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9 Comments

  1. 1

    Equizio da Pulsano

    Gli apostoli parlano la lingua di tutti e tutti li capiscono: è un miracolo della chiarezza di pensiero e della pulizia del cuore desideroso di accostarsi agli altri.
    Oggi magari abbiamo studiato più lingue, ma non riusciamo più nemmeno a comprenderci fra omoidiomatici, perché al linguaggio corrente non è prevalentemente sottesa una linea di pensiero. Il pensiero non può mai essere disgiunto dalla fede cristiana, e molti cristiani sembrano averlo dimenticato.

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  2. 2

    Quirico delle Murge

    Credo che il miracolo delle lingue sia perfettamente realizzabile anche oggi, sempre che lo si voglia. Volendo, soprattutto, essere cristiani. Intendersi non è cosa difficile in sé; occorre, però, avere princìpi e valori comuni e /o condivisi, almeno quelli essenziali, e una visione della vita che sia almeno compatibile. E, riguardo a tutto ciò, sapervi riflettere. Oggi, dai vari dibattiti, anche nella nostra Chiesa, traspare troppo spesso una sicumera, quando non un’arroganza, un’ineleganza del linguaggio e una vuotezza di significati, dati spesso per presupposti nella loro vacuità, che rendono impossibile fin dal suo sorgere ogni possibile dialogo. È di moda dire che si è capaci di spiattellare in faccia la verità, anche se sgradevole: oltre al fatto che questo non è un comportamento cristiano, perché c’è modo e modo e tempo e tempo di dire le cose, in realtà a monte si dà per assodato d’essere portatori di verità assolute o quasi. E questo significa contrapporsi, fino a esserne sradicati, a quel benefico vento impetuoso…

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    1. 2.1

      Goffri

      Rispondo a Equizio e a Quirico.
      Il problema posto del linguaggio universale, suscitato dallo Spirito e del dialogo con chi non è cristiano è sempre impegnativo essenzialmente per due motivi. Il primo dipende dalla nostra esperienza di fede, dalla nostra conversione a Cristo. Essa consiste in una profonda trasformazione interiore, che ci è illustrata dal discorso della Montagna di Gesù, riferitoci da Matteo nei cap. 5-7 del suo Vangelo. Esso inizia con le beatitudini. Noi cristiani non finiremo mai di meditare e confrontarci su queste parole, che ci illustrano principi di vita e ci indirizzano nelle nostre scelte concrete che spetta a noi prendere ed attuare. Da questo punto di vista è illuminante la parabola del buon samaritano che soccorre il viandante ferito. Il cristiano veramente tale non millanta la fede e non ne fa un motivo di vanto, ma la avverte come una grande responsabilità, perché se ne sente indegno ed avverte l’insufficienza della sua risposta alle parole e all’esempio di Gesù, che da Primo si è fatto ultimo e servitore di tutti. Chi onestamente può dire di essere all’altezza?
      In secondo luogo il dialogo con la società del proprio tempo deve affrontare la sua cultura. Il Concilio Vaticano II ha parlato dei segni dei tempi, cioè di fenomeni che riguardano la storia umana nel suo evolversi. Essa non deve diventare oggetto di un rifiuto preconcetto, ma essere valutata con il discernimento, categoria che suppone l’esercizio dell’intelligenza umana e della sapienza evangelica. Il discernimento ci permette di distinguere meglio ciò che vi è di positivo e di negativo nelle idee del mondo di oggi. Non è una novità. Le migliori epoche della storia cristiana hanno conosciuto teologi che hanno valorizzato la cultura, o almeno alcuni elementi della cultura cresciuta al di fuori del cristianesimo. Così hanno fatto nei primi secoli i Padri della Chiesa con S. Agostino e S. Tommaso d’Aquino nel Medio Evo. Questo dialogo con la cultura è stato fonte di arricchimento, anche se non tutto è stato accettato, perché incompatibile con il Vangelo. Se c’è stato uno sbaglio nei tempi moderni è stato quello di non continuarlo in modo adeguato. Il problema è stato riproposto dal vaticano II e costituisce per noi un compito molto impegnativo, che dobbiamo affrontare come Chiesa, non solo come singoli. Un po’ più di cultura non guasterebbe.

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  3. 3

    Ernestina Maria Ghilardi

    Segnalo l’impossibilità di inviare i commenti come al solito. Facebook non va e taglia le frasi. Tin e Alice non vanno.

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    1. 3.1

      Bergamo.info

      In effetti abbiamo finora ricevuto commenti incomprensibili, salvo i due di cui sopra, o frasi smozzicate. In numero di ventotto. Si prega di reinviare.

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  4. 4

    Ernestina Maria Ghilardi

    Spero che adesso si legga.
    Non ho ben capito cosa significhi far morire le opere della carne per mezzo dello Spirito che ci è stato donato.
    Se non ci sono le opere, lo Spirito su cosa incide? La fede deve necessariamente estrinsecarsi in opere, altrimenti resta solo un fatto intimo, con le conseguenze che vediamo oggigiorno.

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    1. 4.1

      Goffri

      Le opere della carne sono quelle cattive e ispirate dalla superbia e dalla passione, sono appunto i peccati, le colpe. Lo Spirito suscita in noi opere buone. Il vero spirituale si riconosce appunto dalle opere spirituali

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  5. 5

    Lucia Sansiro

    Non abbiamo ricevuto uno spirito da schiavi che ci fa cadere o ricadere nella paura, ma uno spirito di verità e libertà che ci consente di chiamare Padre il nostro Creatore.
    Dono stupendo che il Male personificato ci impedisce di godere: in realtà oggi sembra che tutte le strutture sociali vogliano schiavizzare l’uomo, piombandolo nel tetro buio della paura, rendendolo gregge anonimo al servizio degli dei del denaro e del potere. Non è il caso di pensare alla ribellione?

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    1. 5.1

      Goffri

      Vedi risposta a Equizio e Quirico

      Reply

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