Autore

Luca Allevi

Dottore commercialista, pubblicista. Partner Leaders e del network Gruppo 24 Ore. Magistrale Economia Bocconi e Master RE NY University. Ha lavorato in Pizzarotti, Essex Capital NY e Avalon RE. Cell. 338-378.57.65 luca.allevi@leaders.it

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12 Comments

  1. 1

    Karl Heinz Treetball

    Vedi commento n. 3 all'articolo su Orio.

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  2. 2

    Aristide

    I VOTI (NEL SENSO DI FERVIDI DESIDERI) DEI BERGAMASCHI

    Mi associo ai voti fatti da tutti i bergamaschi perché la nave ammiraglia del giornalismo orobico imprima una svolta all’andazzo mesto dell’informazione e della non-informazione nella «terra che ’l Serio bagna e ’l Brembo inonda».

    Non è una questione di schieramento politico, è una questione – direi – di serietà. Ne so qualcosa io, che mi vidi pubblicato l’indirizzo di casa (e che in conseguenza di ciò ebbi qualche molestia), a stretto giro di posta, dopo che un politico territoriale mi ebbe denunciato per diffamazione (ma il denunciatore fu condannato a pagare le spese processuali). Era proprio necessario? E come devo chiamare quel giornalismo: è quello giornalismo d’inchiesta?

    I lettori di Bergamo Info sanno – forse – quanto mi stia a cuore una sterzata del giornalismo bergamasco verso un’adesione sincera ai principi della deontologia del giornalista. In ogni caso, di là dagli aspetti giuridici ed etici, che non sono di poco conto, non vanno trascurate le stesse questioni di stile, la cui mancanza spesso nasconde questioni di non poca sostanza.

    Sarò breve, consapevole del fatto che quando tocchi certi tasti puoi essere accusato di tutto: un uso parsimonioso delle parole offre meno appigli a deliberato travisamento delle medesime. Dirò dunque che quello di cui si ha bisogno, quello di cui ha bisogno Bergamo, quel che postula la sua crescita morale e civile, oltre che economica, è un giornalismo d’inchiesta abbracciato con ardore da giornalisti con la schiena diritta nei rapporti con i rappresentanti politici (o dovrei dire con i rappresentanti della politichetta?) e con i potentati economici. Parimenti vorremmo meno approssimazione, meno retorica, meno pubbliche relazioni, meno familismo.

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  3. 3

    chrnonicus

    …. ma i giornalisti hanno voglia o sanno fare il giornalismo d'inchiesta?…E per di più a livello locale? Glielo lasciano fare?…. Ho qualche dubbio, ma siamo fiduciosi!

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  4. 4

    volandro

    Credo, meglio, voglio sperare che i nostri pur bravissimi giornalisti molto abbiano appreso dalle critiche e dalle osservazioni comparse su Bergamo.info in questi tempi. Forse hanno capito che una nuova stagione si apre anche per loro, non più soltanto appiattita nel sostegno al potente di turno, economico o politico che sia. La gente è incazzata e abbina sempre più politica corrotta a stampa comprata…

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  5. 5

    Aristide

    UNO STUDIO SULLO STATO DEL GIORNALISMO ITALIANO
    Premessa – È possibile che qualcuno consideri esagerate le mie affermazioni riguardo ai giornalisti italiani, in particolare riguardo a quelli orobici. Mi rendo conto che si potrebbe dire: “Poiché tu hai subito un torto dal giornalismo anglorobicosassone, hai il dente avvelenato, dunque non sei attendibile”. Ma è un ragionamento sbagliato. Potrebbe funzionare, l’argomento del dente avvelenato, tutt’al più nella ricerca delle cause, qualora io dicessi cose non vere. Allora sì, si potrebbe dire: “Tu menti. Qual è la causa perché tu menti? Chiaro, hai il dente avvelenato”.
    Ma prima di dire ch’io mento, bisognerebbe dimostrare che ho mentito. E non solo riguardo al torto subito (che nell’argomento precedente si dà per vero): dovrebbe altresì essere mendace il ricordo delle esperienze che ho maturato recentemente, testimoniate in quattro “Scuole di giornalismo” pubblicate su http://www.testitrahus.it . Però, dopo aver letto la ‘Scuola di giornalismo / 1’, qualcuno mi dimostri che la tecnica del tramezzino è un parto del mio cervello. Eh no! La tecnica del tramezzino è ben nota: è precisamente la tecnica (una delle tante) utilizzata da certi giornalisti per orientare l’informazione nella direzione preferita.
    Oppure si veda la ‘Scuola di giornalismo / 2’, dove si argomenta come una tecnica per mettere in buona luce qualcuno e in cattiva luce qualcun altro sia quella, precisamente, di negare l’informazione, certa informazione. Come afferma la giornalista (pentita) nel film ‘Diritto di cronaca’: «Posso fare male a qualcuno, o posso non farlo. Nessuna regola. Io… soltanto io».
    Infine, nella ‘Scuola di giornalismo / 3’ e nella ‘Scuola di giornalismo / 4’ sono affrontate la questione del diritto di replica e quella dell’informazione mutila.
    Vi risparmio gli episodi di pericolosa commistione di giornalismo e pubbliche relazioni dei quali fui testimone al tempo in cui prestavo la mia opera a imprese industriali, a Milano e Bergamo. Meglio dimenticare, tutto sommato.

    Ma ecco che cosa risulta da un’indagine commissionata tre anni fa dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia: secondo gl’italiani i giornalisti sarebbero spesso incompetenti, poco veritieri, di parte, malati di protagonismo. Eppure il ruolo del giornalismo è ritenuto fondamentale, dunque c’è una sentita richiesta di buon giornalismo. Poiché «il giudizio sociale sui giornalisti è in continuo peggioramento», non c’è ragione di ritenere che la situazione sia migliorata, da tre anni a questa parte. Dunque i dati che leggiamo qui di seguito, per quanto sconfortanti, devono essere interpretati come valutazioni ottimistiche.
    Ecco il testo di un servizio mandato in onda dal canale televisivo ‘La 7’, nell’ottobre 2008 (si veda: http://tg.la7.it/cultur/video-i331103 ):
    «Per gl’italiani i giornalisti sono bugiardi. Lo ha rivelato un sondaggio eseguito da Astra Ricerche con interviste telefoniche su un campione di duemila persone. Tra queste il 68% ritiene che i giornalisti non dicano il vero, il 60% pensa che siano poco informati, il 52% che non siano indipendenti. L’indagine, presentata in un convegno dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, rivela però che secondo l’opinione pubblica l’informazione è indispensabile: il 38% considera altissima l’utilità del giornalismo, per il 16 % è alta, per il 19% media. Secondo l’autore della ricerca Enrico Finzi, il giudizio sociale sui giornalisti è in continuo peggioramento».
    Trascrivo da una sintesi del medesimo studio, pubblicata su ‘Liberazione’:
    «Astra Ricerche ha chiesto anche da dove dovrebbe partire una rivoluzione del settore, quali dovrebbero essere le doti fondamentali del buon operatore dell’informazione. Il 90% degli italiani è concorde sull’imprescindibilità della “competenza tematica”, derivante dalla specializzazione settoriale o dal metodo di lavoro. Il 79% del campione reclama maggiore “professionalità e il corretto utilizzo del know-how”. Il 77% vuole più chiarezza nell’esposizione degli argomenti trattati. […] A differenza di quanto richiedono le logiche del mercato e dello star-system, non sembra ci sia bisogno di giornalisti “personaggi”. Anzi, la loro simpatia o antipatia non interesserebbe a nessuno: “meglio leggere bene che leggere chi è simpatico” è l’opinione della stragrande maggioranza degli italiani».

    Mentre rendiamo atto ai giornalisti del programma televisivo ‘La 7’ e del quotidiano ‘Liberazione’ di aver correttamente riportato i risultati dell’indagine svolta da Astra Ricerche, osserviamo che gli stessi giornalisti hanno peccato di superficialità. Perché si sono limitati a riportare i risultati della società di ricerche? Non potevano scavare dentro la notizia, approfondire, ragionare? Commentare non è un reato, anzi: è perfettamente contemplato dalla “regola delle 5 W” del giornalismo anglosassone (alla voce “Why?”), sulla quale ci siamo soffermati altrove, in questo sito.
    Ecco il commento che, a nostro parere, mancava: il fatto che gl’italiani pensino male del giornalismo non significa, a rigore, un bel niente. Gl’italiani potrebbero sbagliarsi. In realtà, il giornalismo del Bel paese potrebbe essere il giornalismo migliore del mondo. Oppure potrebbe essere peggiore di quello che essi ritengono.
    Il problema è: ma quanto sanno gl’italiani del giornalismo, a parte il fatto che tutti conserviamo memoria, per esempio, di Bruno Vespa il quale non ebbe ritegno ad affermare che il suo “editore di riferimento” era la Democrazia cristiana? Come pure non ci siamo dimenticati dell’intervista di Minoli (oggi in quota progressista), in ginocchio, a Bettino Craxi. Ecc. ecc.
    Sono portato a ritenere che gl’italiani abbiano un’idea veridica della sudditanza dei giornalisti politici nei confronti dei politici, questo sì. Ma quanto al sottobosco delle pubbliche relazioni, quello che gl’italiani riescono a intuire è soltanto la punta dell’iceberg. Per questo penso che gl’italiani, se sapessero, darebbero del giornalismo di casa nostra una valutazione ancora peggiore. Questo è il mio commento.

    P.S. – Questo è il diciannovesimo intervento in questo sito dedicato al giornalismo italiano e anglorobicosassone. Insieme con le quattro ‘Scuole di giornalismo’ pubblicate su Testitrahus, c’è di che scrivere un piccolo pamphlet. Certo, bisogna montare i testi, limare, aggiungere, argomentare meglio, produrre ulteriori esempi. Però la materia di base c’è.

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  6. 6

    Aristide

    Rispondendo a Chronicus, a mio parere il giornalismo d’inchiesta, a livello locale, è possibile, possibilissimo. Basta volerlo. Quanto all’esserne capaci, bisognerebbe sgomberare la mente dagli idòla che il filosofo Bacone (Francesco, non Ruggero) ci ha illustrato.

    Insomma, basta con il giornalismo prono ai comunicati stampa (che hanno preso il posto delle “veline” del Minculpop), cedevole agl’incantamenti delle pubbliche relazioni, servizievole nei confronti dei politici affermati (a livello nazionale) e dei politici rampanti (a livello locale), ossequioso nei confronti dei potentati economici e, in generale, disponibile ai consigli per gli acquisti.

    Come esempio di giornalismo d’inchiesta si veda in questo sito l’articolo sul lavoro che non c’è (Quelli che cercano lavoro…) e il secondo commento, in https://www.bergamo.info/economia/quelli-che-cerca….
    Fra l’altro, fare giornalismo d’inchiesta (in alternativa al giornalismo velinaro e di pubbliche relazioni) a livello locale è molto più facile che a livello nazionale.

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  7. 7

    il pistolero stanco

    Tante "coperte" si sono usate in questi ultimi anni che basta scostare un po' il tappeto per trovarci non solo materia di inchiesta, ma anche il "corpo di reato", nel senso giornalistico del termine. Basta aver voglia di scostare il tappeto, però!

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  8. 8

    Max

    Mi si dice che Gandòla non sia semplicemente uno yesman ma abbia una sua personalità che autonomamente farebbe valere. Se è così, va bene, anche soltanto perchè non è bergamasco e può guardare dal di sopra la realtà bergamasca, per troppo tempo oggetto di osservazione dal solo buco della serratura verdellese.

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  9. 9

    shitward

    Non è che lui (il giornalista) prima vede e poi definisce; lui prima definisce e poi vede (nel summenzionato caso, s'intende).

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  10. 10

    Clodoveo

    L'editore Sesaab ha comunicato che, con il giornale di venerdì 1° luglio, Ettore Ongis lascia la direzione de «L'Eco di Bergamo». Lo sostituisce Giorgio Gandola, dal 2006 direttore «La Provincia» di Como. Ecco il saluto di Ongis dopo 11 anni e mezzo:

    «È un mestiere bello e complicato guidare un giornale. Le soddisfazioni sono tante, i grattacapi pure. A Bergamo ancora di più. Io ho avuto il privilegio di dirigere L'Eco per un lungo periodo – undici anni e mezzo, quasi 4200 giorni – ed è giunto il momento di passare la mano».

    «Le cose, come spesso accade, sono più semplici di quanto si pensi: la proprietà ha deciso di cambiare rotta e, di conseguenza, di affidare ad altri il timone. Al collega e amico Giorgio Gandola, che da oggi prende il mio posto, auguro di cuore ogni bene».

    «Ho riflettuto molto su cosa scrivere in questa occasione. È l'ultima e non voglio sprecarla. La conclusione a cui sono arrivato può sembrare la più prevedibile, ma la vita mi ha insegnato a non darla mai per scontata: dire grazie».

    «Grazie agli editori, in primis al nostro vescovo monsignor Beschi, e ai giornalisti; agli amministratori e soprattutto a voi, cari lettori. Inutile nascondere che nel lasciare l'incarico un po' di tristezza c'è, ma è talmente tanto quello che ho ricevuto, sia dal punto di vista professionale che umano, da compensare qualsiasi amarezza».

    «Conoscere Andrea Spada e imparare da lui il valore di un giornale locale; dialogare e farsi correggere dal compianto vescovo Amadei – con il quale ho condiviso un bel pezzo di strada e che occupa un posto speciale nella mia memoria -; confrontarmi, a volte anche duramente, con le istituzioni, con amministrazioni di diversi colori e con i poteri forti della nostra splendida città, sono stati aspetti nello stesso tempo impegnativi e affascinanti del mio lavoro».

    «Ma entusiasmante è stato anche incontrare e riuscire a dare spazio – tra le mille cattive notizie che un giornale per sua natura è costretto a pubblicare – a vicende e a persone comuni di vera umanità di cui la nostra terra è, grazie a Dio, ancora ricca».

    «Ogni bergamasco, o quasi, considera L'Eco parte integrante del patrimonio personale, come fosse un'icona della città, un po' come il profilo di Città Alta o l'Ospedale. Valorizzare e difendere questa preziosa eredità e farla viaggiare al passo con i tempi è stato l'obiettivo principale mio e della redazione».

    «In questi anni abbiamo fatto il possibile per migliorare il giornale nei contenuti e nella grafica, ammodernarlo e lanciarlo sulle nuove piattaforme multimediali, e per mantenere quei margini di libertà e di dignità indispensabili per svolgere al meglio la nostra professione in tempi difficili».

    «Consapevoli di dover offrire un servizio al territorio, abbiamo voluto bene a Bergamo, alla sua gente e alla sua Chiesa, partendo da una dimensione di laicità positiva. E abbiamo cercato di non restare alla superficie delle cose ma di lasciarci interrogare, al di là dei pregiudizi ideologici, dalla realtà così com'è: nella politica e nell'impresa, nella famiglia e nell'immigrazione».

    «Tutto questo nella prospettiva di aprire un confronto e un dialogo pluralista con le diverse sensibilità della nostra terra. È chiaro che errori, piccoli o grandi, sono stati commessi, ma vi posso garantire che è accaduto in buona fede. In ogni caso, a chi si è sentito offeso o ferito per ciò che possiamo aver detto, o taciuto – che non fosse la verità – chiedo personalmente scusa».

    «Un saluto speciale voglio rivolgere ai "miei" giornalisti, con cui ho condiviso una comune passione, tanti sacrifici e un tempo infinito. E senza i quali, ovviamente, la mia avventura non sarebbe stata possibile. Un grazie particolare al vicedirettore Franco Cattaneo, alla cui professionalità e alla cui lealtà devo moltissimo».

    A tutti gli "ormai ex" colleghi un grande, grandissimo in bocca al lupo: con l'aria che tira nel mondo dell'editoria ne hanno davvero bisogno. E non voglio dimenticare i collaboratori e i poligrafici, il cui contributo è stato e continua ad essere determinante per la realizzazione di un prodotto di qualità. Senza di loro non avremmo vinto (possiamo ben dirlo) le difficili sfide combattute in questi anni».

    «Il grazie finale è per tutti voi, cari lettori del giornale cartaceo, del web – che è stato un incredibile successo – e dell'informazione di Bergamo Tivù. Vi saluto uno a uno, contando fino a 600 mila, tanti si calcola siano quotidianamente i lettori, i visitatori del sito e gli spettatori. Ho imparato davvero molto dalle vostre lettere, dalle critiche, dagli incoraggiamenti, dai suggerimenti».

    «Perfino il vostro silenzio, come nel drammatico caso di Yara, mi è servito a capire che il miglior giornale non è quello che si parla addosso, ma quello che lascia parlare (o sussurrare) i fatti e giudica a partire da essi. "L'uomo ragionevole", diceva il filosofo Jean Guitton, "è colui che sottopone la ragione all'esperienza". Vale anche per un giornale, la cui vera forza è essere una finestra aperta sulla realtà, non uno specchio in cui riflettere esclusivamente se stessi o le proprie idee».

    «Sottolinearlo oggi, in una stagione nella quale i mezzi di comunicazione possono condizionare l'opinione pubblica con una prepotenza mai vista prima, è importante per la libertà di ciascuno. Buona fortuna a tutti (e un po' anche a me). E forza Atalanta».

    Ettore Ongis

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  11. 11

    Clodoveo

    Il comunicato del Comitato

    di redazione de «L'Eco di Bergamo»

    «L'Eco di Bergamo» dall'edizione di sabato 2 luglio cambia direttore. La comunicazione dei rappresentanti dell'editore non giunge inaspettata: la notizia, che l'azienda non ha mai voluto smentire ufficialmente, così come inspiegabilmente non ha mai voluto commentare in sede sindacale, era stata infatti anticipata in tutti i suoi aspetti esattamente un mese fa da altri mezzi di informazione.

    A Ettore Ongis, che da oggi lascia il nostro giornale, va dato atto di come, in questi ultimi 11 anni e mezzo, sia riuscito a rendere «L'Eco di Bergamo» un quotidiano sempre più al centro della vita dei bergamaschi. Un giornale capace di interpretare in ogni «nuova stagione» il bisogno d'informazione dei nostri lettori con un prodotto di qualità, capace di innovarsi nel rispetto e nella conferma della ultra centenaria tradizione di serietà e autorevolezza, propositivo nelle sue iniziative sempre volte alla crescita editoriale e, conseguentemente, occupazionale.

    Gli va altresì riconosciuto, seppur non siano mancati momenti anche di forte tensione, un rapporto franco e sincero con la rappresentanza sindacale e l'impegno alla valorizzazione dell'occupazione professionale dei giornalisti, in particolare delle giovani leve.

    Al direttore Ongis va il più sincero ringraziamento del C.d.R. e dei colleghi della redazione e i nostri migliori auguri per le nuove sfide professionali che lo attendono e per un futuro ricco di soddisfazioni . Per la direzione de «L'Eco di Bergamo» la scelta dell'editore è ricaduta sul collega Giorgio Gandola. Al neodirettore, che negli ultimi cinque anni ha diretto il secondo quotidiano del nostro gruppo Sesaab, «La Provincia» di Como, vanno la stima e l'apprezzamento del C.d.R. e della redazione de «L'Eco di Bergamo».

    Dispiace solo che non si sia riusciti a individuare una «strada interna» viste le qualità professionali esistenti. A Giorgio Gandola l'augurio di tutti noi per un proficuo lavoro, in una sfida professionale che – ne siamo sicuri – si rivelerà stimolante e affascinante e che ci vedrà al suo fianco con la certezza fin da subito, nel rispetto reciproco dei ruoli, di un rapporto onesto e franco indirizzato in ogni istante all'obiettivo di continuare a migliorare il nostro prodotto editoriale e alla valorizzazione delle qualità, delle capacità e delle professionalità della redazione.

    Il Comitato di Redazione

    Reply
  12. 12

    max

    Certo che dopo lo pseudo articolo de L'Eco di Bergamo su Assimpresa (gestito abilmente dal tandem Ongis – Ravaschio), solo Bergamo.info poteva essere così pluralista da consentire il commento della redazione del L'Eco.

    Forza Giorgio Gandola !!!!!!

    I lettori di Bergamo.Info sono con te !!!!

    Sì, in effetti è stata per lo meno strana e stridente la diversità fra il comportamento tenuto sul posto quel pomeriggio e il contenuto del successivo articolo: forse è stato l'ultimo lascito di qualcuno. Ma noi siamo pluralisti e vogliamo esserlo: solo così, poi, si possono dire e raccontare certe cose… Bergamo.info

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