Autore

Luca Allevi

Dottore commercialista, pubblicista. Partner Leaders e del network Gruppo 24 Ore. Magistrale Economia Bocconi e Master RE NY University. Ha lavorato in Pizzarotti, Essex Capital NY e Avalon RE. Cell. 338-378.57.65 luca.allevi@leaders.it

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22 Comments

  1. 1

    Karl Heinz Treetball

    "Racconta, non fare il furbo". Questa è la frase con cui il neo-direttore de L'Eco di Bergamo inizia il Suo editoriale odierno: era la frase preferita da Dino Buzzati, quella che teneva su un pezzo di carta incollato con lo scotch alla macchina per scrivere.

    "Racconta e non cercare di condizionare gli altri", prosegue Gandola. "Racconta e non nasconderti dietro il pregiudizio. Racconta e non dimenticare dettagli che non ti fanno comodo. Racconta e non riempire il nulla di paroloni. In un'epoca in cui la Tv sforna opinioni a getto continuo su tutto e il giornalismo inclina pericolosamente verso il perenne e stucchevole talk show, raccontare e non fare i furbi ci sembra un'attitudine di cui andare orgogliosi".

    E' un pentalogo assai significativo, onesto, chiaro, cui pienamente aderiamo, qualunque sia l'inclinazione ideale in cui si svilupperà. Color rosa, come si dice? Non ci interessa. Va bene comunque, perché quando si imposta il rapporto coi lettori sul piano dell'onestà, noi ci siamo, critici magari, ma serenamente lieti di esserlo, certi che dall'altra parte c'è comunque un interlocutore. E' questo il bello dell'umano, il fondamento del Cristianesimo: l'essere con e per l'altro, avendo nel cuore un Altro che ci sta preparando un posto nel Suo Regno.

    Significativa è un'altra frase del neo-direttore, in sintonia con la linea impostata dal nostro amato Vescovo: "il popolo de L'Eco chiede al suo giornale onestà e autorevolezza. Ma soprattutto chiede notizie ed approfondimenti che lo aiutino a capire la quotidianità e il destino di questa terra fertile e orgogliosa delle proprie radici".

    Dall'altra parte, insomma, ci sono persone, "con i loro entusiasmi e le loro debolezze, i loro sogni e le loro paure". Questa è la base di un rapporto schietto, il fondamento su cui lavorare e magari ripartire.

    "L'Eco è un giornale unico – aggiunge Gandola – capace di valorizzare gli avvenimenti mondiali e di rendere grandi anche le piccole storie bergamasche. I primi ci rendono completi, le seconde sono l'essenza stessa del nostro lavoro". E in questo solco stanno anche le piccole osservazioni e opinioni di un minuscolo mezzo informativo come il nostro, con cui speriamo si voglia interloquire, così come con tutti i nuovi e numerosi media di vario genere e tendenza che arricchiscono lo straordinario panorama culturale offerto dalla gente bergamasca.

    "Noi dobbiamo voler bene a chi vive in questa terra. Compito più delicato, più decisivo in cui la sensibilità ha un ruolo fondamentale". Ecco, questo ci piace molto, perché è la ragione unica per la quale noi ci stiamo spendendo in un'impresa che ha solo costi, e tornaconto nessuno. Su questo piano non potremo che intenderci col nuovo direttore, pur nell'eventuale diversità di pensiero e opinioni.

    Gandola ricorda, poi, la vicenda, divenuta caso d'interesse nazionale, del "muro" sul lungolago di Como, abbattuto anche per la decisiva battaglia condotta dal giornale da Lui diretto, La Provincia di Como, appunto. Precisa Gandola: "raccontare ciò che accadeva sarebbe stato troppo facile, troppo poco. Per questo ci sono tutti gli altri. Il quotidiano del territorio, nel senso che ama il territorio, contribuisce ad affrontare e a risolvere il problema". Siamo d'accordo: quella sensibilità cui sopra si accennava serve proprio per questo, e per questo occorre "essere pertinenti e impertinenti", meritando "tutti i giorni un sorriso e un pizzico di stima in più". Buon lavoro!, direttore.

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  2. 2

    Aristide

    Ottimo l’esempio del lavoro di “scavo sulla notizia” svolto dalla ‘Provincia di Como’, a proposito del muro che si voleva erigere a Como: una barriera alta due metri, in cemento armato, proprio di fronte al lago. L’esigenza di arginare le esondazioni del lago non era campata per aria, il progetto originario non era nemmeno spregevole, prevedeva marciapiedi e aiole verdi. Poi venne un’orribile variante di progetto, sulla quale l’Assessore alle Grandi opere di Como e il sindaco non ebbero niente da ridire. Sullo sfondo, la cosiddetta legge Valtellina che avrebbe finanziato l’opera, forse anche la mistica delle opere pubbliche finanziate (è buono, e si ha da fare, tutto quel che è finanziato: ma chi l’ha detto?). Infine ci fu la rivolta, il progetto con la sua stramaledetta variante è stato messo in soffitta, il tratto di muro già costruito è stato abbattuto. Al posto della barriera fissa in cemento armato, si metterà in opera un sistema di difesa modulare, con l’inserimento di opportune paratie da inserire – all’occorrenza – su apposite guide, di altezza regolabile secondo il livello della piena. L’ecomostro è stato abbattuto grazie anche all’impegno dei giornalisti che si sono schierati dalla parte dei cittadini. Non a caso ho fatto ricorso alla parola “impegno”, in alternativa all’indifferenza. Ultima notizia, ciliegina sulla torta: l’Assessore alle Grandi opere di Como ha rassegnato le dimissioni, ma è stato ricollocato nel Consiglio di gestione di Infrastrutture Lombarde spa.

    Ecco, questo è il giornalismo che ci piace: meno pubbliche relazioni e più inchieste dalla parte del cittadino. È quello che non ci siamo stancati di chiedere su queste colonne, quando ci siamo permessi di mettere sotto accusa il giornalismo cosiddetto “anglorobicosassone”. Si veda anche quanto abbiamo scritto nel sito http://www.testitrahus.it (negli articoli “Scuola di giornalismo 1, 2, 3 e 4”), riguardo a certe distrazioni e omissioni di notizie, più o meno bagattellari. Si consideri anche che esiste una questioncella di firme difformi del segretario provinciale della Lega nord (ne abbiamo parlato in queste colonne) che aspetta ancora di essere approfondita. Chiediamo meno indifferenza, perché questa sembra essere la tabe che rode il cuore dei giornalisti, in particolare di quelli che intendono bruciare le tappe della carriera: forma anglosassone e contenuto italiota. Di là dalla forma anglosassone, vorremmo che fosse anglosassone anche la sostanza: un giornalismo che, “potendo fare del bene, ma anche potendo fare del male” (questo è il tema del film “Diritto di cronaca”), preferisca fare il bene. Nessuno si offenda se diciamo che il giornalismo può fare il male, talvolta succede. Per minimizzare il rischio, è importante che il giornalismo sappia individuare i “punti di accumulazione del potere”, per usare una metafora matematica, che li descriva, che faccia il lavoro di scavo che si diceva, senza tuttavia esserne attratto. Altrimenti tutti questi discorsi che si fanno sul professionismo, sull’etica, sono aria fritta. I discorsi, diciamo la verità, ci sono venuti a noia. L’etica va vissuta, non fabulata.

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  3. 3

    Gabriel

    Speriamo che la linea del nuovo direttore sia determinata nel rigore etico, come ha mostrato in quel di Como, senza guardare in faccia a nessuno, rigore oggi indispensabile nella vita privata come, soprattutto, in quella pubblica. I commenti riportati in questo sito hanno dimostrato più volte tale ineludibile esigenza.

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  4. 4

    shitward

    Benissimo, apra dunque il (nuovo) direttore dell'Eco di Bergamo il sipario sul teatrino dell'informazione, finalmente.

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  5. 5

    Aristide

    Sostenevo ieri sera, “attovagliato” (come pare oggi si dica) in un ottimo luogo di ristoro, in posizione amena lungo il bordo del Lario, in compagnia di commensali di squisita umanità, che è fin troppo facile per i giornalisti mettere sotto accusa la classe politica, fra l’altro nella modalità scontata per cui un giornalista di sinistra attacca i politici di destra e un giornalista di destra morde i polpacci dei politici di sinistra. Sempre ammesso che si possa ancora parlare di destra o di sinistra. Così com’è facile per un medico denunciare gli scempi urbanistici e per un architetto denunciare la malasanità. Ma perché un medico non c’intrattiene sulla malasanità, facendo presenti i casi che lui ben conosce, e che noi ancora non conosciamo? Oltre che coraggiosa, la sua denuncia sarebbe autorevole. E se non se la sente di esporsi in prima persona, faccia almeno qualcosa perché la sua denuncia arrivi a qualche buon giornalista.

    Qui torniamo al tema del buon giornalismo. Sostenevo – sempre ieri, in postura attovagliata – che grandi, anzi enormi, sono le colpe dei giornalisti, se abbiamo una classe politica della quale ci vergogniamo. I giornalisti sanno tutto di tutti, ma secondo convenienza spesso e volentieri pompano le notizie che vogliono, altre le mettono sotto il tappeto. Naturalmente, non è sempre così. Già sulle pagine di questo giornale internettiano mi è capitato di lodare alcune ottime firme del giornalismo italiano, dando per inteso che non è necessario continuare a far riferimento, con sudaticcio zelo provinciale, al giornalismo anglosassone. Però, diciamo la verità: la tentazione per il giornalista italiano di trasformare la propria postazione di lavoro in un ufficio di import-export è grande, anche perché il controllo sociale sull’operato dei giornalisti è minimo. D’altra parte, la consapevolezza sugli aspetti critici del giornalismo potrebbe maturare nell’animo dei lettori qualora i giornalisti se ne facessero carico. Già, ma qui siamo al solito problema: ‘Quis custodiet ipsos custodes?’ Cioè, chi sorveglierà gli stessi custodi?

    Comunque, proviamo a ragionare in positivo, come si dice nei corsi di formazione per rappresentanti di preservativi. Oggi sul Giornale c’è un articolo di Vittorio Feltri che apparentemente – certamente, anzi – non ha come tema portante il giornalismo, ma che può essere istruttivo come spunto per un discorso sul giornalismo italiano. Si veda: http://www.ilgiornale.it/interni/la_svolta_pdl_e_
    Cose ben più modeste ho scritto io stesso su queste colonne, riguardo al giornalismo anglorobicosassone: qualcuno non le ha gradite, addirittura si è chiesta la censura. Ma da quando in qua la qualità di un argomento si giudica dalla quantità di avversione che esso suscita? O dalla sua “opportunità”? Chi giudica quel che è opportuno, o meno? Con quali parametri di giudizio?

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  6. 6

    franca

    Aristide non vuole diventare un giornalista.

    Aristide dei giornalisti se ne frega.

    Aristide li detesta.

    Aristide preferirebbe non averci niente a che fare.

    Aristide, si è trovato costretto, suo malgrado, a confrontarcisi.

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  7. 7

    Aristide

    No, perché detestarli? Demistificarli, quando sia necessario, cioè quando ci sia mistica, questo sì: basta e ne avanza. Tutt'al più, un invito (con un briciolo di ironia, però) al "penitenziagite!" (<poenitentiam agite = fate penitenza), a mo' di lavacro di qualche peccatuccio, come non si stancava di ammonire Salvatore, già monaco dolciniano, nel 'Nome della rosa' di Umberto Eco.

    Esempi di mistica giornalistica: il professionismo (una bestemmia, se confrontata con il nobile ideale del καλὸς κἀγαθός, roba buona per managerini in carriera, pronti a vendere la madre a un nano), i fatti separati dalle opinioni, il portamento anglosassone, la funzione di filtro esercitata a garanzia dei diritti del cittadino (che escluderebbe pubbliche relazioni, nonché dazioni e ricezioni di favori). Mah!

    E se non vogliono fare penitenza (quelli che dovrebbero farla, evidentemente)? Vuol dire che avranno qualche piccola soddisfazione in termini di denaro e di potere, nel caso, ma non proveranno le delizie di una mente serena, come recita A satisfied mind, stupenda canzone cantata, fra gli altri, da Bob Dylan e Joan Baez:

    How many times have

    You heard someone say

    If I had his money

    I could do things my way

    But little they know

    That it's so hard to find

    One rich man in ten

    With a satisfied mind

    La si può ascoltare nell'interpretazione del sulfureo Jon Cash facendo clic su:
    http://www.youtube.com/watch?v=QphglQu3oL0

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  8. 8

    francesco

    Con il pontificato di Benedetto XVI la comunicazione vaticana ha subito un notevole cambiamento. Poco incline a entrare in rapporto con i giornalisti che seguono il Vaticano, Papa Ratzinger non si fida di nessuno.

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  9. 9

    tommaso

    Poco incline a entrare in rapporto con i giornalisti.

    Non si fida di nessuno.

    Ferreo, algido, ma non per questo meno potente.

    Papa Ratzinger dice e non erra!

    Reply
  10. 10

    Laura Ghilardi

    Trovo che Benedetto XVI sia una dolcissima persona, piena di una fede che trasmette a pelle, tanto che le folle accorrono a Lui, Vicario di Cristo, da ogni luogo della Terra (chiedete in Vaticano: folle notevolmente superiori a quelle pur ingenti del Papa predecessore seguono i Suoi grandi pellegrinaggi e viaggi apostolici, e Piazza S.Pietro, all'Angelus, è sempre colma).

    Detto questo, che lo pone su un piano di chiara superiorità, trovo esatto il rilievo di Tommaso: Lui, il Papa, amatissimo da Nosari, cerca la Verità e la dice da Sé. Non ha quindi bisogno di fidarsi o no di qualsiasi scribacchino. Però, iniziative come quella di Sandro Magisater (Il vangelo della domenica col Papa, in onda su Sat 2000 tv alle ore 17.30 di ogni sabato, programma di raffinata cultura cristiana) le ha autorizzate. Quindi, né fiducia né sfiducia, ma soltanto amore per una Verità detta con parole acconce.

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  11. 11

    lucrezia

    Torniamo ora a Gandola, interpretando quanto sopra osservato: per lui non dovrebbe essere difficile (oppure difficilissimo, visti i tempi che corrono: ci vuole un grande coraggio) mettere in atto quanto promesso. Basta seguire l'esempio e l'indirizzo culturale del nostro Vescovo e, soprattutto, del Papa.

    Reply
  12. 12

    Aristide

    Su Bergamo Info è in corso un dibattito di tono solitamente elevato sulle ragioni della politica e sull'indifferenza etica come causa scatenante delle storture politiche e sociali che siamo soliti denunciare. Ebbene, un buon giornalismo può fare molto per migliorare la situazione di degrado nella quale versiamo. Parimenti, grandi sono le responsabilità del giornalismo. Questa è la pagina più idonea per svolgere considerazioni di questo tipo, che spero possano continuare con il contributo dei valorosi lettori di Bergamo Info.

    Trovo che due nodi del giornalismo, di grande rilevanza etica, siano ai più evidenti — su scala locale, più ancora che su scala nazionale — in particolare ai lettori di Bergamo info, così mi piace credere:

    a) l'indifferenza etica per il male che i giornalisti possono recare ai singoli (questo è il tema del film "Diritto di cronaca", cit.), tanto più perniciosa in Italia, paese di familismo amorale, quando ne sono vittime cittadini destituiti di potere;

    b) la commistione di giornalismo e affari, per cui ogni postazione giornalistica diventa un ufficio di import-export (favori che entrano e favori che escono). Per quanto riguarda l'aspetto commerciale dei favori, ho sostenuto più di una volta che non c'è niente di male nel fare pubblicità, io stesso ho lavorato in pubblicità, all'Olivetti. Ma nel rispetto delle regole: fra l'altro, la pubblicità ben fatta è più efficace.

    Su questi due argomenti ho sempre battagliato (inutilmente, forse: ma che importa?) fin da quando — avevo 27 anni — lavoravo in una multinazionale e avevo preso l'abitudine di liberamente interpretare la denominazione del responsabile aziendale delle pubbliche relazioni: PR, certo, non nel senso delle Public relations, ma nel senso della Putain respectueuse, che è il titolo di una commedia di Jean-Paul Sartre. I miei colleghi non conoscevano la commedia, ma impararono a conoscerla, perlomeno il titolo: la commedia fu rappresentata in Italia con il titolo 'La sgualdrina timorata'.

    Uno dei compiti di quell'uomo PR era inventarsi "eventi" e convegni inutili, che giustificassero con un pretesto scientifico la contiguità fra certi personaggi, servitori dello Stato, e detta azienda. I giornalisti "contattati" dal PR, scrivevano articoli elegiaci, tutto un peana elevato all'alto livello tecnologico, alle nuove frontiere della scienza ecc. Per gli aspetti tecnici si rivolgevano a me, così ho imparato a conoscerli.

    In quell'azienda svolgevo un lavoro tecnico, ero anche pagato molto bene, io con le pubbliche relazioni non c'entravo. Ma preferii dare le dimissioni, dopo qualche anno. Inutile negarlo: non potevo non sapere, mi sentivo responsabile. Se volete, prendete questa narrazione (uso la parola cara a Vendola!) come un esempio di etica vissuta, in alternativa all'etica fabulata.

    Dico la verità: non so se avrei oggi il coraggio di fare questa e simili pazzie, che commisi da giovane. Però ne sono orgoglioso. In ogni caso, sono consapevole del fatto che, con il trascorrere degli anni, viene meno la dimensione eroica, si diventa sempre più vigliacchi, ci si vuole sempre più impiastricciare con lo sterco del demonio: non vedo perché dovrei sfuggire a questa regola.

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  13. 13

    Kamella Scemì

    Grande e bello lo scritto di Aristide. Bello ed emozionante. Soprattutto nella parte di racconto personale. Dibattiamo, allora. Non m’intendo né di stampa nè di pubbliche relazioni, quindi le mie osservazioni potranno facilmente essere “qualunquiste”. La stampa, come la politica, non devono tanto “porsi” il problema etico (da sempre avrebbero dovuto farlo), quanto esso dovrebbe essere posto dai lettori, dagli elettori, dai cittadini, insomma. Cittadini che abbiano in testa e nel cuore princìpi, valori e senso della vita sufficientemente saldi e socialmente coesi, sulla base dei quali indirizzare il proprio pensiero. Inoltre, sufficienti conoscenze, perché senza di esse anche quell’insieme etico rischierebbe di non avere solidi supporti, di franare davanti al presunto “esperto” di ingannevole turno. Aristide, infatti, parla della sua esperienza lavorativa, e ci rivela che proprio la sua altissima preparazione tecnica gli ha consentito di avvertire e svelare l’inganno insito nelle cosiddette pubbliche relazioni. Il primo snodo, dunque, sta, a mio avviso, nella responsabilizzazione dei cittadini, nella loro effettiva partecipazione agli interessi pubblici, nel controllo che dovrebbero esercitare su essi. Oggi tutto questo semplicemente non esiste. Soltanto così avvertirebbero la necessità di guardarsi dentro e trarvi quegli indirizzi eticamente “non negoziabili”, come si dice oggi, necessarii, più che utili, per la società in cui vivono. E comprenderebbero la necessità di essere educati a e istruiti in questo, l’utilità della formazione scolastica, che diverrebbe oggetto di valutazione critica da parte loro.

    Trovo, dunque, che soltanto su tali presupposti potrebbe essere rilevata e sancita “l’indifferenza etica per il male che i giornalisti possono recare ai singoli, tanto più perniciosa in Italia, paese di familismo amorale”. E’ l’esercizio di poteri effettivi quel che manca ai cittadini: se ne fossero dotati, i giornalisti, cittadini anch’essi, non potrebbero che pedissequamente seguire, pur soltanto per tornaconto personale.

    Dunque, la riforma partecipativa, che oggi vedo possibile soltanto sul binario autonomia-federalismo, è base per una riconquista “etica” da parte della società, e non il contrario.

    Cadrebbe anche, meglio, verrebbe messa in grande difficoltà anche “la commistione di giornalismo e affari, per cui ogni postazione giornalistica diventa un ufficio di import-export (favori che entrano e favori che escono)”. Automaticamente diverrebbero inganno, frode, quale nella sostanza essi sono.

    Per quanto riguarda l’aspetto commerciale dei favori, è certo che non c’è niente di male nel fare pubblicità, purché sia fatta nel rispetto delle regole, cioè informando dettagliatamente il cittadino che di pubblicità si tratta: la pubblicità ben fatta, tra l’altro, come dice Aristide, è più efficace. Ma per ottenere tutto ciò serve un popolo che sia effettivamente “sovrano”, nel senso di capace di imporre e sostenere indirizzi socio-politici corrispondenti alla sua inclinazione culturale e di costume.

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  14. 14

    Giuli

    Vedo che anche Kamella concorda con quanto io avevo scritto sia in questo blog che in altri scritti precedenti (il primo risale a quasi venti anni fa).

    La domanda è sempre quella: la società italiana nel suo complesso è in grado di sprigionare la forza necessaria per un suo rinnovamento?

    A mio modo di vedere attualmente non è in grado di farlo, per cui tutti i vizi che la caratterizzano restano esattamente tali e quali, passano immutati da uno scandalo all'altro, sono impermeabili a qualsiasi richiamo etico, ridicolizzano le manifestazioni di dissenso popolare (si veda ciò che succede nella civilissima Val di Susa, dove i giornalisti invece di spiegare le ragioni del dissenso, si limitano a porre in rilievo le incivili attività dei soliti che in questo tipo di situazioni vengono lasciati mestare nel torbido al fine di screditare tutti gli altri).

    Ed allora qual'è la conclusione cui amaramente sono giunta?. Solo un tracollo tipo quello greco o spagnolo (che certo non ci si augura, ci mancherebbe altro) può creare quelle condizioni di paura nella gente che la spingerebbe a una catarsi.

    Differentemente, ditemi voi se da tutto quello di inaccettabile che è avvenuto negli ultimi anni è derivato qualsiasi fenomeno di crescita sociale.

    Per essere più chiara, vorrei dire che gli avvenimenti cui mi riferisco non sono solo quelli di rilevanza penale, ma sono quelle notizie che, riportate dalla stampa, da un lato crocifiggono le persone ancor prima che queste possano difendersi, ricostruendo e organizzando i fatti a proprio uso e consumo, ma dall'altro lato, pur non avendo forse rilevanza penale (non ho studiato gli atti di causa e quindi non posso esprimere valutazioni, per quanto personali), sono indice certo di un inaccettabile valicamento dei limiti che porta chiunque a non darsi limiti pur di raggiungere il proprio interesse e/o di "fregare" l'avversario del momento.

    Che accadrà non lo posso sapere, cosa potrebbe accadere è però sotto gli occhi di tutti, ma nessuno ha la lungimiranza, la capacità e il coraggio di vedere un po' oltre la punta del proprio naso. E l'unico interesse è quello di mantenere il più possibile i propri piccoli o grandi privilegi.

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  15. 15

    Aristide

    «Racconta, non fare il furbo. […] Racconta e non cercare di condizionare gli altri. […] Racconta e non dimenticare dettagli che non ti fanno comodo. […] Il popolo de L’Eco chiede […] soprattutto notizie ed APPROFONDIMENTI». (Le maiuscole sono mie, non potendo usare i corsivi.) Queste parole sono estratte dall’articolo d’insediamento di Giorgio Gandòla, il quale soggiunge, con più che apprezzabile understatement: «Non c’è direttore che nell’articolo di insediamento non scriva che il padrone del giornale è il lettore». Ottimo. Tutto questo c’induce a ben sperare, dopo aver tanto patito. Si fa per dire: conoscevamo i nostri polli, perciò non abbiamo sofferto più che tanto. Tre delle nostre “Scuole di giornalismo” pubblicate su Testitrahus ( http://www.testitrahus.it ) sono dedicate a certe sviste e omissioni dell’Eco di Bergamo, risalenti a più di un anno fa. Ma, lungi dall’essere “indignate”, sono soltanto descrittive, ispirate a un sentimento di pacata e ironica rassegnazione.

    Proprio perché ben professa la propria arte, Gandòla non ci ammannisce la pappetta del professionismo (una forma aggiornata del monito che leggiamo in un sonetto del Belli, poi ripreso dal Marchese del Grillo: «Io so' io, e vvoi nun zete un cazzo»; sa bene inoltre (non solo sa, ma dice: e non è particolare da poco) che ci sono giornalisti che fanno i furbi, perciò ci ricorda in apertura del suo articolo quel monito di Dino Buzzati.

    P.S. – Gandòla è una parola piana, si pronuncia con l’accento sulla penultima sillaba. Nei dialetti lombardi significa “nòcciolo” (parola sdrucciola, da non confondere con il nocciòlo). Deriva da glandùla, pronuncia vernacolare di glàndula, diminutivo del lat. glans = ghianda. In lat. glandŭlae (con la “u” breve, perciò si pronuncia glàndulae) sono le tonsille, piccole ghiande, appunto. Infatti, l’ital. ghiandola deriva dal lat. glandŭla = piccola ghianda. In ticinese esiste l’espressione “Fà mia al gandòla” = non fare lo stupido.

    Segue da quanto si è sopra esposto che, per ipercorrettismo, si potrebbe anche pronunciare Gàndola, alla latina. Ma sarebbe, appunto, ipercorrettismo.

    In occitano invece gandòl(a) significa “tazza”: deriva dal tardo lat. ‘condus’ (attestato nel Du Cange), con il medesimo significato. Secondo alcuni il veneziano gondola ha la medesima origine, altri fanno risalire questa parola al greco bizantino.

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  16. 16

    Aristide

    Leggo adesso il commento di Giuli e mi permetto di fare una postilla. Giuli afferma in sostanza che la società civile è marcia. Perfettamente d’accordo. Sono d’accordo con noi anche i due Massimi: Massimo D’Alema (anche se ogni tanto fa marcia indietro) e Massimo Cacciari (che non ha intenzione di recedere). Però, come ho avuto occasione altre volte di affermare, la putredine degli uni (talora anche la dabbenaggine) non giustifica le furbizie degli altri. Non possiamo dire: quel tale ha un difetto, neanche tu sei esente da difetti, dunque pari siete. Ergo non se ne parli più, mettiamoci una pietra sopra. Quante volte non ho sentito espressioni simili, da parte dei don Abbondio di turno! Eh, no! Vogliamo discutere i difetti.

    Naturalmente, Giuli non voleva assolvere i giornalisti furbi. L’ha detto chiaramente: i giornalisti che omettono di approndire la notizia dei moti in Val di Susa, pur potendolo fare, hanno le loro responsabilità, come pure i giornalisti che scagliano l’anatema su Strauss-Kahn, pur conoscendo benissimo il significato della parola garantismo, anzi sciacquandosene la bocca, all’occorrenza. Giuli esprime la sua sostanziale sfiducia nella capacità nostra di reagire. Ha ragione. La postilla che segue serve soltanto a sbarrare le vie di fuga ai furbetti che vorranno capire come piace loro, a misura delle proprie convenienze, dei propri «piccoli o grandi privilegi», come scrive Giuli. Tra questi furbi si annoverano i giornalisti.

    Giusto per fare un esempio, Tanzi e le sue manovre fraudolente di manipolazione dei prezzi di mercato non può essere messo sullo stesso piano del professore che si è trattenuto i soldi delle tasse che avrebbe dovuto versare, avendo professato qualche ripetizione occasionale. Analogamente, non possiamo porre sullo stesso piano Gad Lerner e il cittadino che s’indigna a comando, quando Gad Lerner lo infiamma di sacro sdegno a proposito della questione Strauss-Kahn. Il probo e ingenuo cittadino fa male a prender fuoco così facilmente, avrebbe dovuto ragionare. Ma mille volte più “colpevole” è Gad Lerner, tanto più che è una persona intelligentissima (sono un ammiratore del Gad Lerner d’antan, anche dell’autore del libro autobiografico ‘Scintille’).

    Mettere tutti sullo stesso piano è sbagliato, sono sicuro che Giuli ne converrà, è un errore di definizione troppo ampia, oltre che frutto di un ragionamento sottinteso (tecnicamente, un “entimema”) che vìola le leggi del ragionamento corretto.

    Conclusione: le bùbbole sulla società civile non ci fanno un baffo, neanche quello di D’Alema, che è d’accordo con noi, ma i giornalisti devono smetterla di fare i furbi. Sic Glàndula locutus est. (Questa volta la parola è sdrucciola.)

    Reply
  17. 17

    Kamella Scemì

    Perfettamente d'accordo con le surriportate osservazioni di Giuli e Aristide: i loro ragionamenti, in larga parte complementari, non fanno una piega, come si usa dire. Per parte mia, però, avevo detto nel mio precedente intervento una cosa diversa: cioè che, nell'assenza dell'esercizio della forza morale di rinnovamento da parte di un popolo che non può nemmeno manifestare d'averla (ma c'è, è insita nella natura umana), perchè interesse dei potenti è il "divide et impera", essa può essere richiamata alla luce mediante (e non soltanto, sia ben inteso) la partecipazione alla e il controllo della vita pubblica. Cioè, anche di fatto, lasciando pure che invidia e curiosità abbiano un certo rilievo, è necessario che sia facile per i cittadini accedere almeno a tali controlli. Questo è già fin d'ora possibile, coi mezzi elettronici a disposizione, e solleverebbe immediatamente nella mente e nel cuore di tutti il problema etico, qualunque ne sia l'impostazione. Indicare simile traguardo potrebbe essere l'esercizio di opinione, fine di questo giornale, che costringerebbe i potenti a concedere qualcosa in tal senso, quel qualcosa che sarebbe l'inizio di una frana per per lo stesso aberrante dominio dei politicanti e dei loro manutengoli. Questo, come metodo di lavoro, proponevo. E' chiaro che collide con gli interessi dei potenti di turno, locali o nazionali che siano. Ma il loro stesso tipo di organizzazione consente varchi di questo tipo.

    In caso contrario, non c'è che la catarsi paventata (e sempre più probabile) oppure un lento adagiarsi della società sui vizi che la caratterizzano, approfondendoli e incancrenendoli, fino alla catarsi finale, appunto. La proposta preventiva di cui sopra è nel solco del contrasto a tale deriva, non necessariamente inevitabile.

    Reply
  18. 18

    venceslao

    SANTA SEDE

    Il Papa: nei media anche le "buone notizie"

    È importante per i media "registrare i problemi sociali riportando di conseguenza i fatti, anche gli aspetti negativi, causati spesso dal progressivo allontanamento dai valori umani e cristiani", ma è necessario che essi diffondano con altrettanto impegno anche "le notizie positive e incoraggianti che non mancano nel nostro mondo, ma che il più delle volte non hanno un adeguato spazio giornalistico". Lo ha rilevato il Papa nel breve discorso rivolto oggi a giornalisti e poligrafici dell'Osservatore Romano che compie 150 anni e che lo sforzo di offrire ai lettori anche le buone notizie lo attua da sempre, pur senza fare sconti nelle denunce sui temi sociali.

    "Mediante la vostra opera quotidiana, nascosta e non priva di fatica, voi – ha detto il Papa al direttore Giovanni Maria Vian e a tutti i suoi collaboratori – date vita a questo singolare mezzo di comunicazione che si pone al servizio del ministero del successore di Pietro, per portare uno specifico contributo alla diffusione del Vangelo e alla testimonianza alla verità". Infatti "diffondendo gli insegnamenti del Papa, informando sulla sua attività e su quella della Curia Romana, e facendosi eco della vita cattolica nel mondo, l'Osservatore Romano aiuta i fedeli a considerare i problemi del momento alla luce della parola di Cristo e del Magistero della Chiesa e nella costante attenzione ai segni dei tempi".

    Per il Papa teologo, la redazione dell'Osservatore Romano, dunque, "non è solo una officina, è soprattutto un grande osservatorio, come dice il nome; osservatorio per vedere le realtà di questo mondo e informare noi su queste realtà" che "riflettono sia le cose lontane che quelle vicine". In questa ottica, ha aggiunto parlando a braccio, "uno dei grandi vantaggi dell'Osservatore Romano" è poter offrire "un'informazione universale che realmente vede il mondo, e non solo una parte". "Nei giornali normali – invece – si informa, ma con una preponderanza del proprio mondo che fa qualche volta dimenticare molte altre parti di questa terra che sono non meno importanti". "Qui si vede – ha rilevato BenedettoXVI nel discorso trasmesso dalla Radio Vaticana nel suo radiogiornale – qualcosa di questa coincidenza di 'urbis et orbis' che è caratteristica della cattolicità, in un certo senso anche una eredità romana: realmente, vedere il mondo e non solo se stessi".

    Ancora, ha proseguito il Papa, "l'Osservatore Romano si occupa delle cose lontane" anche in un altro senso: non rimane nella superficie degli avvenimenti, ma va alle radici: oltre la superficie, ci mostra le radici culturali, il fondo delle cose". "È per me – ha confidato Joseph Ratzinger – non solo un giornale, ma anche una rivista culturale. Ammiro come sia possibile ogni giorno darci grandi contributi che ci aiutano a capire meglio l'essere umano, le radici da cui vengono le cose e dove sono comprese, realizzate, trasformate". Ma il quotidiano vaticano "vede anche le cose vicine", il "nostro piccolo mondo che tuttavia è un mondo grande".

    da http://www.avvenire.it

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  19. 19

    Giuli

    Carissimi i miei amici che si confrontano in questo blog, quanto è bello scontrarsi, confrontarsi, dissentire, in poche parole scornarsi per poi magari incontrarsi all'osteria (se possibile non virtuale) e sfottersi. Però sfottersi tra persone che amano mettersi in discussione, arrivare magari alla scena teatrale di porsi faccia a faccia urlando quanto sbagliata sia l'opinione dell'altro e giusta la propria, per poi accorgersi da un particolare che l'avviso dell'altro è effettivamente corretto e ridere delle proprie incongruenze.

    Ciò per dire che dalla lettura delle parole del Santo Padre riportate sopra, scopro quanto vitale e forte possa essere la visione di un uomo di 84 anni guidato dalla grazia di Dio. Molto più vitali ed ottimiste delle mie, così chiuse su di una percezione della realtà ristretta alla realtà nazionale.

    Però, in effetti anch'io che sono stata in Austria, in Tirolo, nel fine settimana una differenza l'ho notata: ho visto il sorriso sul viso della mia amica Elvira e di suo marito Rudolph che ha 81 anni e tanti acciacchi, sorriso che vedo raramente sugli italici visi. In altre parole, mi son detta, cara Giuli cerca di capire che il tuo piccolo mondo può essere grande, supera il tuo pessimismo e agisci per il bene (familismo morale) dei tuoi figli e se non lo trovi qui ricordati che sei cittadina del mondo, che sai costruire rapporti umani che esulano dalla nazionalità, per cui realizza te stessa e le tue aspettative laddove nel mondo ti è dato di farlo.

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  20. 20

    Matteo

    La Chiesa e L'Eco festeggiano gli eroi della UBI e della CCIAA ?
    Non vorremmo che le speranze riposte nel nuovo Vescovo andassero su per il camino …
    Certo che sembrano tutti grandi amici … forse troppo….

    Reply
  21. 21

    Franco

    Queste foto tratte da Bergamo.News sono inquietanti: http://www.bergamonews.it/gallerie/index.php?id=4
    Non mi dite che Chiesa, Media e Finanza sono di nuovo compagne di merende …

    Reply
  22. 22

    Mauro

    Nelle foto di Bergamo.News alla festa di S. Alessandro ho osservato con molta apprensione la confidenza tra i nuovi vertici dell L'Eco, Zanetti e C.
    http://www.bergamonews.it/gallerie/index.php?id=4

    Il timore che Media, Chiesa e finanza a Bergamo viaggino ancora a braccetto è veramente forte !!!!
    Se fosse come sembra siamo ancora fottuti !!!!

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