Da qualche settimana, in prossimità della domenica, pubblichiamo il testo evangelico (tutto o in parte) che la liturgia propone alla meditazione, accompagnato da una piccola preghiera. Una meditazione che dovrebbe precedere la partecipazione ai riti domenicali e ad essi dovrebbe seguire, dopo aver ascoltato i commenti e le riflessioni proposti da sacerdoti e dagli stessi fedeli. Questo perché riteniamo effettiva l’attualità del messaggio. Ne poniamo i “perché?”. (di Francesco Nosari)
Viviamo in un’epoca di diffuso scetticismo morale, e i recenti clamorosi fatti lo dimostrano ampiamente, laddove infine i giudizi morali sarebbero estranei all’ambito del rapporto fra quel che si discerne essere vero o quel che risulta falso. In sostanza, siamo di fronte a una negazione della razionalità delle nostre azioni (la prassi irrazionale di Kelsen), ciò che impedisce qualunque costruttivo dialogo, qualunque etica, qualunque giustificazione delle rispettive scelte, assumendosi come base della “convivenza” sociale un criterio che è l’esatto contrario del suo fondamento, un caos relazionale che fa prevalere solo il più forte o il più furbo nell’inganno.
Necessita, dunque, un rinnovamento morale che contrasti tali indirizzi, salvaguardando la serietà dell’esperienza morale, che è aperta alla ricerca del vero in quanto non puramente soggettiva ma reale, legata ai processi razionali del nostro comune vivere, quindi, della nostra relazionalità.
E’ evidente, però e a tal punto, che il perseguire tale obiettivo necessita a propria volta di una ricerca teorica superiore, che indaghi il fondamento ultimo del senso morale e delle norme primarie, della formazione di una ontologia e una dottrina che fungano da mappa dei sentieri lungo i quali inoltrarsi, oppure di quelli ancora da esplorare.
E la domanda prima è: quel fondamento ultimo e quelle norme primarie “provengono esclusivamente dalla ragione umana autolegislatrice e totalmente autonoma, oppure questa è una ragione delegata e partecipante a quella divina, e che dunque procede nel solco di quest’ultima? (prof. V. Possenti). L’individuo può effettivamente pensare di educare se stesso, ritenendosi un un tutto di per sé perfetto e chiuso (Rousseau), l’unico ad avere diritto a giudicare in cosa consista una vita felice e riuscita (Aristotele)? E per chi e quanti tale vita deve essere ritenuta tale?
Sono domande essenziali per ciascuno di noi, alle quali l’umanità non ha ancora dato risposta, e chissà se la darà mai, ma che ci pressano da vicino, chiedendoci risposte almeno parziali; ad esse, in continuità storica, l’uomo ha cercato di aprirsi (od ovviare, se così si vuole) rifugiandosi in fedi diverse, soluzione che, se si riflette appena un poco, è caratteristica che unisce tutti gli uomini, anziché dividerli, perché anche i confini fra le diverse fedi, se da un lato sono linee di demarcazione, dall’altro sono insiemi di punti di congiunzione.
Nelle diverse fedi, elemento essenziale è certamente la preghiera, che è comune fattore unificante, mezzo di ascolto di Dio o del dio. Quindi, ne deduciamo, il fattore individuante e unificante le fedi è la costante dell’ascolto, dell’interazione con quella “mappa suprema” che è la voce divina, la parola divina.
E per quale ragionevole motivo, dunque, credenti o non credenti che siamo, nella difficile e disgregata situazione attuale, noi europei, figli di una civiltà largamente debitrice verso il Cristianesimo, dovremmo sottrarci all’ascolto critico di quella Parola che, senza che lo vogliamo, ci ha comunque formati? Perché dovremmo rifiutare o ignorare l’appello all’ascolto e alla meditazione di quesi testi, di quella Parola che i Cristiani assumono come vera, la quale fonda il concetto stesso di eredità culturale europea, rintracciabile in principi e valori morali e spirituali (Novalis, Kant), finanche in una “forma mentis”, attraverso i quali ci è giunta ed è entrata in noi l’eredità dei padri? Per quale motivo non dovremmo criticamente porci a confronto con una Parola che è data per costruire comunità, quelle cristiane, a partire da quella originaria di Gerusalemme, che dovrebbero essere caratterizzate da unione fraterna, cioè da quanto oggi è terribilmente assente nella comunità cosiddetta civile?
Ecco la serie dei “perché?” i quali hanno dato luogo alla nostra nuova rubrica, quella del cosiddetto Vangelo della settimana. Le risposte, totalmente libere, e le riflessioni le lasciamo a Voi, cari lettori. “elettronici”.
Ci auguriamo anche noi qualche risposta, in spirito di comune e proficua ricerca.
3 Comments
maria
Ma quanti ci credono veramente? Neanche un commento, un pensiero. Evidentemente quasi tutti non sanno neanche da che parte cominciare per impostare un pensiero cristiano. Perché i preti non ci si buttano? E'il loro mestiere.
angelomario
Il commentino subito dopo la frase del Vangelo è molto stimolante. Forse qualche commento da parte di chi si sente toccato o interessato arriva. Un po' alla volta… I preti sono troppo zitti.
gigi
Quel che sconvolge è che per di più abbiate sentito il bisogno di spiegare il perchè della vostra scelta, come se i cervelli della gente funzionassero ancora. Il Papa, che ora ha fatto la stessa cosa, non ha spiegato nulla: ha agito e basta. Questo vuol dire che il problema e le finalità di un'iniziativa simile, di grande profondità, sono inutili da precisare, perchè tanto non vengono neppure capite, se non da alcuni dei quattro gatti che vi leggono (come quell'Aristide, noto intellettuale e schizzinoso frequentatore del Web): è più utile fare come con i martelli, picchiare la capocchia del chiodo finché non entra nel muro, spaccandolo a forza. Si fa così anche in amore e per amore, no? A dimostrazione, non appena la rubrica del Vangelo settimanale si è perfezionata, con una bella riflessione dello storico, don Zanchi, gli zero comments sono cessati, l'articolo, molto originale, ha attirato l'attenzione di tutti, facilitato dalla ripetizione dell'immagine di accompagnamento e dal fatto che era puntualmente apparso le settimane precedenti, implacabile, generando comunque curiosità. Dàgli e dàgli, ci si arriva… e infatti le domande dei lettori sono ancora lì, a prendere il sole finché non diventeranno meno sapide e ingombranti.
Un'altra dimostrazione di quel che dico è data dalla decisione di Benedetto XVI di comparire in TV il giorno di Venerdì Santo, durante 'A Sua immagine', su Raiuno, per rispondere in diretta a domande dei fedeli. Che cosa chiederanno i fedeli?, ci si domanda. E nessuno si domanda, invece: perché l'ha fatto, e proprio nel giorno dell’oscurità e del dolore? Tre domande e tre risposte secche. Così è deciso!
Sarà il fedele, spontaneamente, a chiedere al Papa di cercar di coniugare il suo oscuro fare quotidiano, pressato dall’ansia e dal bisogno, con quel Dio in cui crede e che sembra così lontano da quel correre. Santità, mi spieghi, mi indichi dov’è Cristo, in queste mie giornate affannate e distratte: me lo mostri, perché io non riesco a riconoscerlo. Non c'è nessun perché da distribuire: sarà lui a chiedere, perché ne ha bisogno.
Come ne ha bisogno il genitore che vorrebbe spiegare ai figli che occorre studiare, e lavorare, e fare fatica, mentre questi invece guardano la tv, sognano, e si incupiscono nel rancore, perché magari son figli di gente aliena dalla corruzione.
Ne ha bisogno il malato, che non sa in chi, in che cosa sperare. Ma che sia una speranza ragionevole, concreta: vera tanto quanto il desolato bianco reparto di ospedale, dove sta con gli occhi fissi al soffitto. Perché niente di meno basta all'uomo, di una speranza che si possa toccare, che abbia un nome, una faccia, che sia una speranza vera.
Davanti a questo, ogni perché è inutile.