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Giuseppe Allevi

Dottore Commercialista, Revisore dei Conti e pubblicista. Partner Finanza Olistica S.r.l. (consulenza aziendale e gestione patrimoniale)

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3 Comments

  1. 1

    ALESSANDRO TROCINO

    L’inquinamento atmosferico, sostiene la London Review Of Book, uccide molto di più e ne sentiamo parlare molto meno: «Nel 2017, uno studio di Lancet ha fissato la cifra a quasi sette milioni all’anno, circa due terzi dall’inquinamento atmosferico esterno e un terzo dall’inquinamento domestico interno. Stime più recenti sono più alte, con ben 8,7 milioni di morti ogni anno attribuibili solo al particolato esterno prodotto dai combustibili fossili. Aggiungete l’inquinamento interno e otterrete un pedaggio annuale di più di dieci milioni. Questo è più di quattro volte il numero ufficiale di morti in tutto il mondo a causa di Covid l’anno scorso. È circa venti volte il numero attuale di morti annuali per guerra, omicidio e terrorismo messi insieme».
    Di più: «L’inquinamento atmosferico uccide ventimila persone in un giorno medio, più di quante ne siano morte in seguito a tutte le fusioni nella storia del nucleare: Chernobyl, Three Mile Island, Fukushima e tutti gli altri messi insieme. Se la pandemia ci ha così terrorizzato che miliardi di noi si sono ritirati in bozzoli di panico per mesi, cosa può spiegare o giustificare la nostra cecità e indifferenza verso i dieci milioni di vite finite ogni anno per l’inalazione ripetuta di smog?». Perché, allora, questa indifferenza? Perché, spiega la rivista, «quando parliamo di morte vogliamo sempre vedere un assassino». E qui il killer è invisibile. Se vedi una persona investita da un folle, non te ne dimentichi più. Quello stesso giorno migliaia di persone moriranno per smog e altre cause e tu non ci farai caso.

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  2. 2

    Corsera

    Riportiamo l’articolo di Elena Tebano

    L’aria inquinata è particolarmente pericolosa per le persone anziane: anche in piccole quantità causa morti premature. È quanto emerge da una ricerca dell’Health Effects Institute americano, anticipata dal New York Times. I ricercatori hanno esaminato i dati sulla salute di 68,5 milioni di beneficiari dell’assicurazione Medicare negli Stati Uniti e hanno scoperto che anche bassi livelli di polveri sottili, come quelli che si registrano nelle zone rurali, hanno gravi effetti sulla salute e sull’aspettativa di vita, in particolare degli anziani. «Abbiamo trovato un rischio di morte precoce per l’esposizione all’inquinamento atmosferico, anche a livelli molto bassi di inquinamento atmosferico in tutti gli Stati Uniti», ha detto Daniel S. Greenbaum, presidente dell’Health Effects Institute.

    Negli Stati Uniti il limite per le PM 2.5, le polveri ultrasottili, così chiamate perché formate da particelle con un diametro uguale o inferiore a 2,5 micron, è fissato a una media annuale di 12 microgrammi per metro cubo. I ricercatori hanno concluso che riducendo il limite a 10 microgrammi per metro cubo si sarebbero potute evitare 143.257 morti tra il 2006 e il 2016 (i 68 milioni di persone monitorati sono poco più della popolazione italiana, con più limiti si salverebbe in dieci anni l’equivalente della popolazione di Ferrara).

    L’Italia dal 2010 ha ridotto i limiti di legge per le Pm2,5, adottando lo standard europeo, ma i livelli permessi rimangono oltre il doppio di quelli consentiti negli Stati Uniti: una media annua di 25 microgrammi per metro cubo. Martedì in centro a Milano i livelli medi giornalieri di Pm 2.5 erano di 60 microgrammi per metro cubo.

    La ricerca dell’Health Effects Institute è stata condotta da Francesca Dominici, scienziata italiana che insegna ad Harvard ed è una delle più importanti esperte di biostatistica al mondo (ha condotto studi fondamentali anche sull’inquinamento acustico e sul ruolo dello smog nella mortalità da Covid): «Se riducessimo il livello di PM 2.5, salveremmo una quantità sostanziale di vite» ha commentato Dominici.

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  3. 3

    Corsera

    Ora una ricerca italiana pubblicata sulla rivista scientifica internazionale Environmental Science and Pollution Research spiega in maniera diretta e con un approccio clinico che il rischio di mortalità in pazienti ospedalizzati per Covid 19 dipende dai livelli di inquinamento atmosferico di biossido di azoto (NO2), un inquinante prodotto soprattutto dal traffico di auto e mezzi pesanti e dal riscaldamento domestico alimentato con combustibili fossili (e che si trova di solito ad alti livelli quando sono alte anche le concentrazioni di polveri ultrasottili). L’Italia, secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, è in generale il Paese in Europa che conta più morti evitabili causate dal biossido di azoto: 10.640 all’anno solo nel 2019 (quindi prima del Covid), corrispondenti a 107.600 anni di vita persi.

    Il gruppo di ricercatori italiani guidati da Agostino Di Ciaula, presidente del Comitato Scientifico dell’International Society of Doctors for Environment (Isde, la Società internazionale dei medici per l’ambiente), ha scoperto che l’esposizione al biossido di azoto nelle settimane precedenti il ricovero è correlata ad alterazioni del sistema immunitario e aumenta il rischio di mortalità in pazienti con polmonite da Covid, in maniera indipendente dall’età.

    I ricercatori hanno valutato l’esposizione individuale alle polveri sottili PM10 e biossido di azoto nelle 2 settimane prima del ricovero in ospedale in 147 pazienti geocodificati, li hanno divisi secondo l’esito clinico (cioè, dimissione a casa o morte in ospedale), e hanno esplorato la funzione immunitaria legata ai linfociti considerandola un indice che può influenzare la vulnerabilità individuale all’infezione. Rispetto ai soggetti dimessi, i pazienti deceduti in ospedale presentavano un aumento dei globuli bianchi granulociti neutrofili nel sangue periferico, una diminuzione del numero dei linfociti nel sangue e anche di diversi tipi di cellule T e una maggiore esposizione precedente al biossido di azoto, ma non alle PM10. «L’età e la precedente esposizione a biossido di azoto erano predittori indipendenti per la mortalità» si legge nelle conclusioni dello studio. «La precedente esposizione al biossido di azoto è un co-fattore che influenza in modo indipendente il rischio di mortalità negli individui infetti, attraverso effetti immunitari negativi».

    I loro risultati rafforzano ipotesi formulate dagli studi epidemiologici precedenti e «suggeriscono che l’inquinamento atmosferico può favorire l’infezione virale e condizionare un’evoluzione sfavorevole della malattia in pazienti costretti al ricovero» afferma l’Isde. Secondo i medici «ridurre l’inquinamento atmosferico, specie in ambito urbano, potrebbe significativamente ridurre la vulnerabilità individuale e la gravità dell’infezione da Covid, soprattutto nei soggetti a rischio».

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