergamasco, riportata precedentemente, sono tipicamente luoghi comuni quelli dello scandalo e degli schiamazzi. Infatti:

    A. Bisognerebbe giudicare, caso per caso, quando ci sia scandalo e quando ci sia schiamazzo. Io, infatti, potrei scandalizzarmi vedendo certe mammine che portano i pargoletti ai giardini pubblici, vestite in tenuta adescatrice (in realtà, non mi scandalizzo affatto). E non è detto che le meretrici facciano schiamazzo o siano portatrici di schiamazzo, per definizione.

    B. È anche un luogo comune il fatto che debbano essere sindaci e assessori a occuparsi di queste cose. Altri sono gli organi ai quali è deputata la sorveglianza sulla pubblica decenza e sulla quiete notturna e diurna dei cittadini. Fra l’altro, è di questi giorni una sentenza della Corte costituzionale nella quale è «dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 50 ecc del “Testo unico delle Leggi sull’ordinamento degli enti locali”»: in sostanza, la Corte Costituzionale ha ridotto notevolmente i poteri attribuiti ai sindaci con il cosiddetto pacchetto sicurezza, dichiarando illegittima la norma che consentiva al sindaco, nella qualità di Ufficiale di Governo, di adottare provvedimenti per prevenire ed eliminare gravi pericoli per la sicurezza urbana, anche al di fuori dei casi di «contingibilità ed urgenza».

    Forse è anche un luogo comune la ricerca ossessiva – da parte di sindaci e assessori – di visibilità e soldi che affluiscano nelle casse del Comune, per fini spesso pochissimo nobili (per esempio per fare la sagra dello gnocco fritto, che dà sciagurata visibilità e porta voti). Però, se non se ne parla, o si fa di tutto per non parlarne, questo non è più luogo comune, ma un luogo proprio.

    Sono parimenti luoghi comuni i riferimenti alle canzoni di de André (fra l’altro, potrebbero essere un argomento retorico fallace, il cosiddetto ‘argumentum ad verecundiam’, ne parleremo semmai un’altra volta): ma ecco un caso in cui un luogo comune è benedetto ed è sacrosanto: pensate a quella poveretta, denominata Bocca di rosa, dalle autorità accompagnata con un foglio di via alla stazione di Sant’Ilario, per la cattiveria di «una vecchia mai stata moglie: senza mai figli, senza più voglie» che si mette a capo di una rivolta di beghine. Già, «si sa che la gente dà buoni consigli / sentendosi come Gesù nel tempio, / si sa che la gente dà buoni consigli / se non può più dare cattivo esempio». Oppure pensiamo a questa scena (nella canzone “La città vecchia”) che si svolge «nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi»: «vecchio professore, cosa vai cercando in quel portone / forse quella che sola ti può dare una lezione. / Quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie / quella che di notte stabilisce in prezzo alle tue voglie».

    Con questo che cosa ho voluto dimostrare? Che, a parità di impianto anglosassone, il trattamento della notizia può essere diverso quanto si vuole. Quindi quando Santoro mi dice: “Guarda che io sto facendo giornalismo anglosassone”, se non sono uno stupido, non devo farmi impressionare.

    In altre parole ancora, non critico né la notizia (questa notizia sulle peripatetiche in terra bergamasca), né l’impianto anglosassone, ben mi guardo inoltre dal criticarne lo svolgimento. Anche se poi avrei trattato l’argomento del tutto diversamente, con altri luoghi comuni (per esempio, le canzoni di de Andrè) e con altri luoghi propri. I quali luoghi propri possono essere anche usati in funzione di luoghi comuni. Ah! Se ci fosse il modo, potrei ricordare quel professore di Analisi III (equazioni differenziali alle derivate parziali, trasformata di Laplace ecc.: roba da far venire un colpo apoplettico al povero Trota!). Ricorderei quel giorno che vuole raccontare ai suoi studenti che lui aveva sposato “una di quelle”, e che si era trovato benissimo. Perché “quelle” non hanno grilli per la testa, loro hanno già trasgredito, è tanto è loro bastato.

    Nella terza e ultima puntata spiegherò perché le 5W del giornalismo anglosassone ci fanno un baffo.

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  5. 5

    Aristide

    (Terza e ultima puntata)

    PERCHÉ IL GIORNALISMO ANGLOSASSONE CI FA UN BAFFO

    [Avviso ai naviganti (in Internet). Quanto sto per dire può essere considerato dal Trota e da certi suoi poco acculturati colleghi e amici come un’offesa personale, da lavare con il sangue. Dunque, per favore, fate in modo che non lo leggano.]

    In quest’ultima puntata vi diciamo, con la forza dell’esempio, che a noi il giornalismo anglosassone ci fa un baffo. Non solo perché non siamo angli né sassoni, ma non siamo neanche territoriali: siamo – e scusate se vi par poco – universali, cioè cittadini del mondo. Come tali ci riteniamo liberi di assumere modelli culturali e comportamentali dove meglio ci piace. Per esempio, da san Tommaso d’Aquino.

    San Tommaso d’Aquino era di Aquino solamente, paesello in provincia di Frosinone che oggi conta 5000 abitanti e forse allora anche meno, o non è piuttosto di tutto il mondo, lui che è padre della Chiesa e filosofo sommo? Neanche san Tommaso d’Aquino era anglo, né sassone, eppure enunciò la regola delle 5W molto prima che esistesse il giornalismo, anglosassone e non.

    Torniamo dunque a parlare degli argomenti propri, da introdurre in un’argomentazione, o in una notizia giornalistica. Gli argomenti propri devono essere, evidentemente, ricavati dallo studio della questione. Nei trattati di retorica non mancano i suggerimenti per trovare le strade che portano ai “luoghi” degli argomenti propri. Ebbene, anche in questo campo, come in numerosi altri, si pensò nel medioevo a una formulazione del metodo che potesse essere facilmente ritenuta a memoria.

    Così san Tommaso d’Aquino (1225 ca.-1274), nella sua Summa Theologica, II, I, Qu. 7, A. 3, a proposito dell’indagine sulle circostanze che determinano gli atti umani, sosteneva che occorre rispondere ad alcune domande fondamentali (in questo caso, sette), che possono essere facilmente ricordate mandando a memoria il seguente verso esametro:

    QUIS, QUID, UBI, QUIBUS AUXILIIS, CUR, QUOMODO, QUANDO.

    (La scansione metrica è:

    Quís quid u / bí quibus / áuxili / ís cur / quómodo / quándo).

    Cioè: Chi? Che cosa? Dove? Con quali mezzi? Perché? In qual modo? Quando?

    Qualcosa di simile sostenne Albertano da Brescia (XIII sec.) che, scrivendo un libro per il figlio Stefano sulla scienza del dire e del tacere, lo invitava a interrogarsi in questo modo:

    QUIS, QUID, CUI DICAS, CUR, QUOMODO, QUANDO requiras

    In questo caso le domande sono sei, ma il concetto è più o meno lo stesso. Anche qui le sei domande, più il congiuntivo esortativo “requiras”, formano un verso esametro.

    Fine della terza e ultima puntata (ma non dite niente al Trota).

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  6. 6

    Cristoforo

    Da copiare, stampare e utilizzare nelle scuole di giornalismo: dove avete preso collaboratori di questa portata? Però, a tal punto, direi che se i contenuti sono stratosferici, Gianfranco ha persino parlato di pensiero puro, la grafica del sito è carente: manca persino un indice che consenta di leggere non per caso interventi come questi. Non può esistere una tale discrepanza!.

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  7. 7

    Cristoforo

    Riporto per conoscenza l'interpellanza delle minoranze al Consiglio Comunale di Bergamo.

    Egr. Sig. Presidente del Consiglio Comunale

    Rag. Guglielmo Redondi

    INTERPELLANZA A RISPOSTA ORALE

    I sottoscritti consiglieri comunali

    premesso

    – che con sentenza n. 115 del 4 aprile 2011, depositata il 7 aprile scorso, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità

    costituzionale dell’art. 54, comma 4 del Testo Unico degli Enti Locali, come sostituito dall’art. 6 del decreto – legge 23 maggio 2008 n. 92

    (“Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”) convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1 della legge 24 luglio 2008 n. 125,

    nella parte in cui comprende la ocuzione “anche” prima delle parole “contingibili ed urgenti”;

    – che la sopravvenuta declaratoria di parziale illegittimità costituzionale della norma in forza della quale erano state emanate impone di verificare l’attuale legittimità di alcune vigenti ordinanze sindacali, ed in particolare la n. 11 del 9 dicembre 2009 relativa al contrasto dell’ ”accattonaggio molesto” e la n. 39 del 21 marzo 2011 relativa al contrasto della prostituzione su strada;

    tanto premesso,

    i sottoscritti consiglieri comunali interpellano

    il Sindaco e l’Assessore alla Sicurezza per sapere:

    1. se si intenda provvedere all’immediata revoca, per difetto dei requisiti di contingibilità ed urgenza, delle ordinanze sindacali menzionate in premessa;

    2. se non ritengano preferibile ricorrere, d’ora in poi, anziché ad ordinanze aventi carattere generale, a provvedimenti sanzionatori specifici volti a reprimere accertate situazioni di illegalità, come suggerito anche dalla stessa Prefettura di

    Bergamo nel corso dell’istruttoria adottata nello scorso mese di novembre per limitare gli orari di apertura degli esercizi commerciali posti in Via Quarenghi.

    Si resta in attesa di ricevere cortese risposta verbale nei termini previsti dall’art. 65 del vigente Regolamento del Consiglio Comunale.

    Bergamo, 11 aprile 2011

    Roberto Bruni Lista Bruni

    Elena Carnevali PD

    Vittorio Grossi IDV

    Giuseppe Mazzoleni UDC

    Pietro Vertova Indipendenti Verdi

    Reply
  8. 8

    Aristide

    Ecco, la chiave di volta di tutta la questione può essere trovata in questo passaggio dell'interpellanza:

    […] se non ritengano preferibile ricorrere, d’ora in poi — anziché ad ordinanze aventi carattere generale — a provvedimenti sanzionatori specifici volti a reprimere accertate situazioni di illegalità, come suggerito anche dalla stessa Prefettura di Bergamo…».

    Inoltre, come osservavo sopra, «altri sono gli organi ai quali è deputata la sorveglianza sulla pubblica decenza e sulla quiete notturna e diurna dei cittadini». Sindaci e assessori si diano una calmata: facciano una buona amministrazione, se possibile ottima, occupandosi delle faccende da sbrigare giorno per giorno (in base all'evangelico "Ogni dì ha il suo affanno"). Se hanno cultura e intelligenza politica, affrontino pure le questioni d'impostazione generale (anzi è auspicabile): ma la crociata contro il mestiere più antico del mondo, la ricerca di facile consenso, non è una questione di momento politico generale. Dunque, lascino perdere. Se ci sono problemi di schiamazzi, di offesa al decoro et similia, si rivolgano — in silenzio — alle forze dell'ordine. Plaudo all'interpellanza.

    Reply
  9. 9

    Silver

    Bellissimo articolo.

    Complimenti per la lucidità, la chiarezza e la sintesi.

    Reply
  10. 10

    Bergamo.info

    Grazie a nome di Cesare Zapperi e di tutti i nostri meravigliosi commentatori. E un ringraziamento da https://www.bergamo.info a tutti loro. Infatti, gli argomenti che scegliamo di trattare e porre in discussione hanno finora dato luogo a splendidi articoli complessivi e complessi, a più voci, che costituiscono la singolare caratteristica di questo giornale d'opinione, quasi un salotto di famiglia, in cui brillano la cortesia, la gentilezza e l'acume con cui si dibatte per iscritto.

    Reply
  11. 11

    Aristide

    Sempre con riferimento al tema del giornalismo, del quale in questa bacheca elettronica abbiamo esaminato due aspetti (a. le markette; b. il piglio anglosassone), avrei una proposta da fare ai giornalisti orobico-anglosassoni.

    Si veda il virgolettato (come si dice) riportato qui sotto: un post su ‘Bergamo news’, che trascrive un articolo apparso su ‘Famiglia cristiana’ sui frontalieri italiani. I quali, com’è noto, sono insigniti dai cugini ticinesi (quelli più ruspanti) del titolo onorifico di “ratt”. Non sfuggirà ai più la pertinenza di quest’intervento, su questa pagina. Infatti, la notizia in testa alla pagina riguarda la cacciata delle peripatetiche dalla terra bergamasca, dove le proscritte (o candidate alla proscrizione) trovano lavoro, contribuendo al mantenimento di certi equilibri psicosociali. La lega del Canton Ticino propone la cacciata o comunque il ridimensionamento dei frontalieri lombardi, che ivi trovano lavoro, contribuendo alla floridezza economica di quella parte beata d’Europa dove tutti vorremmo vivere. Ecco comunque la mia proposta (copio e incollo):

    «Scuola di giornalismo • Tema: mistica territoriale, potere e svanziche.

    L’aspirante giornalista presenti il significato – in senso proprio e lato – del termine “territorio”. Quindi analizzi la portata della mistica territoriale, in Canton Ticino e in Lombardia. Infine svolga l’intreccio tra mistica e potere, portando due esempi: il primo tratto dal mondo antico, il secondo riferito all’evo moderno.»

    Che cosa ne pensano i giornalisti anglosassoni di casa nostra? Si noti che ‘Bergamo news’ riporta l’articolo di ‘Famiglia cristiana’ (è meglio che niente), ma non svolge un lavoro giornalistico in proprio (sarebbe auspicabile). Coraggio, giornalisti anglosassoni! Meno markette, meno luoghi comuni (con impiego banale degli stessi) e più giornalismo: e se non è anglosassone, pazienza. (L’appello è universale, urbi et orbi: non riguarda questa o quella testata giornalistica in particolare.)

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